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Referendum Kurdistan: La corte suprema di Baghdad lo dichiara incostituzionale

MEDIO ORIENTE di

Il Kurdistan non otterrà l’indipendenza dall’Iraq. Da Baghdad arriva infatti la conferma delle impressioni che aleggiavano intorno al referendum curdo del 25 settembre scorso. La corte suprema lo dichiara incostituzionale. Verranno dunque cancellati i risultati della votazione, che avevano sicuramente fornito un verdetto chiarissimo. Il 93% della popolazione curda aveva votato per l’indipendenza da Baghdad.

Il nodo per cui si è arrivati alla bocciatura, da parte del governo centrale,  ruota intorno all’ articolo 1 della Costituzione irachena, la quale sancisce che “lo Stato federale è pienamente sovrano, la cui forma di governo garantisce l’unità dell’Iraq”. La Corte suprema ha poi sottolineato che oltre l’articolo 1 vi è il 109 ad essere contraddetto, dal momento che “impone il mantenimento dell’unità nazionale da parte di tutte le autorità federali”. L’ alto tribunale ha dunque sancito che la carta costituzionale non consente nessuna separazione.

Il 6 novembre scorso la corte aveva già emesso una sentenza su richiesta del governo centrale di Baghdad secondo cui nessuna provincia o regione irachena avrebbe potuto rendersi indipendente. Il 14 novembre era arrivata da Erbil la notizia per cui il governo curdo avrebbe accettato la decisione della corte.

La sentenza era arrivata in seguito al rifiuto, da parte del presidente iracheno Haider Al Abadi, di congelare l’esito del referendum. L’unica condizione sufficiente per riaprire i negoziati con Erbil era l’annullamento dei risultati

L’area geografica interessata è la regione che si trova a nord dell’Iraq, confina con Iran, Turchia e Siria. Il Kurdistan Iracheno fu istituito nel 1991 ma solo dal 2005 assume le attuali caratteristiche da regione autonoma, il suo capoluogo è Erbil.

Dalla data del referendum ad oggi, per il Kurdistan, che tenta di creare un proprio stato dipendente da sempre, le ripercussioni sono state molteplici. Tutti i paesi confinanti si sono opposti all’indipendenza. Turchia e Iran avevano minacciato di chiudere i loro confini e di cancellare gli accordi commerciali e sulla sicurezza con il governo di Erbil.

Il Parlamento di Bagdad aveva chiesto al suo Presidente di bloccare le frontiere tra l’Iraq e la Regione autonoma a partire dalle 6 del pomeriggio di venerdì 29 settembre. Via terra e via cielo. Passa poco più di un giorno e il sito ufficiale dell’aeroporto di Erbil comunica che; “La no flight zone durerà sino al prossimo 29 dicembre”.

Un altro motivo di discussione tra Baghdad ed Erbil è sicuramente la contesa, per via delle sue ampie riserve di petrolio, del territorio della provincia di Kirkurk. La sicurezza di questa zona è garantita  dai peshmerga curdi, ma è il governo di Baghdad che fa le leggi; il suo governatore è curdo, ma la maggior parte dei funzionari della provincia è araba.

 

Kurdistan, Bagdad muove le truppe verso Kirkuk dopo il referendum

ASIA PACIFICO di

Dopo il voto referendario dello scorso 25 settembre il governo  della regione autonoma del Kurdistan aveva assunto una posizione attendista non dichiarando subito l’indipendenza e lasciando una porta aperta al dialogo con il governo centrale di Bagdad che però sembra non essere rimasta tale.

In un comunicato diramato dal governo regionale di Erbil viene denunciata una massiccia operazione militare da parte dell’esercito regolare Iracheno e delle milizie Ashd e Shaabi si sta svolgendo in queste ore nella regione con l’obiettivo dichiarato dall’intelligence Kurda di prendere possesso delle citta di Mosul e di Kirkuk e i relativi giacimenti petroliferi.

Il governo della regione autonoma del Kurdistan Iracheno chiede alla comunità internazionale di intervenire e di salvaguardare la sicurezza dell’autonomia e della popolazione Kurda che tanto ha dato nella lotta al terrorismo nell’area.

Kurdistan Iracheno, in attesa del risultato referendario

ASIA PACIFICO/POLITICA di

Erbil, il referendum annunciato dopo la consapevolezza che il percolo Isis era ormai sotto controllo è in atto. La città di quattro milioni di persone è interamente coinvolta e partecipe, le bandiere della regione autonoma del Kurdistan sventolano dalle finestre e dalle auto nel traffico della ring road locale, mentre in tutta la regione sono 5,6 milioni i curdi chiamati al voto.

Per il referendum questo è il momento migliore, forse l’unico, forte della resistenza al terrorismo islamico che ha compattato tutta la popolazione contro un unico nemico e che di fatto ha permesso il controllo del territorio lasciato indifeso dall’esercito nazionale iracheno, discioltosi all’avanzare delle bandiere nere.

Il Presidente Barzani  però non riesce ad ottenere il sostegno internazionale che pensava di avere, Trump  non ha voluto schierarsi con i Kurdi  come molte delle cancellerie occidentali, solo Israele ha dichiarato il suo sostegno all’indipendenza Kurda con l’evidente obiettivo di  bloccare il piano Iraniano di sviluppare il famoso corridoio sciita.

Oltre confine invece la Turchia è assolutamente contraria per il timore di vedere convergere su questo stato indipendente anche i curdi di Turchia, Siria e Iran con evidenti problemi politici e di sicurezza nazionale.

D’altronde solo in questo momento Barzani poteva provare ad incassare il credito speso con la difesa e liberazione di Kirkuk prima e Mosul poi con grande dispendio di vite umane.

Attendiamo allora la chiusura delle urne per capire come si muoverà il governo centrale di Bagdad nei confronti della Regione Autonoma alla quale non permetterà certo di appropriarsi dei pozzi petroliferi di Kirkuk e delle relazioni con i principali attori della zona, Siria, Iran, Truchia e la coalizione internazionale

Cooperante italiano ferito, nessuno lo attendeva in Kurdistan

Alessandro De Ponti, attivista italiano di 23 anni, ferito dalla polizia di confine mentre tentava di attraversarlo dalla Turchia alla Siria era partito da Treviglio con l’idea di sostenere la resistenza dei Peshmerga Curdi come cooperante.

Nostre fonti  in loco vicine al governo Curdo  però smentiscono ci fosse nessun legame con il giovane, e affermano che “nessuno lo conosce, ha fatto tutto testa sua, come uno che non sa che sta nel mezzo di una guerra”

Non è chiaro quindi quali fossero le reali intenzioni del giovane ‘attivista italiano che è in stato di fermo a Erbil dalle autorità curde che stanno procedendo agli accertamenti del caso.

Il caso rimarca quanto sia importante una maggiore attenzione alla verifica delle attività estere delle varie associazioni di volontariato e che siano certificate per l’operatività in aree a rischio e in qualche modo possano garantire l’incolumità dei propri operatori certificandosi presso il ministero degli esteri e con corsi di formazione specifici.

Alessandro Conte

Alessandro Conte
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