Nome in codice Gladio. La storia e i valori dell’organizzazione Gladio, nel libro di Mirko Crocoli. Uno stralcio di storia italiana, sconosciuto ai più.

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Visto l’interesse che da sempre European Affairs nutre verso l’intelligence e la difesa,​ non potevamo non cogliere alcune novità editoriali ed alcuni importanti anniversari – appena trascorsi ed ignoti ai più – di sicuro interesse per gli appassionati di questioni strategiche e per gli addetti ai lavori. 

Parliamo di Gladio o meglio del libro di Mirko Crocoli, Nome in codice Gladio, scritto per i tipi di A.CAR. Edizioni, di cui consigliamo vivamente la lettura. 

La copertina del libro di Mirk Crocoli

Gladio, la versione italiana dell’organizzazione Stay Behind della NATO, su cui si è detto e scritto tutto ed il contrario di tutto. Una pagina della nostra storia politico-militare che molti hanno definito oscura, ma che molti altri hanno semplicemente considerato – così come sembra peraltro anche a noi – un’operazione militare di ampio respiro, condotta, così come devono esserlo le operazioni militari – con rigore, meticolosità e riservatezza. Andiamo al dunque subito: non una riservatezza particolare, non una segretezza anticostituzionale: la semplice segretezza operativa che dovrebbe contraddistinguere ogni operazione militare o anche di polizia. La così detta INFOSEC, tanto cara alla dottrina NATO: la sicurezza delle informazioni. Riservatezza perché la posta in gioco è troppo alta, perché è normale che il nemico – specie se strategico – può nascondere e seminare insidie ovunque, anche ad un insospettabile livello operativo, per capire le mosse del suo antagonista, anticipandole o semplicemente mandandole fallite. Gladio era questo: un’operazione militare segreta, ossia coperta dal segreto, perché il danno per la salus Rei Publicae sarebbe stato troppo grave se fosse stata scoperta dal nemico; operazione che, seppur strategica, prevedeva un campo di azione operativo ed uno tattico, come per ogni operazione militare. 

Per comprendere il fenomeno, dobbiamo addentrarci in un’Italia – ed anche in un’Europa – appena

uscita da una guerra civile, in mezzo a due blocchi contrapposti, entrambi in possesso dell’arma atomica: il deterrente della M.A.D. (Mutual Assured Destruction – Distruzione Reciproca Assicurata) dell’epoca era troppo forte per non coinvolgere chi – come l’Italia e gli Italiani – si trovava nel mezzo di  un crocevia di azioni e reazioni, interdizione e controinterdizione, operazioni di intelligence e guerra difensiva (concetto molto simile a quello di “pazienza strategica” di obamiana  memoria riguardo la Corea del Nord). Senza parlare dell’influenza degli USA a quell’epoca, sia in Italia, sia in tutto il vecchio continente. 

Naturale che il blocco occidentale, capitanato dagli Stati Uniti, cercasse in ogni modo di scongiurare un’invasione – più o meno palese – dei suoi territori. Era il periodo dei piani così detti “emergenziali”, alcuni per nulla o poco politicizzati, altri del tutto, e per questo mal gestiti, non gestiti affatto o gestiti con finalità politiche e poco istituzionali, poco tese cioè alla salvaguardia del bene comune e della sicurezza dei cittadini. 

E, in Belgio, non c’era ancora l’Unione europea (ma solo la CECA e l’EURATOM): c’era prima di tutto SHAPE, il Supreme Headquarter Allied Powers Europe, ossia il braccio strategico-decisionale della NATO (ed anche degli USA, diciamoci la verità) in Europa. 

Pensiamo anche ad un’Italia in cui l’intelligence, così come la conosciamo oggi, non esisteva: un’idea di intelligence più dettagliata si è formata nel volkgeist italico non prima della riforma del 1977, per poi perfezionarsi nel 2007, sino ai giorni nostri, in cui la materia “intelligence” si insegna addirittura all’università e, più precisamente, nel master dell’Università della Calabria diretto dal Prof. Mario Caligiuri, di cui abbiamo anche parlato in passato qui.

