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Matteo Paolillo: la sua voce incanta Roma

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Abbiamo avuto la possibilità di assistere al concerto di Matteo Paolillo all’Atlantico di Roma, per il suo Come Te tour, curato da OTR live. Paolillo è un giovane artista salernitano, classe 1995, che ha raggiunto la notorietà soprattutto grazie alla serie televisiva Mare Fuori, in cui interpreta il ruolo di Edoardo.

Oltre alla recitazione, è appassionato di musica, e sin da ragazzo ha deciso di seguire le orme di Salmo per creare brani che mixino stile rap e trap, con il rock e il pop.

Apertura di tutto rispetto con Samia (candidata a Sanremo giovani nel 2021) e Rondine, talentuoso diciottenne, che ha stregato il pubblico con la sua bellissima voce e il volto da bimbo nascosto da una cascata di riccioli.

È stata quindi la volta di Matteo Paolillo, con un’introduzione video che ha ripercorso i suoi testi. La clessidra, l’orologio, le sbarre, il tempo che passa, imprigionandolo dietro una parete led, da cui traspare la sua figura. Si apre così uno degli show visivamente più interessanti degli ultimi tempi. “Intro/L’Arte” poi “Liberatemi”; due grandi ali bianche si stagliano dalla sua figura ancora imprigionata, in riferimento a Icaro, suo pseudonimo, e pronte a farlo volare libero. Un inizio esplosivo, tra le grida del pubblico, emozionato dalla presenza dell’artista.

Sono quasi duemila le persone venute all’Atlantico di Roma, riaperto per l’occasione dopo oltre 18 mesi, per applaudire il loro beniamino, l’amatissimo Edoardo di Mare Fuori.

Impossibile scindere l’attore dal cantante, le due carriere sembrano intrecciarsi in una passione unica. Portano la sua firma e la sua voce, infatti, i celebri brani legati alla serie, che ha eseguito questa sera: “Origami all’alba”, “Sangue nero” e l‘acclamatissima “’O mar for”, regina di tutti i record di ascolti.

Due carriere intrecciate e interconnesse, in cui mostra grande empatia e volontà di raccontarsi, anche nelle parti più fragili. La finzione da una parte e la propria storia, il proprio pensiero come espressione, nella seconda.

La gavetta nei teatri gli ha dato la giusta consapevolezza di come muoversi su un palco e gestire il proprio corpo nello spazio, oltre al timbro vocale e la grande capacità di coinvolgere il pubblico presente.

Paolillo ha eseguito un repertorio di brani tratti dal suo album “Come te”, oltre a un omaggio alla sua città d’adozione, a cui ha dedicato “Roma nun fa la stupida stasera”, e una cover di “Meraviglioso” di Domenico Modugno.

Le sue nuove canzoni spaziano dal rap al pop, con testi che raccontano la vita, i sogni e le speranze. Una voce e una scrittura molto personali, che non temono di esplorare i lati più umani e mostrare le proprie vulnerabilità.

Accompagnato da una band di tutto rispetto, l’artista ha dimostrato di avere una grande presenza scenica e una voce potente. Ha interagito spesso con il pubblico, scherzando e avvicinandosi, per leggere i numerosi striscioni a lui dedicati e affrontando temi delicati come la lotta contro la violenza di genere e l’educazione ai sentimenti.

Il concerto di Matteo Paolillo è stato un’esperienza energica e coinvolgente, con le meravigliose istallazioni scenografiche sui led, curate da Stefano di Buduo. L’artista ha dimostrato di avere un talento naturale per la musica e un grande carisma. Ha duettato con PJ e dedicato un brano all’ospite della serata, la collega Ludovica Coscione (Teresa in Mare Fuori) che ci ha regalato un monologo da brividi. Il finale non poteva che essere un grande omaggio alla fortunata serie TV che lo ha lanciato, con la versione remix di “’O mar for” e Matteo che invita il pubblico a lasciare per un attimo da parte i telefonini e divertirsi insieme a lui.

