GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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Aprile 2016 - page 3

La Francia annuncia il ritiro dalla RCA

Difesa/Medio oriente – Africa di

La notizia arriva dal Ministro della Difesa francese Jean-Yves Le Drian in occasione della visita nella capitale centrafricana Bangui. L’Operazione Sangaris, lanciata dalla Francia nel dicembre del 2013 in risposta alla risoluzione ONU n2127 (5 dicembre 2013), verrà ultimata entro la fine del 2016. “Finalmente –sottolinea il ministro- possiamo vedere il paese riemergere da un lungo periodo di disordini ed incertezza”. In due anni la missione è riuscita a ripristinare la stabilità nel paese, portando a compimento i suoi obiettivi. Ragione per cui la Francia sembra pronta a ritirare i propri contingenti.

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Lo stato di disordine nella Repubblica Centrafricana inizia nel marzo del 2013, quando un movimento musulmano di ribelli, denominato Seleka, rovescia il governo dell’allora presidente cristiano Francois Bozize, rimpiazzandolo con il proprio leader Michel Djotodia. Il governo Djotodia resta in carica per 10 mesi, durante i quali la violenza etnica tra la minoranza musulmana e la maggioranza cristiana dilaga profondamente nel paese, provocando la morte di migliaia di persone.

La comunità internazionale reagisce unanime e approva la suddetta risoluzione. Tale risoluzione non solo condanna la spirale di violenza etnica e religiosa alimentata dai gruppi ribelli, ma autorizza anche  lo spiegamento della missione MISCA, (Mission internationale de soutien à la Centrafrique sous conduite africaine), autorizzando le forze francesi presenti ad adottare tutte le misure necessarie –nel rispetto del mandato- per realizzare i tre obiettivi principali della missione : disarmo dei gruppi armati, ripristino delle autorità civili e supporto nella preparazione delle elezioni.

Iniziata con l’invio di 1.600 militari, l’Operazione Sangaris arriva a contare fino a 2.500 uomini nei periodi di maggior crisi. Il governo Djotodia si dimostra, infatti, incapace di mantenere sotto controllo i ribelli che lo avevano portato al potere, trascinando così il paese nel baratro della guerra civile. La situazione migliora dopo le dimissioni del Presidente e la nomina di un governo di transizione guidato da Catherine Samba-Panza, prima donna presidente del paese. I miglioramenti del contesto centroafricano inducono il governo francese a ridurre progressivamente le forze in campo, mantenendo però il supporto alla missione internazionale.

Oggi, la Francia conta 900 unità stanziate nella Repubblica Centrafricana. Il ministro Le Drian sottolinea che 300 militari rimarranno in loco anche dopo la fine dell’Operazione. Queste truppe supporteranno la missione ONU MINUSCA (Multidimensional Integrated Stabilization Mission in the Central African Republic) e parteciperanno alla missione d’addestramento guidata dall’Unione Europea (EUTM RCA). Alcune unità si occuperanno di garantire la sicurezza in punti nevralgici come gli aeroporti, altre saranno invece di base in Costa d’Avorio e nella regione del Sahel pronte per un eventuale intervento.

Come lo stesso Le Drian ha sottolineato, il contesto di sicurezza del paese è decisamente migliorato, ma tutt’ora vi sono problematiche da risolvere. Il disarmo dei movimenti ribelli e la realizzazione di un esercito legittimo ed efficiente sono le maggiori sfide che il neo-eletto presidente Faustine Archange Touadera si troverà ad affrontare. Ciò spiega la permanenza delle missioni internazionali e dei contingenti francesi. Com’è noto, infatti, la Francia cura molto le relazioni con i territori una volta appartenenti ai domini coloniali ed è più volte intervenuta in situazioni di crisi interne mandando in aiuto le proprie forze armate.

Il ritiro dei contingenti da Bangui non è, certo, una sorpresa. La missione francese ha avuto sin dalle sue origini un carattere temporaneo e nel corso degli anni la Francia ha cercato di alleggerire- quando le condizioni lo hanno reso possibile- la propria presenza militare nel paese. Garantire, tuttavia, la continua presenza di alcune unità anche in futuro sottolinea ancora una volta l’impegno francese all’estero, segno evidente che, nonostante la situazione internazionale e le continue minacce al paese, la Francia difende i propri valori di nazione libera e la sua posizione influente nell’ex impero coloniale.

 

Paola Fratantoni

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France to withdraw from CAR

Defence di

The news was announced by the French Defence Minister Jean – Yves Le Drian during his visit in Bangui. Operation Sangaris, launched by France in December 2013 in response to the UN resolution 2127 (5 December 2013), will end in 2016. “We can finally see the country emerging by a long period of trouble and uncertainty”, the minister said. In two years, the mission was able to restore stability in the country, thus fulfilling its objectives. Perhaps this is the reason behind French decision to withdraw its contingents.