Il generale Inzerilli un una foto di repertorio.

I fatti di cui parliamo noi, però, si svolgevano negli anni ’50: nell’immediato dopoguerra, quando i così detti “servizi segreti” non erano così rigidamente separati dalle Forze Armate – intendo, da un punto di vista ordinativo ed organico – e la confusione – che all’epoca non appariva come tale – permaneva semplicemente perché le linee di comando delle gerarchie militari erano forse meno strutturate di oggi, ma di sicuro più chiare. Si sapeva cioè chi comandava, e le gerarchie militari obbedivano all’autorità politica, facendosi proattivamente interpreti del disegno politico stesso. 

Non sta a noi giudicare né entrare in disquisizioni politiche. Le cose, a nostro parere, andavano così a quell’epoca. 

L’anniversario a cui abbiamo accennato è quello del 26 novembre: in quel giorno, nell’anno 1956, fu siglato un accordo di reciproca collaborazione ed assistenza tra il SIFAR (l’unico servizio segreto italiano di allora) e la CIA: l’accordo istitutivo di Gladio. Molti ritengono – anche noi, peraltro – che il difetto nella base giuridica di Gladio fosse proprio questo: non potevano due servizi, quindi due emanazioni governative, stringere un accordo internazionale, bypassando ed eludendo il controllo parlamentare e, comunque, il normale processo legislativo nazionale. In estrema sintesi, però, gli esecutivi dei due Stati contraenti diedero il via all’operazione, all’istituzione di questa struttura, che ha funzionato – quanto meno da un punto di vista organizzativo ed addestrativo – sino al 1991, anno della sua pubblica rivelazione in Parlamento da parte di Giulio Andreotti.

Naturale che l’italiano medio, forse anche male edotto da una stampa imprecisa o superficiale su questi argomenti, possa pensare ai complotti od alla segretezza. Ancora fino ad oggi. 

La segretezza serviva, e serve, per proteggere gli interessi di ogni Paese – buoni o spregevoli che siano – in quel preciso momento storico ed in quel preciso contesto politico od internazionale. Ma scrivere circa il gap democratico che sottende alla natura ed alle motivazioni che stanno alla base (giuridica oltre che filosofica) dell’intelligence e della sua segretezza, è un’altra storia e richiederebbe parecchi volumi.

A questo aggiungiamo che il motto dell’organizzazione Gladio era “Silendo lbertatem servo“, ossia servo la libertà rimanendo in silenzio

Silenzio che purtroppo venne un giorno meno, ma non per colpa dell’establishment militare o degli stessi appartenenti reclutati dall’organizzazione. 

Dopo che, nel 1991, il Divo Giulio comunicò pubblicamente l’esistenza di una rete clandestina in chiave antisovietica, si gridò infatti subito allo scoop scandalistico, alla necessità di inchieste, parlamentari e giornalistiche, e poco si approfondirono gli aspetti giuridici, amministrativi e prettamente operativi e militari dell’operazione Gladio. Tutto questo, mentre il Picconatore, il Presidente Cossiga, osservava – non silenziosamente – e cercava di far capire ai suoi interlocutori complottisti che, almeno stavolta, di complotto non si trattava. 

Personalmente ho letto molto di Gladio. Tanto da fare anche io confusione. Ci sono parecchi titoli,

La quarta di copertina del libro di Crocoli, con autorevoli commenti.

molti “innocentisti” e troppi “colpevolisti”, che parlano di questoesercito segreto” (senza sapere che anche oggi i dati sulle forze militari, la loro dislocazione, l’armamento e la logistica sono, o dovrebbero essere per legge coperti dal segreto): così definito perché oltre ad una struttura di effettivi, sostanzialmente costituita da soli militari di carriera, esisteva anche una struttura paradossalmente e potenzialmente più operativa di quella militare – costituita da civili, che di giorno conducevano la loro normale vita familiare e professionale e che per alcuni periodi dell’anno – a volte con cartoline precetto, a volte senza nemmeno quelle, ma semplicemente mettendosi in ferie – si addestravano in un apposito Centro, peraltro inizialmente sconosciuto ai suoi stessi frequentatori. Era il Centro Addestramento Guastatori di Torre Poglina, in Sardegna, sul mare. Ed era proprio l’esistenza di questa componente civile, composta da 622 persone, a destare scalpore. 

