“Nome in codice Gladio”. Seconda puntata.

in BOOKREPORTER/Difesa by

Ancora un approfondimento su una pagina poco conosciuta della storia italiana.

Come promesso in un precedente articolo di European Affairs (qui), siamo ritornati di nuovo sull’argomento “Gladio”, che ci affascina proprio perché rappresenta un fenomeno storico unico nel suo genere, in grado di fondere insieme politica, geopolitica, storia, intelligence e difesa.

Per meglio addentrarci nella materia, abbiamo letto con gusto – e recensito con molto piacere – il libro di Mirko Crocoli, Nome in codice Gladio, scritto per i tipi di A.CAR. Edizioni. Nel libro sono numerosissimi gli spunti di riflessione, oltre che i contenuti documentali e storici, che inducono il lettore appassionato a porsi ulteriori domande. Speriamo che tale “febbre” possa cogliere anche chi è più ammantato di pregiudizi, preconcetti e retropensieri. Noi, che ci sforziamo – almeno per le materie di nostro interesse – di guardare i fatti con una visione più nitida, stavolta siamo andati direttamente alla fonte. Ringraziamo, infatti, l’autore Mirko Crocoli per averci introdotto al Generale Paolo Inzerilli, che fu uno dei principali titolari dell’operazione militare “Gladio”, la struttura Stay Behind made in Italy. All’Ufficiale va il nostro più vivo ringraziamento per averci concesso un’intervista, che per noi rappresenta un immenso privilegio. In questa occasione, abbiamo voluto concentrarci su argomenti di natura operativa, senza trascurare il taglio geopolitico ed internazionale che merita il tutto.

Il Generale Inzerilli, in un’inedita foto proveniente dal suo archivio (qui veste i gradi da Generale di Brigata).

Signor Generale, grazie davvero della Sua disponibilità. Nel precedente articolo sull’argomento, abbiamo lasciato all’autore del libro Mirko Crocoli maggiori disquisizioni di dettaglio sulla facies organizzativa di Gladio, avendola lui stesso studiata approfonditamente, con occhi da ricercatore. Sappiamo che Crocoli ha beneficiato dei Suoi racconti e delle Sue indicazioni nello studio di questa complicata materia e, più volte, lui stesso L’ha citata e ringraziata. Pertanto è proprio con Lei, che può vantare una visione sicuramente ancor più strategica (oltre che operativa), essendo stato uno dei protagonisti di Gladio ed essendo noi prima di tutto una rivista di geopolitica, vorremo parlare – innanzitutto – del concetto di Stay Behind, sotto il profilo internazionale. Come si inquadrano le operazioni Stay Behind dal punto di vista internazionale e geopolitico? Cosa furono e come agirono? E, infine, anche se la domanda potrà sembrarLe banale, come mai tali organizzazioni furono maggiormente tutelate in altri Paesi e non in Italia?

Il concetto di Stay Behind, cioè di condurre operazioni dietro le linee, in epoca recente nasce durante la 2a guerra mondiale. I primi sono stati i Russi durante l’invasione tedesca, con formazioni costituite in parte da militari ed in parte da partigiani. La Repubblica Sociale Italiana, nel ritirarsi dal sud verso il nord, lasciò nei territori occupati dei militari altamente specializzati come il personale della X^ Flottiglia M.A.S. A guerra finita tutti i paesi occidentali sentirono la necessità di costituire strutture Stay Behind. Le motivazioni sono state due, concomitanti. Da un lato l’attrito tra angloamericani ed Unione Sovietica già evidente nel maggio 45 (basta ricordare le dichiarazioni personali ed informali del generale Patton, che avrebbe voluto ricacciare i Russi a Mosca). Dall’altro il fatto che, a fine guerra, tutti gli eserciti europei erano stati spazzati via dalla guerra stessa con l’eccezione dei tre vincitori: l’esercito USA (potenza oltreoceano), l’esercito inglese (paese oltremanica) l’esercito sovietico (potenza continentale europea). Il pericolo dell’espansionismo sovietico coniugato con l’assenza di Forze Armate in condizioni di fronteggiarlo adeguatamente è stato il motore per la costituzione delle formazioni Stay Behind, che sono state costituite anche nei paesi tradizionalmente neutrali quali Svezia, Finlandia, Svizzera, Austria. In tutti i paesi le organizzazioni erano alle dipendenze dei relativi Servizi d’informazione e sono state sempre in stand by dal punto di vista operativo, molto dinamiche ed efficienti dal punto di vista addestrativo. 