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We Will Rock You: il musical teatrale con i successi dei Queen al Teatro Olimpico

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Uno degli spettacoli più rappresentati al mondo, il musical “We will rock you”, è tornato ieri sera a Roma al Teatro Olimpico nella prima delle due serate, di questa nuova edizione applauditissima da un pubblico entusiasta.

Scritto dal comico e scrittore britannico Ben Elton insieme a due grandissimi della rock band dei Queen, ovvero Roger Taylor e Brian May, lo spettacolo ha fatto registrare 35.000 presenze in 30 repliche nella prima parte del tour 2023.

Lo spettacolo non è, come potrebbe apparire, un musical sui Queen, né sulla loro storia,  ma bensì, pur nella leggerezza dello show, un inno ad un sogno comune di un mondo diverso possibile, fuori dalle omologazioni, dal controllo dei pochi sui tanti e dall’accentramento del potere.
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EDDA : L’umanità di cui non vorremmo fare a meno

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Ad aprire le danze questa sera sul palco dell’Angelo Mai, per la serata speciale Preview di MArte live, il giovane Marco Fracasia. Talento sognante e sospeso, scrive e canta canzoni che di solito registra a casa di sua nonna. Torinese, ha 21 anni e le sue influenze vanno dalla lo-fi, al dream pop e l’indie. Con i suoi EP ha dimostrato una scrittura molto intima e personale che cattura l’ascoltatore. Ne avevamo già parlato qui, in occasione dello Spring Attitude Festival. Questa sera ha presentato una manciata di brani intimi e minimali, che trasportano nella realtà molto personale dell’artista.

E poi la volta dell’attesissimo Edda, insieme ai Semplici, per presentare il loro Minimal/animal set tour.

Dopo i concerti di presentazione dell’album “Illusion”, uscito a settembre 2022 per AlaBianca Group e prodotto da Gianni Maroccolo (Litfiba, CCCP, CSI, PGR, Marlene Kuntz), Edda è tornato a esibirsi dal vivo nei club italiani per una serie di date con la sua collaudata band, i Semplici.
“Edda e i Semplici perfettamente allineati col progetto cosmico del Signore Supremo scendono di nuovo in campo. Karmicamente schierati in versione duo o trio presenteranno nei club di tutto il Regno la collezione autunno inverno delle loro canzoni più celebri.
Il morale è alto, la gloria ci attende. Viva l’Italia. Durante i concerti sono previsti anche momenti di catechesi, indottrinamento e propaganda. Portate con voi i vostri dubbi, ne uscirete confusi e felici”, annuncia Stefano “Edda” Rampoldi, per presentare queste nuove date.