Il libro di cui parliamo ha messo in ordine, almeno per me, il marasma di informazioni spesso contraddittorie, di cui su l’affaire Gladio dispone il grande pubblico.

Mirko Crocoli, scrittore e ricercatore già al suo terzo masterpiece, ci guida in questo tortuoso cammino per aiutare il lettore a districarsi in questa matassa mai del tutto sciolta. Per farlo, si è servito dell’illustre ausilio di un consulente di eccezione: il Generale di Corpo D’Armata Paolo Inzerilli. Ufficiale degli Alpini, prestato suo malgrado ad interessi superiori, che lo hanno voluto al comando di questa organizzazione per molti ambigua e fumosa, per altri, neanche a dirlo, una fucina di eroi silenziosi.

Grazie all’autore, avremo anche noi tra qualche giorno il privilegio di intervistare l’alto Ufficiale. Prima di tutto, però, ci rivolgiamo ed intervistiamo – come è giusto che sia – l’autore Mirko Crocoli, che con la sua opera ci ha fornito numerosi spunti di ricerca.  

 

D. Grazie Mirko. Abbiamo letto con gusto e con estrema passione il Suo libro, che ci ha colpito molto. Vuol dirci come mai si è concentrato su questo argomento? Lei lo accenna nel libro, ma vorremmo qualche precisazione per rendere il tutto più appetibile, associando la Sua opera al  sentimento che l’ha generata.  

R. Innanzitutto La ringrazio per il suo giudizio e per gli elogi al libro. E’ sempre una bella soddisfazione quando certe affermazioni provengono da esperti come Lei. E’ il miglior “premio” che si possa avere dopo tanti mesi (se non anni) di intenso lavoro. Per quanto ella mi chiede la informo che sono stato spinto da diversi fattori. Il primo è la passione per certi “particolari” argomenti, tanto oscuri quanto intriganti, in secondo luogo è il sentimento di verità, una voglia di andare a fondo per comprendere cosa fu l’organizzazione Gladio per la nostra storia recente. Questo sentimento si è poi rinvigorito ulteriormente quando ho conosciuto il Generale Paolo Inzerilli. Ero un po’ stanco delle falsità gettate in pasto all’opinione pubblica in merito a questa vicenda, e dunque dovevo affrontare la cosa in maniera diretta e approfondita. Si, è vero, può anche sembrare diciamo “misteriosa” ma non certo illecita, illegittima o – peggio ancora – causa dei mali “stragisti” della Prima Repubblica. Volevo scavare, scavare e scavare per capire con estrema precisione cosa veramente fosse stata questa piccola ma efficacissima struttura facente parte della 7 divisione del Sismi. Finalmente sono stato illuminato da tanti aspetti che ignoravo. Ovviamente, 3 anni trascorsi spalla a spalla con il Comandante sono stati determinanti. Senza lui non avrei sicuramente concepito il lavoro di cui Lei oggi tanto “benevolmente” parla. Debbo dire che estremamente importanti sono stati anche gli interventi di un altro Generale, Antonio Federico Cornacchia, colui che nei 55 giorni del sequestro Moro era il capo del reparto operativo di Roma, di Giorgio Mathieu, gladiatore di lungo corso insieme alla moglie (una delle poche donne a rivestire quel ruolo) di Gian Marco Chiocci, attuale direttore de “Il Tempo” e della giornalista Gemma Favia. A loro si sono uniti – tra gli altri – la bella testimonianza di R.C. , l’emozionante excursus di Silvia Urbani e il racconto del triestino Franco Tauceri, storico locale, il quale essendo esperto dei Monti del Carso dovevo assolutamente coinvolgerlo. Tutto (o quasi) soprattutto nei primi anni era concentrato in Friuli Venezia Giulia, linea di confine strategica con la ex Jugoslavia.