Per quanto riguarda la tutela questa è stata assoluta in tutti i paesi eccetto il nostro. Siamo il paese dei Guelfi e Ghibellini, dei 1000 campanili, dei “Montecchi e Capuleti”. La politica interna con le sue beghe prevale sul senso dello Stato spesso e volentieri, come nel caso in oggetto, anche da parte di chi rappresenta lo Stato. Da sottolineare che anche quando, come effetto domino, sono state sciolte le organizzazioni degli altri paesi, i nominativi degli appartenenti sono rimasti protetti. Noi, uomini con le stellette, siamo stati costretti dal governo in carica, cioè dallo Stato, a fornire i nominativi dei 622 a Polizia, Carabinieri, Magistratura, cioè ad altri pezzi dello Stato. Come è finita è noto”.

Signor Generale, grazie. Davvero illuminante. La Gladio italiana aveva contatti operativi o quanto meno addestrativi

Mirko Crocoli, l’autore di “Nome in Codice Gladio”.

con le altre “Gladio” di altri Paesi? Eravate a conoscenza dell’esistenza di altre organizzazioni omologhe? Era previsto uno scambio di buone prassi?  Mi vengono in mente, ad esempio, i NASCO, i depositi di armi che avrebbero potuto essere utilizzati dai “Gladiatori” (mi scuso per il termine poco raffinato, ma rende l’idea) in caso di necessità di difesa armata (sui quali anche la magistratura si è spesso soffermata, senza esiti giudiziari). I NASCO erano un’invenzione italiana o rientravano in una dottrina NATO di più ampio respiro?

La Gladio italiana era in contatto permanente con tutte le altre Gladio a livello addestrativo. A livello operativo, dal punto di vista della pianificazione, vi era un contatto particolare con la Francia per quanto concerneva il tema della “esfiltrazione”. Concordavamo e stabilivamo insieme i punti di contatto nei reciproci paesi e le modalità per il passaggio di “esfiltranti” dall’Italia alla Francia e viceversa. A livello pianificazione operativa i contatti erano con tutti i paesi dalla Norvegia alla Turchia, oltre ovviamente con SHAPE. Lo scambio di conoscenze e normative a livello addestrativo e tecnico era costante con tutti i paesi fatta eccezione per Turchia, Grecia, Spagna, Portogallo paesi considerati eccessivamente “destrorsi”. 

Per quelle che sono le mie conoscenze non si sono mai evidenziate organizzazioni analoghe almeno fino a quando il giudice istruttore Salvini a Milano, nel corso delle indagini sulla strage di Piazza Fontana, non ha scoperto l’esistenza, in Italia, dei Nuclei Difesa dello Stato con compiti in parte analoghi a quelli della Gladio, in parte rivolti al contrasto a livello politico delle attività del PCI e di conseguenza infiltrati da personaggi dell’estrema destra.        Per quanto riguarda i NASCO non erano una invenzione italiana ma rientravano nelle tecniche comuni a tutte le organizzazioni Stay Behind in ambito NATO e consentivano ai “Gladiatori” di recuperarne il contenuto una volta (e solo allora) ricevuto il messaggio dalla Centrale con le coordinate per individuarne la dislocazione esatta.

Entriamo adesso un po’ più nello specifico della questione italiana. Sappiamo che Lei è un soldato ed è fiero di quello che ha fatto. Si legge nel libro di Crocoli che rifarebbe tutto, proprio perché ha agito su specifico e legittimo mandato conferitoLe dai Suoi superiori dell’epoca, così come si addice ad un militare, che per di più avrebbe preferito continuare la sua esperienza professionale nel Corpo degli Alpini. Sempre nel libro, leggiamo chiaramente che Gladio fu una cosa ben diversa da tutte le altre operazioni, erroneamente giudicate simili. Spesso l’ignoranza e la superficialità hanno accostato Gladio al Piano Solo, ad altre strategie contigue a quella della tensione, per arrivare successivamente addirittura gli anni di piombo, agli anni ’70, al Golpe Borghese o altro. Dalla lettura del libro di Crocoli si capisce che tutti questi accostamenti sono assolutamente privi di ogni fondamento storico e giuridico. Vogliamo far capire ai lettori meno esperti che Gladio non appartiene a questo torbido periodo della storia repubblicana?