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Disorder in CAR began in March 2013, when a Muslim rebel movement, known as Seleka, overthrew the government of the Christian president Francois Bozize, replacing him with their leader Michel Djotodia. The Djotodia government remained in office for 10 months: at that period, the ethnic violence between the Muslim minority and the Christian majority spread out in the country, thus causing the death of thousands of people.

The international community reacted unanimously and approved the above resolution. This resolution not only condemned the spiral of ethnic and religious violence fueled by rebel groups, but also authorized the deployment of MISCA mission (Mission internationale de soutien à la Centrafrique sous conduite africaine). This mission authorized French forces to take all necessary measures -in respect of the mandate- to achieve the three main objectives of the mission: disarmament of armed groups, restoration of civil authority and support in the preparation of the elections.

Begun with 1,600 soldiers, Operation Sangaris had around 2,500 men deployed at its peak. The Djotodia government proved to be unable to keep rebels -who had brought him to power- under control, thus dragging the country into a civil war. The situation improved after the resignation of the President and the appointment of a transitional government led by Catherine Samba-Panza, the first woman president of the country. Improvements in CAR security contest induced the French government to reduce the forces gradually, while continuing supporting the international mission.

Today, France has 900 units deployed in the Central African Republic. Minister Le Drian stressed that 300 soldiers will remain there even after the end of Operation. These troops will support the UN mission MINUSCA (Multidimensional Integrated Stabilization Mission in the Central African Republic) and will participate in the training mission led by the European Union (EUTM RCA). Some units will provide security at the airport; others will be based in Ivory Coast and in the Sahel region ready to intervene if necessary.

As Le Drian refers, in fact, the security environment in the country has significantly improved, but there are still problems to be solved. The disarmament of rebel movements and the creation of a legitimate and efficient army are the major challenges that the newly elected President Faustine Archange Touadera will face. This explains the permanence of international missions and French forces. As it is known, indeed, France cares about the relations with the territories once belonging to its colonial empire and has repeatedly helped in internal crisis by sending its armed forces.

The withdrawal from Bangui is not a surprise. From the beginning, French mission was supposed to be a temporary mission and over the years, France has tried to decrease- when conditions made it ​​possible- its military presence on the ground. However, ensuring the continued presence of some units in the future once again emphasizes French commitment abroad -a clear sign that, despite the international situation and the threats to the country, France defends its values ​​of free nation and his influential position in the former colonial empire.

 

Paola Fratantoni

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Myanmar: finalmente il primo presidente eletto

Asia di

Per il Myanmar è arrivato finalmente il punto della svolta. Dopo 56 anni di regime militare, nel paese del sud-est asiatico si è insediato un governo democraticamente eletto, grazie alla vittoria della Lega Nazionale della Democrazia (NLD) nelle consultazioni dello scorso novembre.

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Il primo presidente civile del nuovo corso si chiama Htin Kyaw. Inizialmente indicato dai media occidentali come il semplice autista di Aung San Suu Kyi, Kyaw è sempre stato, in realtà, il più stretto collaboratore del leader della NLD ed ha accettato il ruolo di primo ministro solo in conseguenza del divieto costituzionale che impedisce alle persone imparentate con un cittadino straniero di ricoprire la carica di premier.

Suu Kyi, premio Nobel per la pace e simbolo della lotta per la democrazia contro la giunta militare, è stata sposata fino al 1999 con il britannico Michael Aris, dal quale ha avuto due figli con doppia cittadinanza. La legge le impedisce dunque di assumere formalmente i poteri e le responsabilità della presidenza, ma l’”Orchidea di ferro”, come fu rinominata durante gli anni della militanza e della prigionia, ha già chiarito che intende governare attraverso la figura del suo fedele collaboratore. Si configura dunque una sorta di premierato per interposta persona.

Htin Kyak, 69 anni, ha giurato fedeltà, con i suoi ministri e due vice-presidenti, al popolo del Myanmar, di fronte al Parlamento riunito in seduta plenaria nella capitale Nay Pyi Taw. Nella lista dei nuovi membri del governo spicca il nome di Aung San Suu Kyi, che si occuperà direttamente di affari esteri, educazione, energia e dell’ufficio di presidenza. Tanto per chiarire che tutte le decisioni più importanti passeranno comunque dalla sua scrivania.

Altri tre ministeri chiave, la difesa, gli interni e gli affari di confine, resteranno sotto il controllo dei militari, ai quali spetta anche la nomina di un quarto dei membri del parlamento ed il potere di veto sulle riforme costituzionali. Limitazioni inevitabili, per garantire un cambio di potere pacifico, concordate nei negoziati tra Aung San Suu Kyi e l’ex presidente Thein Sein, al potere per cinque anni ed espressione della giunta militare.