L’autore ed il generale Inzerilli in una delle presentazioni del libro svoltesi poco dopo la sua uscita. (fonte www.servizisegreti.com)

Inzerilli poi, col tempo, e grazie al suo lungo comando, ha allargato l’organizzazione in altri zone territoriali della Penisola. In Sicilia, la tanto discussa base centro Scorpione di Trapani (ad esempio) è stata una sua idea così come la “rivitalizzazione” di “Torre Poglina” in Sardegna, ovvero il campo d’addestramento dei “gladiatori”.

E poi, diciamocela tutta, a chi non interessa il mondo dell’intelligence? Per uno come il sottoscritto che da qualche anno si dedica alle storie più controverse e “ingarbugliate” del secondo Novecento non poteva sfuggire l’interessamento quasi morboso per l’operazione Gladio. Già il nome è tutto dire. Dovevo e volevo capire e l’unico modo per farlo era quello di incentrarmi con tutto me stesso sull’uomo che ne fu comandante per molti anni e studiare tutti quei documenti più o meno confidenziali e più o meno veritieri che parlavano di tale “gruppo “ segreto. Molti di essi sono reali altri sono “bufale”. Scartando le ultime mi sono addentrato in quelli che ho ritenuto (anche da fonti attendibili) dossier inconfutabili. Tra questi naturalmente ci sono le sentenze della magistratura che reputo inoppugnabili e i “faldoni” dei vari tribunali/procure, penali, militari e civili. Poi le relazioni delle Commissioni d’inchiesta sulle Stragi, il COPACO, il Tribunale dei Ministri, la relazione Andreotti, la Corte d’Assise di Roma, l’Avvocatura Generale dello Stato…e così via. Un lavoro bello, intenso, evolutivo e corposo che mi ha lentamente coinvolto giorno dopo giorno. Avrei scritto altre 400 pagine ma per esigenze editoriali mi sono dovuto fermare. All’interno, il lungo faccia a faccia con Inzerilli è stato il succo di questa avventura ma, anche lì, per motivi di spazio abbiamo dovuto ridurre. Per questo, non escludo (con tutta sincerità), di lavorare presto al secondo progetto sempre sulla stessa lunghezza d’onda ma con tutt’altre novità che, nel primo di cui lei parla, sono rimaste fuori. Ho ancora tanto da chiedere al Generale cosi come ho tanto ancora da scrivere riguardo alle mie considerazioni personale sull’intera vicenda. Presto ci avvieremo alla nuova stesura di un “Gladio bis”.                    

Il logo di SHAPE, il Comando NATO da molti ritenuto la sede organizzativa delle missioni Stay Behind. (fonte www.nato.int)

D. Ovviamente per i semplici curiosi della materia, o per quelli che non si sono creati già un pregiudizio a prescindere, il libro riepiloga numerosi fatti anche inediti e spiega con dovizia di particolari cosa fosse Gladio e chi fossero i suoi appartenenti. Per gli esperti del settore, invece, salta subito all’occhio l’approfondita ricerca che Lei ha svolto anche sull’intera vicenda giudiziaria che ha interessato Gladio, in quanto struttura, ed i così detti “Gladiatori”. Interessante anche il fatto che il Generale Inzerilli sia stato innumerevoli volte audito dalle commissioni parlamentari ed anche dalla magistratura ordinaria. Vuol dirci come ha strutturato tale ricerca in campo giudiziario e da cosa è partito? Come ha fatto a reperire atti e documenti giudiziari e, soprattutto, come vi si è districato? Le facciamo questa domanda perché, di solito, nell’ampia letteratura su Gladio poco o nulla si riferisce circa le vicende giudiziarie. 

R. Senza una ricerca giudiziaria approfondita non avrebbe avuto alcun senso l’intero progetto. Il mio primo “fornitore” di informazioni è stato il Generale, con cui ho condiviso molti documenti per me inediti. Naturale che, avendo vissuto un calvario giudiziario durato anni, unitamente ai colleghi Martini e Invernizzi, egli stesso era in possesso di una moltitudine di documenti ufficiali. Il resto è stata tutta questione di archivi e ricerca storica. Nulla di trascendentale, un po’ ciò che fanno tutti gli addetti ai lavori quando desiderano addentrarsi in certi argomenti. Una ricostruzione a ritroso accompagnata da tanta pazienza. Ci si sommerge di incartamenti quando si fanno determinati lavori ma poi, la logica e soprattutto il metodo, fanno sì che pian piano tutto vada al suo posto.  