Prima di tutto la ringrazio per questa domanda. Passo alla risposta. Non l’ignoranza e la superficialità hanno accostato Gladio alla strategia della tensione ma la precisa volontà di trovare finalmente il colpevole di tanti eventi stragisti o golpisti rimasti senza colpevoli. Esistono tre buoni motivi per i quali Gladio ( la mia, quella che io chiamo la Gladio Bianca per differenziarmi dalla Gladio Rossa del PCI e dalla Gladio Nera degli NDS infiltrati da personaggi dell’estrema destra ) non può essere mai stata coinvolta in fatti del genere. Primo punto: noi responsabili della gestione della Organizzazione, uomini con le stellette, abbiamo GIURATO fedeltà alla Repubblica e alle sue leggi e quindi non avremmo mai partecipato ad attività del genere ma in aggiunta non avremmo mai permesso a nessuno dei 622 di entrare in ambienti “pazzarielli”. 

Altra foto inedita, che ritrae l’allora Tenente Colonnello Inzerilli, al comando del Battaglione Alpini de L’Aquila. (fonte: archivio Inzerilli)

Secondo punto: sia noi con le stellette, sia gli “esterni” ( termine esatto per i 622 ) eravamo ultraconvinti che nessuno si doveva esporre o evidenziare per qualsiasi motivo, tenendo conto che il proprio compito era quello di sopravvivere nell’anonimato in caso di invasione, per assicurare la propria partecipazione alle operazioni di ripristino della sovranità nazionale.  La dimostrazione è che tra gli Esterni si contano solo una decina di ex appartenenti alla Brigata Partigiana Osoppo (forte di oltre 2000 uomini) ricostituita nel 1946 col beneplacito del Capo di Stato Maggiore dell’Esercito per la difesa del confine orientale, tenendo conto che il personale all’epoca veniva mobilitato con cartolina precetto e quindi facilmente individuabile.

Terzo punto: la assoluta apoliticità nel reclutamento. Tra i 622 ci sono 41 partigiani (bianchi!), 9 ex repubblichini o iscritti (1) al PNF  (classe 1909 – 1926), 7 iscritti al MSI  (classe 1913 – 1926). Nel 1990, davanti alla Commissione Stragi, l’attacco più forte nei miei confronti è stato fatto, dall’On Staiti di Cuddia (allora missino, poi ha cambiato formazione politica) perché non si capacitava come un partito politico come il suo, sempre vicino alle Forze Armate, in contrasto con un PCI anti-NATO, non fosse stato adeguatamente tenuto in considerazione nelle procedure di reclutamento.

Credo e spero di aver sufficientemente risposto alla domanda che comunque trova altre risposte esaustive nei risultati di tutte le inchieste politiche (anche se con l’etichetta di “parlamentari”) e giudiziarie che hanno, magari obtorto collo, dovuto riconoscere che siamo stati sempre estranei a qualsivoglia attività o pensata eversiva o comunque anticostituzionale”.

Grazie Signor Generale, Le siamo davvero grati.

Le domande e le risposte che in questi ultimi due articoli abbiamo avuto modo di leggere rappresentano una versione diversa ed alternativa a quella che spesso in questi decenni si è voluta conferire al “dossier Gladio”. Inutile dire che la versione sinora più accreditata è sempre stata di condanna, o ancor peggio, nei confronti di tale organizzazione. Il nostro intento, invece, non era assolutamente quello di fornire una versione volutamente assolutoria dell’intera vicenda, ma cercare di chiarire – con un linguaggio tecnico che beneficiasse una minima conoscenza geopolitica, giuridica e militare ‒ come sono realmente andati i fatti, possibilmente squarciando – seppur in minima parte – il velo di ignoranza e l’alone di mistero che avvolgono Gladio, i Gladiatori e tutti i servitori dello Stato che sono stati, loro malgrado, coinvolti nelle inchieste giornalistiche e giudiziarie che sono derivate dall’intera vicenda.

Riteniamo che il libro di Mirko Crocoli contribuisca efficacemente a fare luce in questo profondo marasma di idee, contraddizioni, nozioni poco documentate e semplici dicerie.

Bookreporter Settembre

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