Scarni ed essenziali, sono In tre a dividersi il palco, e aprono il concerto con “Mio capitano”, estratto dall’ultimo album Illusion, seguita da “Benedicimi”, da Graziosa Utopia. Saranno questi due album i grandi protagonisti del live, anche se non mancano brani da Semper Biot, e Stavolta come mi ammazzerai. La dimensione dal vivo esalta la vocalità inconfondibile di Edda, musicista di culto sin dai tempi il cui era frontman dei Ritmo Tribale, e che è tornato sulla scena musicale da cantautore dopo qualche anno di assenza. Molto apprezzato dalla critica e dagli addetti ai lavori, non ha (misteriosamente) mai avuto il successo commerciale che meriterebbe. Non è per tutti la sua musica, d’altronde, e  c’è chi lo ama visceralmente e chi proprio non lo capisce. Nonostante le melodie ben definite, il sound pulito e l’estensione vocale, è il suo modo irriverente e fuori da ogni schema a non risultare digesto a tutti. Parole uscite di getto, catene di associazioni e flusso di pensiero che costituiscono dei testi profondi, pieni di rabbia, dolore e ironia. Ci sono temi ricorrenti che evidentemente abitano il subconscio di Rampoldi, Eros e Thanatos, amore, morte, famiglia, religione, accenni di filosofie orientali. Ascoltare Edda è un’esperienza liberatoria. Col suo modo lancinante di strappare le note e far crollare concetti rigidi e confini. E’ uno dei musicisti più liberi del panorama musicale, sembra non preoccuparsi di forma e contenuti, lasciando sgorgare parole a volte al limite dell’indicibile, che la maggior parte di noi soffocherebbe e che lui invece canta con una tale naturalezza da risultare innocenti. Malinconiche e strazianti “Sai bene” e “Organza”, solo voce e tastiera, poi si sale di tono e volume con Picchiami e Bellissima. Si piange, si ride, si canta a squarciagola ai concerti di Edda, soprattutto nel crescendo conclusivo che porta le hit “Zigulì” “Signora” e “Spaziale”, per poi terminare con “L’innamorato”. Il pubblico non è ancora appagato e così Edda ci regala un brano extra. Canta una versione dissacrante e Rampoldiana di “Dentro Marylin” degli Afterhours, perché, spiega, è invidioso del loro successo. Un personaggio dotato di grande empatia ed estro artistico, da analizzare minuziosamente o da vivere con la serenità dell’istinto. Contraddittorio fino al midollo, nel suo mix di saggezza e attitudine punk, e con una irresistibile dolcezza che si sprigiona persino dai testi più crudi. Impossibile non affezionarsi a Edda, che anche in questo concerto ci ha commossi nei picchi più emotivi, confermandosi uno dei cantautori più importanti della musica italiana attuale.

 

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E’ (ancora) il nostro genere Willie Peyote

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Ha fatto tappa a Roma, all’Orion di Ciampino, il tour invernale che porta Willie Peyote nei principali club italiani, organizzato da Magellano Concerti.

Affollato come non mai, il club sembra essere l’habitat più giusto per i brani di Willie, che richiedono una certa intimità con il pubblico, con i loro testi irriverenti, e che allo stesso fanno muovere qualche passo grazie ai ritmi rap, funk e pop.

A dieci anni da “Non è il mio genere, il genere umano”, Willie fa il punto sulla situazione, dai suoi esordi a oggi, con il “Non è (ancora) il mio genere” club tour.

Parte dagli esordi, quindi, e, come in un cerchio che si chiude perfettamente, cita il titolo dell’album e contemporaneamente una frase dal brano UFO (Non è ancora il mio genere, scrivilo sulla lapide) che riassume quanto dissenso, quanta voglia di non sottostare alle regole e ai dettami della società, ci sia ancora nella penna del nostro Willie Peyote.

Amore invece per i giochi di parole, l’ironia e l’intelligenza, di cui si serve per porre domande su questioni sociali e personali, che dipingono una realtà diversa da quella che a volte vogliamo vedere.

Starà al pubblico poi scegliere se cercare di darsi delle risposte o proseguire con leggerezza, passando oltre il significato e limitandosi ai ritmi accattivanti e ai sorrisi amari che molti dei suoi brani riescono a strapparci.

Il genere non è solo quello umano, ma anche quello musicale. Dai suoi esordi come rapper atipico, lontano quindi da certi stereotipi, passando per pop, indie, cantautorato, sicuramente vanta la giusta dose di questi ingredienti nel suo stile atipico, senza appartenere fedelmente ad alcun genere o etichetta precisa.

È decisamente rap/hip hop old school la matrice dei brani, nel loro parlare crudo e scandito e nei testi taglienti, ma c’è molto altro. Accompagnato da un’eccellente band composta da batteria, tastiere, chitarra e trombone, si intravedono scorci di rock, venature indie, suoni pop e ritmi funk.