Il lato processual-giudiziario era essenziale per mettere una volta per tutte i puntini sulle “I” e per evitare i tanto odiosi “sentito dire” o “ipotesi più accreditata”. Il motore di questo progetto è stato il motto “Carta canta, villan dorme”, poiché in una vicenda del genere o si riporta la documentazione seria e reale o si rischia di cadere nelle “teorie” e, cosa ben peggiore, in sventurati attacchi mediatico-giudiziari che non fanno piacere a nessuno. Questa è una cosa che mi ha inculcato sin dall’inizio Inzerilli. La sua è quasi una fissazione.

Mi ha sempre ribadito (fino allo sfinimento) che certe verità o certe delicate questioni vanno affrontate non tanto e non solo con le testimonianze autorevoli ma quanto con il pezzo di carta inconfutabile in mano, su cui nessuno può appigliarsi. La sentenza di assoluzione nei confronti dei vertici militari (della Gladio e del Sismi) della Corte d’Assise di Roma del luglio 2001 è indiscutibile. Il COPACO idem, l’Avvocatura generale dello Stato altrettanto. Sulle Commissioni d’inchiesta ci sarebbe molto da dire ma non è questa la sede opportuna. Un gruppo di parlamentari (deputati e senatori) che fanno da giudici e giudicanti? Beh, scusi Martinelli, ma la vedo un po’ “curiosa” come questione. Ognuno poi può interpretare come vuole ma, fortunatamente, siamo in un Paese libero di espressione e giudizio, purché nei limite del decoro e della decenza. Mi limito soltanto ad avere dei dubbi…leciti!    

     

L’autore, Mirko Crocoli

D. Un’altra domanda, più classica e dottrinale. Cosa l’ha colpita di più dell’organizzazione di Gladio? Mi riferisco alla struttura, alla dislocazione ed al modus operandi in cui potenzialmente avrebbe potuto agire. Insomma: cosa Le è piaciuto di più di quello che ha studiato?

R. Mi è piaciuta la segretezza della struttura in epoca di Guerra fredda, mi è piaciuto molto il senso dello Stato che animava i gladiatori durante il percorso di “indottrinamento”, mi è piaciuto il modo di fare “intelligence” a tutto tondo. Grandi “maestri” per grandi “allievi” dove i maestri furono gli uomini di Inzerilli (vice capi, istruttori ecc. ecc.) e gli allievi le “devote” reclute, le quali erano a conoscenza del fatto che stavano servendo al meglio la nostra Patria!

Un vero e proprio “pozzo” senza fondo, più si scavava e più cose venivano a galla. Sembrava non finisse mai. Aurisina, l’Argo 16, i NASCO, la violenza di Alcamo Marina, il “caso” Stoppani, le dichiarazioni in commissione d’inchiesta (la “Stragi”), la Falange Armata, le accuse, i sospetti, l’intrigatissima cronistoria dei fatti non solo giudiziari ma anche storici, i nomi, gli esponenti di rilievo che hanno orbitato intorno alla struttura, le infamie, le verità, gli eventi del 1990, le rivelazioni di Andreotti, l’autoaccusa di Cossiga, il polverone mediatico, gli accostamenti con apparati dell’ala più oltranzista extra-parlamentare, i Nuclei difesa dello Stato, l’infinita vicenda del sequestro e l’uccisione di Aldo Moro, la sentenza del Giudice Guido Salvini e tutta una montagna di informazioni che hanno “stuzzicato” la mia curiosità. Mi è piaciuto tutto di questa incredibile spy-story, dagli albori alla caduta, dal carattere del Comandante alle esercitazioni dei gladiatori, dal misterioso reclutamento ai difficili anni del lungo processo nell’aula bunker di Rebibbia. Tutto il nostro lavoro è partito in sordina per poi concludersi con la pubblicazione che Lei ha in mano. Non un capolavoro ma di certo uno sforzo umano piuttosto avvincente e, in alcuni momenti, sfiancante.    