Di San Suu Kyi, simbolo del paese, si sa praticamente tutto. Chi è invece il nuovo presidente Kyaw? Lui e la leader della NLD hanno frequentato insieme le scuole superiori e da allora sono legati da una forte amicizia. Ha studiato informatica nel Regno Unito ed in Giappone ed ha sempre mantenuto un basso profilo, facendosi apprezzare, una volta rientrato in patria, per l’onestà e la lealtà alla causa della democrazia. Durante i quindici lunghi anni della detenzione, è stato tra i pochi ad avere accesso alla casa prigione di Suu Kyi e, dopo la liberazione, è stato spesso visto al suo fianco, anche nelle vesti di autista. E’ sposato con la figlia di uno dei fondatori della Lega Nazionale della Democrazia, anch’essa deputata al Parlamento nazionale, e in passato si è occupato della Fondazione Daw Khin Kyi, un ente benefico intitolato alla defunta madre del premio nobel.

Nel suo discorso di insediamento il neo-Presidente Kyaw ha fatto riferimento alle sfide complesse che attendono il paese, a partire dalla necessità di un cessate-il-fuoco che ponga fine, al più presto, ai conflitti armati che da decenni contrappongono il potere centrale ed alcune minoranze etniche. Kyaw ha inoltre affermato che il nuovo governo ha intenzione di introdurre cambiamenti costituzionali, per rendere la Carta fondamentale del paese coerente con i moderni principi democratici.

Quest’ultimo impegno è certamente il più difficile da realizzare perché l’esercito, a cui l’attuale costituzione garantisce ampissimi poteri, non appare intenzionato ad assecondare altri cambiamenti. Ma solo cinque anni fa il Myanmar era costretto ad affrontare pesanti sanzioni economiche, poiché era considerato dalla comunità internazionale come un regime militare oscurantista, con migliaia di prigionieri politici e totale assenza di libertà di espressione. Molte cose sono migliorate, da allora, grazie soprattutto all’impegno di Aung San Suu Kyi e del suo movimento. Il futuro, oggi, appare pieno di promesse alle quali è lecito credere.

 

Luca Marchesini

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Myanmar: finally the first elected president

Asia @en di

For Myanmar’s finally the turning point. After 56 years of military rule, in the country of Southeast Asia took office a democratically elected government, thanks to the victory of the National League of Democracy (NLD) in the last November consultations.

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The first civilian president of the new course is called Htin Kyaw. Initially indicated by the Western media as the simple driver of Aung San Suu Kyi, Kyaw has always been, in fact, the closest collaborator of the NLD leader and has accepted the role of prime minister only in consequence of the constitutional ban that prevents people married into a foreign national to hold the office of prime minister.

Suu Kyi, Nobel Peace Prize and a symbol of the struggle for democracy against the military junta, was married until 1999 with the Briton Michael Aris, with whom she had two children with dual citizenship. The law therefore prevents her from formally assume the powers and responsibilities of the presidency, but the ” Iron Orchid “, as she was renamed during the years of militancy and imprisonment, has already made clear that she intends to govern through the figure of his loyal collaborator . It therefore constitutes a sort of indirect premiership.

Htin Kyak, 69, has vowed loyalty, with its ministers and two vice-presidents, to the people of Myanmar, in front of the Parliament, in a plenary meeting, in the capital Nay Pyi Taw. In the list of new members of the government stands the name of Aung San Suu Kyi, who will deal directly with foreign affairs, education, energy and the Bureau. Just to clarify that all important decisions will pass anyway from his desk.

Three other key ministries, such as defense, interior affairs and border affairs, will remain under the control of the military, which also nominates a quarter of members of parliament and keep the veto power on constitutional reforms. Those inevitable limitations, to ensure a peaceful change of power, was agreed in talks between Aung San Suu Kyi and former President Thein Sein, in power for five years and expression of the military junta.

About San Suu Kyi, symbol of the country, we know practically everything. But who is the new president Kyaw? He and the leader of the NLD have attended high school together and have been since then tied by a strong friendship. He studied computer science in the United Kingdom and Japan, and has always maintained a low profile, being appreciated, once back at home, for honesty and loyalty to the cause of democracy. During the fifteen long years of detention, he was among the few to have access to the prison house of Suu Kyi and, after the liberation, was often seen by his side, even in the guise of a driver. He’s married to the daughter of one of the founders of the National League of Democracy, also Member of the National Parliament, and in the past was involved in the management of the Daw Khin Kyi Foundation, a charity whose name is dedicated to the late mother of the Nobel Prize.

In his inaugural speech, the new President Kyaw has referred to the complex challenges facing the country, first of all the need for a cease-fire to end, as soon as possible, to armed conflicts that for decades opposed the central power to several ethnic minorities. Kyaw also stated that the new government plans to introduce constitutional changes, to make the fundamental law of the country in line with modern democratic principles.

This last commitment is certainly the most difficult to achieve because the army, to which the current constitution guarantees vast powers, does not appear willing to permit other democratic changes. But just five years ago, Myanmar was forced to face severe economic sanctions, because it was considered by the international community as an obscurantist military regime, with thousands of political prisoners and the total absence of freedom of expression.

Many things have improved since then, largely through the efforts of Aung San Suu Kyi and her movement. The future, today, appears full of promise to which it is permissible to believe.

 

Luca Marchesini

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Luca Marchesini
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