La scaletta è ampiamente dedicata all’Album “Non è il mio genere (il genere umano)”, e non mancano naturalmente i suoi manifesti del disincanto sentimentale come “La tua futura ex moglie”, “Ottima scusa”, del disagio sociale delle nostre generazioni, come “Io non sono razzista ma”, “I cani”, la sanremese “Mai dire mai”, “C’era una vodka” e molte altre dal suo esteso repertorio, inclusa “Aglio e Olio” di Fulminacci.

Willie Peyote ha il dono di sbatterci in faccia verità dolorose, facendoci sorridere e toccando i tasselli vacillanti delle nostre abitudini mal radicate.

È un esempio rassicurante di come la musica, e il rap/urban in particolare, abbiano l’opportunità di comunicare con un numero elevato di persone, e siano in grado di farlo in modo profondo, intelligente, e tutt’altro che pesante o noioso.

In mezzo alla scaletta un breve omaggio al concittadino Paolo Conte con “Vieni via con me”, e un accenno al riff di chitarra di “Do I wanna know” degli Artic Monkeys, a sottolineare l’eclettismo e la professionalità di Willie Peyote e di tutta la band. Questa sera oltre alle capacità tecniche hanno dimostrato energia, ottima padronanza del palco, empatia con il pubblico e tanta sincerità, confermandoci che Wille Peyote, decisamente, è (ancora) il nostro genere.

 

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Il segreto dei mille volti di Venerus

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Grande attesa per questo nuovo live di Venerus, a pochi mesi dall’ultima esibizione dello scorso giugno a Roma. Il nuovo tour invernale “‘18-’23 Club Tour”, prodotto da Palace Agenzia, lo sta portando infatti nei principali club italiani elo abbiamo visto nello spazio più raccolto dell’Orion Club di Ciampino.

«‘18-‘23 sono le coordinate del viaggio percorso da “Non ti conosco” fino a “Il Segreto”» racconta Venerus «Questo tour è un momento di raccoglimento per guardarsi negli occhi e ripercorrere tutto quello che è successo dall’inizio fino ad ora e magari sbirciare verso il prossimo futuro.»

Da sempre fortemente legato alla dimensione live, l’artista milanese con il “‘18-’23 Club Tour” aggiunge un nuovo tassello alla sua carriera ed è ora pronto a calcare i palchi dei club più rinomati, per dare risalto a tutte le tappe del suo già ricco percorso musicale: dai primi singoli e EP che lo hanno avvicinato al pubblico come “A che punto è la notte” (2018)  e “Love Anthem” (2019, contenente l’ormai iconico “Love Anthem, No. 1”, brano certificato disco d’oro), fino all’atteso album di debutto “Magica Musica” (2021, disco d’oro), apprezzato da fan e critica, e “Il Segreto”, uscito il 9 giugno scorso per Asian Fake/Sony Music, con cui ancora una volta svela all’ascoltatore le sue mille sfaccettature, sonorità e sperimentazioni continue.

Sale sul palco in abbigliamento a metà strada tra una barbuta sposa circense e una divinità indù e, forse anche grazie ai giochi di luci sul palco, tra gli strumenti e gli oggetti decorativi, come le mani in posa mudra poggiate sulle tastiere, caliamo subito nel suo universo onirico. Un viaggio tra i suoi brani, senza fronzoli, senza aggiunte, puro, ricco di suggestioni e profondo come ci ha abituati la sua musica fino a oggi. Venerus – cantautore e polistrumentista – è un’anima libera dalle etichette, che con la sua musica fuori dagli schemi – ma proprio per questo unica e magica- rappresenta una perla rara nel panorama contemporaneo. Il “‘18-’23 Club Tour” costituisce una nuova occasione per entrare nel suo mondo, fatto di atmosfere oniriche, condivisione e libertà.

Circondato dalla fida e ottima band composta dal produttore Filippo Cimatti e dai musicisti Danny Bronzini alla chitarra, Andrea Colicchia al basso, Elia Pastori alla batteria e Danilo Mazzone all’organo e tastiere, l’esibizione di questa sera è stata anche teatro delle mille sfaccettature e caratteristiche di Andrea Venerus.