 

D. Adesso, senza fornire particolari anticipazioni, vorrei porLe una domanda un po’ capziosa. Per quale motivo un lettore dovrebbe acquistare e leggere il Suo libro? Come lo colloca nel panorama letterario che così copiosamente si è concentrato su Gladio, spesso generando la confusione anche dei più appassionati?  

R. Appunto. Ha detto bene, confusione! Inzerilli, alla mia domanda sulle accuse ancora tirate in ballo in commissione Moro, mi ha risposto laconicamente che “la madre degli imbecilli è sempre incinta”. Troppa confusione. Facile scrivere pubblicazioni o articoli accusatori senza un minimo di materiale serio a monte. Ci vogliono le carte e non le ipotesi infondate. Credo che sia un libro abbastanza esaustivo, poi non sta a me giudicare. Interessante la lunga intervista al Comandante, quella sì. Ne sono orgoglioso. Ho cercato con umiltà di soffermarmi su quasi tutte le principali “facce” della stessa medaglia, tentando di non omettere nulla o quasi. Ci sono altri bei lavori su Gladio e ognuno di esso merita di essere consultato. Al lettore e non agli autori ovviamente la decisione finale . Chi acquista e legge i libri è il solo giudice supremo dei nostri sforzi.

D. Cosa l’ha colpita di più di questo “faccia a faccia” con il Generale? Intendo quale risposta le è rimasta più impressa?

R. Ce ne sono molte. Sono 60 pagine di capitolo, lei capisce che sceglierne una o due in particolare non è facile. Posso però segnalargliene alcune…tragga Lei poi le conclusioni.  Quando ho chiesto al Generale il motivo di questo accanimento e perché lui mi ha risposto in questa maniera:

Il logo dell’Associazione Italiana Stay Behind.

“Basta, di sicuro. Non è gogna mediatica ma la disperata rincorsa a trovare una spiegazione e quindi un capro espiatorio a fatti terribili non risolti. Vale per Moro, come già detto, per Alcamo (nel gennaio ’76 la Gladio non esisteva in Sicilia) per Peteano, strage di un estremista di destra (reo-confesso) con esplosivo rubato ad una ditta di lavori stradali”. L’altra è sul “segreto NATO”… Inzerilli sostiene che: “L’attività Stay Behind è nata in ambito NATO e quindi tutta la documentazione attinente la suddetta attività in tutti i Paesi del “patto” è sempre stata protetta dal Segreto. Per toglierlo occorre l’assenso di tutti i Paesi. Nessun singolo Paese può per conto suo declassare un documento. Anche Andreotti si è dovuto arrendere a questa regola declassando solo la documentazione di produzione nazionale, decisione più che negativa ma che purtroppo rientrava nelle sue competenze e possibilità”. Poi vi è una sull’attuale situazione del nostro Paese. Già, in altre occasioni, ho pubblicato su qualche social questa sua risposta. Detta da un uomo che ha servito lo Stato per tutta la vita fa decisamente impressione: “Sì. Mi manca lo Stato che esisteva allora. Mi manca uno Stato che dopo il terremoto del ’76, che ha distrutto mezzo Friuli, costringendo circa 40.000 persone a trasferirsi in altre regioni è stato capace di fare una legge per la ricostruzione che ha dato priorità alle fabbriche e alle aziende per ricreare il lavoro e, solo dopo, alle case. Una legge che comunque ha consentito ai 40.000 sfollati di rientrare nella “Piccola Patria” esattamente un anno dopo in 350 villaggi prefabbricati. Mi manca uno Stato che ha avuto la caparbietà di sconfiggere il terrorismo senza guardare il colore politico, spesso aiutato da chi stava all’opposizione. Mi manca uno Stato che ha dimostrato di esistere a Sigonella, amici o alleati a prescindere. Mi manca uno Stato!”

In ultimo, Martinelli, volevo riportare ciò che, sempre il Comandante, sostiene alla mia domanda…“Onore a Cossiga e ai gladiatori”?

