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Ucraina, Kiev: almeno un morto e 90 feriti

BreakingNews/EUROPA di

Almeno un morto e circa 90 feriti, soprattutto poliziotti e volontari della Guardia Nazionale Ucraina, dopo una serie di ordigni fatti esplodere nella piazza antistante al Parlamento di Kiev da parte di manifestanti della destra nazionalista, in particolare riconducibili al partito Svoboda. La protesta è divampata a seguito dell’approvazione della prima bozza della riforma costituzionale sul decentramento istituzionale che, in linea con gli accordi di Minsk 2, prevede lo statuto speciale per le regioni di Donetsk e Lugansk.

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Un ritorno alle proteste di piazza nella capitale, dunque, ad un anno e mezzo dagli scontri di Maidan. Se gli accordi di Minsk 2 finora non erano stati rispettati per il susseguirsi degli scontri nel Donbass e il continuo rimbalzo di accuse tra Kiev e Mosca, adesso sono i gruppi nazisti a non volere cedere sul piano delle autonomie. La stessa parte politica che, negli ultimi mesi, ha visto arruolare il maggiore numero di volontari tra le brigate che combattono contro i separatisti filorussi.

Oltre alla questione dei jihadisti loro alleati in questa guerra civile, oltre alla crisi economica ucraina ormai endemica testimoniata da un debito pubblico fuori controllo, si pone il problema della collocazione nella società civile di alcuni soggetti politici sorti in difesa dei confini ucraini. La questione, infatti, non è più solo porre fine al conflitto interno al Paese e a quello internazionale che coinvolge Nato e Russia, ma il ritorno alla normalità di uno Stato che rischia di rimanere irrimediabilmente segnato al proprio interno: la destra nazista e miliziani islamisti potrebbero costituire un problema reale a due passi dall’Europa.
Giacomo Pratali

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Yemen: la coalizione saudita prende di mira i civili

Medio oriente – Africa di

I morti dall’inizio dei bombardamenti sunniti sono in constante crescita. Nonostante questo, gli sciiti Houti tentano a tutti i costi di conquistare Aden. Un intervento della comunità internazionale, in special modo degli Usa, è necessario affinché questa strage, che sta prendendo di mira anche i campi profughi, cessi.

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Si fa sempre più cruento il conflitto nello Yemen. Da una parte, i ribelli Houti continuano la loro avanzata verso il centro di Aden. Dall’altra, la coalizione sunnita, guidata dall’Arabia Saudita e supportata dagli Stati Uniti, ha preso di mira Sanaa, roccaforte sciita.

I numeri sono impietosi. Oltre 200 morti (74 bambini) e almeno 1300 feriti dall’inizio del conflitto due settimane fa. Cifre di uno scontro recente tra ribelli locali ed aviazione saudita, cifre che diventano drammatiche se pensiamo che la guerra civile tra sciiti ed esercito regolare degli anni Duemila ha portato quasi 13mila persone a vivere nei campi profughi. Gli stessi campi profughi colpiti dai bombardamenti aerei dei sunniti.

Mentre sono in corso le consultazioni presso il Consiglio di Sicurezza Onu, è necessario una ricomposizione del conflitto a livello internazionale. Nel giorno di Pasqua, i dirigenti Houti si sono detti pronti a trattare la pace se la coalizione sunnita cesserà il forcing via terra e via mare. Di contro, il re saudita Salman ha aperto, a parole, al cessate il fuoco. Frasi subito smentite dai fatti.

Il ministro della Difesa del Pakistan Asif ha riferito, ai media internazionali, che l’Arabia Saudita ha fatto esplicita richiesta di aiuti militari. Mentre è Riyad stessa ad appoggiare l’esercito regolare yemenita nel tentativo di frenare l’avanzata sciita presso Aden.

Il ruolo decisivo è ancora una volta degli Stati Uniti. Lo Yemen è sì incontrollabile e simile al caso Afghanistan. Tuttavia, questa guerra, non più solo civile, potrebbe rilanciare le ambizioni sunnite su tutta l’area mediorientale e dare benzina all’offensiva dello Stato Islamico in Siria, Iraq, Libia e Nigeria. Infine, non è accettabile che questa palese “violazione dei diritti internazionali e delle leggi di guerra”, citando il rappresentante Ue Mogherini e il segretario generale Ban-Ki Moon, sia in atto con il rumoroso silenzio-consenso di Washington.

Giacomo Pratali

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Giacomo Pratali
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