Il trasformismo, non solo nei costumi e nel look, penetra ogni nota dei suoi lavori, rendendolo uno degli artisti più insoliti ed eclettici dell’attuale panorama musicale italiano. Venerus, cognome d’arte, è senza dubbi uno degli artisti che stanno contribuendo a innovare la scena musicale contemporanea. Libero e fuori da qualsiasi catalogazione, non segue i facili dettami delle mode e dei filoni musicali attualmente in voga, e viaggia su un binario a parte, coinvolgendo la sala in questo gioioso, commovente, lucido e sognante viaggio.

La scaletta di questa sera è un percorso circolare che inizia da adesso e si sposta a ritroso nel tempo, per poi tornare alla partenza. Il concerto inizia infatti con una manciata di brani dal suo ultimo album Il Segreto, per poi passare ai primissimi singoli “Non ti conosco” e “Deamliner”. Qualche brano dagli EP Love Anthem e A che punto è la notte, alternati sapientemente, per poi passare al primo album Magica Musica e concludere, come per incanto, tornando al presente de Il Segreto, con i brani più toccanti “Istruzioni” e la straziante “Il tuo cane”. Resteranno tra i nostri ricordi la bellissima e inaspettata la versione di “La collina dei ciliegi” di Lucio Battisti, e l’arrivo sul palco di Gemitaiz e Franco 126 per “senza di me”, una delle canzoni più iconiche di questi ultimi anni.

Impossibile assegnargli un genere musicale preciso, dicevamo, anche se il filo conduttore dei suoi brani è sicuramente la raffinatezza, che lega tutti gli stili e le sonorità di questa serata. I cambi d’abito sul palco sembrano rappresentare tutti gli stili, le influenze e le sfaccettature di questo artista, e i diversi piani di lettura e interpretazione delle sue canzoni. Mischia infatti vocalità soul, rap, accenni di jazz, assoli di chitarra elettrica, suoni della natura, strutture classiche o sperimentali, con l’elettronica, creando una sorta di urban music allucinata. Originale, strana, affascinante e mistica. Sono molti i momenti in cui la sua voce e il suo modo di cantare ti si aggrappano all’anima, te la strappano via dal petto, e la fanno volare via sulle note in una dimensione e in un tempo non descrivibili se non in quelli di un sogno. Una musica, in primo luogo umana e sofisticata, da seguire senza opporre resistenza. Venerus, ma dove andiamo, senza di te?

 

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Gazebo Penguins – Frammenti discreti e indivisibili

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È passato quasi un anno dall’uscita del loro ultimo album quando i Gazebo Penguins annunciano una nuova data,  all’ Orion Club di Ciampino all’interno delle serate Blackout.

Ad aprire la serata la band romana dei Wake Up Call, per promuovere il loro primo album in italiano “Doveva essere un disco indie”. Un titolo che preannuncia quello che la loro musica non è. Un album, come una raccolta di fotografie, che racconta undici storie diverse in formule che non si ripetono: tante sfumature, dalle canzoni più introspettive a quelle in cui l’ironia la fa da padrona, dalle sonorità più dure ai brani di più facile ascolto.

Dopo aver girato l’Europa e l’Asia con i loro brani in inglese, hanno deciso di tornare a casa e raccontarsi nella loro lingua madre.

Sul palco hanno una grande energia che, nonostante l’ora avanzata, accende gli animi del pubblico in attesa della seconda parte del live di questa sera. Si divertono, fanno divertire il pubblico e si portano a casa un concerto senza incertezze.

Dopo una manciata di minuti salgono sul palco gli headliners.