Ecco il suo pensiero: “Direi che siano due atti dovuti. A Cossiga per tutto quello che ha fatto e detto quando era ancora Presidente in carica e quanto ha fatto successivamente. E mi sento ancora molto legato all’uomo che è venuto al Circolo Ufficiali della Marina per farmi di persona gli auguri per i miei 70 anni e mi ha ricevuto, poco prima di andarsene per sempre, in casa sua verso mezzogiorno in pigiama. Non credo ci sia molta gente che possa vantarsi di episodi del genere.

Ai Gladiatori per aver servito il Paese volontariamente e in silenzio, come recita il nostro motto, senza mai chiedere nulla. Per essere stati traditi dalle Istituzioni che avevano garantito il loro anonimato. Per non essere riusciti a tutt’oggi ad ottenere il più che doveroso riconoscimento di quanto fatto per il bene e la difesa del Paese, per il disinteresse e l’incapacità dei politici, a tutti i livelli, dal Quirinale (post Cossiga ovviamente ) all’ultima segreteria del più piccolo partito, qualunque fosse il loro “credo”, di destra, di centro, di sinistra. Ma vorrei aggiungere che è doveroso “onorare” anche chi, con le stellette, ha lavorato, altrettanto in silenzio, per dare continuità alla Organizzazione, per migliorarne l’efficienza e la capacità, per farla diventare una organizzazione apprezzata e rispettata in tutto il contesto Nato. A chi ha pagato salatamente il suo silenzio, la sua efficienza, la sua appartenenza ad un club esclusivo”.

Molto bene. Ringraziamo Mirko Crocoli per la sua disponibilità e gli auguriamo sempre maggiori fortune per il libro di cui abbiamo parlato e per la sua attuale e futura attività di scrittore. 

Ringraziamo, last but not least, il Generale Inzerilli per l’insegnamento che – sebbene indirettamente – ci ha dato. Un uomo delle Istituzioni, sebbene tradito o che comunque non ha visto adeguatamente riconosciuti i suoi meriti per i servizi resi, ha continuato a svolgere la missione affidatagli con dedizione, senza false ipocrisie, con sentimento e con fedeltà. Anche sotto i riflettori giudiziari e mediatici.

Concludendo, raccomandiamo nuovamente la lettura del libro “Nome in codice Gladio“, di Mirko Crocoli, A.Car. Edizioni. 

Tra le righe si è parlato di fatti di cronaca, di intelligence, di storia d’Italia,  ma, soprattutto, di valori. 

Valori che oggi sono custoditi anche dall’Associazione Italiana Volontari Stay Behind, che ha ereditato e custodisce le tradizioni di coloro che hanno fatto parte di quel gruppo di 622 civili che, in cambio di nulla, hanno dato molto…. o forse tutto. L’Associazione annovera, tra i suoi numerosi obiettivi, quello di tutelare la memoria dell’organizzazione Gladio e di ottenere il riconoscimento dello status di militari in congedo in favore dei membri che hanno servito l’organizzazione, inconsci di un apparato istituzionale che in futuro li avrebbe disconosciuti. 

In tempo di innovazione digitale, l’Associazione ha anche curato – ormai alcuni anni fa – una app per cellulari, denominata “iGladio“, che altro non era che il resoconto in formato digitale delle memorie del Generale Inzerilli. Indelebile la descrizione delle emozioni vissute e delle riflessioni operate dall’Ufficiale durante i periodi di addestramento a Torre Poglina. Di tale scritto, dell’Associazione Stay Behind e di altre cose ancora, avremo modo di parlare con l’alto ufficiale tra qualche giorno.

Curioso sapere, così come si legge nel libro di Crocoli, che non tutti i “Gladiatori” hanno voluto prendere parte alle iniziative dell’associazione che si prefigge lo scopo di tutelarli. Molti hanno aderito e, anzi, attraverso il sodalizio, hanno veicolato fino al grande pubblico il loro vanto di essere appartenuti a tale struttura. Alcuni, invece, hanno preferito non associarsi, rimanendo in silenzio. 

Forse per continuare a servire la libertà

 

 

Bookreporter Settembre

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