Di ritorno sulle scene a quasi un anno dall’uscita dell’ultimo album “Quanto” – pubblicato lo scorso 16 dicembre per Garrincha Dischi, con la collaborazione di To Lose La Track, storica etichetta della band, i GAZEBO PENGUINS si confermano uno dei gruppi più interessanti del post-hardcore/emo-core italiano.

Quanto” è un viaggio lungo 7 canzoni che attraversano l’obliquità dello spazio e del tempo, l’inesistenza del vuoto, i buchi neri, per raccontare concezioni del mondo inedite attraverso una visione sfocata, sfuggente. Come lo è l’atmosfera in cui veniamo proiettati durante il concerto, sepolti sotto un muro di suono denso e spesso, generato da sferzate di chitarra e colpi di batteria da cui si staglia un cantato urgente e urlato, quasi un grido disperato: un caos primordiale dove la tensione sonora è vivissima e sempre sul punto di esplodere.

Il titolo del nuovo album è legato alla meccanica quantistica, alle sue possibilità di mondi infiniti, e sia le tematiche che il loro approccio dal vivo si discostano in vari aspetti dai tanti altri gruppi che seguono lo stesso genere.

Esplorando concetti cari alla fisica moderna e alla filosofia della scienza, il nuovo album della band emiliana traccia un percorso che oltrepassa la superficie della realtà per addentrarsi più nel profondo, verso ciò che ancora non conosciamo.

A livello sonoro il gruppo propone soluzioni innovative, sperimentando in alcuni brani fino a spingersi al limite della destrutturazione, pur mantenendo le coordinate care ai fan che li seguono da anni e che cantano con forza tutti i loro ricordi nei brani più popolari della band, da “Senza di te” a “Soffrire non è utile”, brani che, incredibile ma vero, hanno ormai superato i dieci anni, appartenendo di diritto a quel momento cruciale in cui la musica italiana ha preso quella curva inaspettata che la ha cambiata radicalmente.

La band di Correggio infiamma la platea con ogni brano, la scaletta mescola con sapienza brani estratti dall’ultimo disco con altri del passato, con una grande capacità di svincolarsi dai cliché che si potrebbero associare al genere.

Gazebo Penguins sono distantissimi dai vari stereotipi del post punk-hardcore o dell’indie. Il sound creato è massivo ma pulito, la batteria di Pietro Cottafavi è precisa, le voci unite di Malavasi e Andrea Sologni creano un impasto al contempo straziante ed energico. Un muro di suoni da cui trapassano tutte le emozioni, senza lasciar fuori niente.

Un concerto senza pause, energico, in cui la tensione non ha mai accennato a diminuire, tenendo la platea col respiro spezzato, fino all’ultima nota.

 

 

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Il Tour di Ligabue “Dedicato a noi” a Roma

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Dopo il grande successo del concerto allo Stadio Olimpico dello scorso luglio, Ligabue è tornato ad esibirsi a Roma, questa volta sul palco del Palazzo dello Sport.

Uno show in una bellissima cornice di pubblico per l’evento sold-out, con fan più o meno giovani che hanno seguito lo spettacolo con un forte entusiasmo e partecipazione.

Sul palco con la sua band storica, in un’intesa consolidata garanzia di successo, il rocker di Correggio ha presentato il suo ultimo album, dal titolo “Dedicato a Noi”, che è anche il titolo  del tour che lo sta portando lungo tutta la penisola.

Ovviamente non è mancata anche l’esecuzione dei brani di successo che lo hanno reso famoso e così amati dal suo pubblico, quali “Certe notti”, “Urlando Contro il Cielo”, “Bar Mario” e “Piccola stella senza cielo”, solo per citarne alcuni.

Il Liga anche questa volta ha riproposto le sue caratteristiche indelebili nello scenario della musica italiana di questi ultimi decenni, ovvero i suoi marchi di fabbrica quali il timbro di voce inconfondibile, i suoi stivali a punta e i suoi gilet.

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Kaki King torna a Roma per una serata unica ed incantevole

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Serata intima e suggestiva per il concerto di Kaki King a Roma.

Katherine Elizabeth King all’anagrafe, la prodigiosa chitarrista statunitense torna in Italia con un nuovo tour, per celebrare il ventesimo anniversario del suo primo album “Everybody Loves You”. L’evento fa parte della kermesse “Unplugged in Monti”, che approda questa volta all’Alcazar di Trastevere.

Pubblico attento e composto quello che si riunisce al locale per ascoltare le magiche melodie dell’artista americana. Kaki King appare sul palco con la scioltezza di chi si prepara ad una serata tra amici. Sullo sfondo di una scenografia minimalista, avvolta da luci calde e soffuse, invita sorridente i presenti a sedersi a terra davanti a lei, ed imbracciata la sua chitarra, dà il via ad un concerto incantevole.

La maestria con cui Kaki accarezza le corde del suo strumento affascina immediatamente gli astanti. Pochi, pochissimi, gli schermi dei cellulari accesi da chi cerca di immortalarla in un video o in una foto. I più ascoltano, composti e silenziosi, ammaliati dalle eclettiche sonorità della chitarrista, rapiti dal suo fascino indiscusso e dalla simpatia con cui interagisce con il suo pubblico.

La musica di Kaki King rifugge qualunque tipo di definizione precisa. Sonorità dai toni quasi jazz si mescolano a ritmi percussivi ed accordature multiple, segno dell’indiscussa poliedricità di questa artista.

Una serata davvero imperdibile per tutti i veri amanti della musica. Un concerto quasi mistico eppur familiare, che fa vibrare le corde dell’anima e scalda il cuore.

Si ringraziano IMARTS, Alcazar Live, e International Music and Arts.

 

‘Semplicemente’ gli Zero Assoluto al Palasport

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Il duo romano composto da Thomas De Gasperi e Matteo Maffucci è tornato ad esibirsi dal vivo dopo una assenza durata sei anni.

Ieri sera, dopo il sold-out del concerto di Milano, è stata la volta di Roma con l’evento tenutosi al Palazzo dello Sport.

La serata è stata l’occasione per ripercorrere i grandi successi di una carriera lunga 20 anni.
Nella prima decade del nuovo millennio, gli Zero Assoluto hanno rappresentato una delle realtà più importanti della musica pop italiana. Con brani come “Svegliarsi la mattina”, presentato alla 56° edizione del Festival di Sanremo, “Semplicemente” per lungo tempo nelle classifiche delle hit musicali e “Per dimenticare”, colonna sonora del film “Scusa ma ti voglio sposare” di Federico Moccia del 2010, il duo ha conquistato i cuori di un’intera generazione, diventando un punto di riferimento per il pop italiano.

Molti gli ospiti della serata, tra cui Noemi, Gazzelle, Fulminacci e Alfa.

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Gli Yellowjackets al Roma Jazz Festival

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Una delle band più iconiche e leggendarie del panorama mondiale della musica jazz e fusion, gli Yellowjackets, si sono esibiti ieri sera sul palco della Sala Sinopoli, gremita per l’occasione, nell’ambito del Roma Jazz Festival 2023.

Grazie ad una carriera di oltre quarant’anni, venticinque album pubblicati e oltre un milione di copie vendute, hanno contribuito in modo determinante all’evoluzione di questo genere musicale, diventandone un punto di riferimento imprescindibile.

La band non ha mai avuto paura di sperimentare, incorporando continuamente nei propri brani elementi e influenze di generi musicali diversi, e questo gli ha consentito nel tempo di creare un sound decisamente originale.

Un connubio perfetto tra virtuosismi strumentali e ricerca di melodie coivolgenti, molto gradevoli da ascoltare.

Sul palco sono saliti: Bob Mintzer (sassonofo), Russell Ferrante (tastiere), Dane Alderson (basso), William Kennedy (batteria).

Le immagini della serata

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Roberto Bettacchi
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