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CULTURA - page 115

La cultura italiana in tutte le sue forme dalla letteratura al cinema, dalla scultura al teatro

Il punto panoramico più alto del mondo: “At the top” del Burj Khalifa, il grattacielo dei record fiore del deserto

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L’icona di Dubai è nota per essere il grattacielo più alto del mondo, un edificio dalle dimensioni surreali a confronto dei giganti che s’innalzano nella giungla metropolitana di questo avveniristico angolo degli Emirati Arabi Uniti. Stiamo parlando del Burj Khalifa, il re indiscusso dell’edilizia moderna in tutto il mondo.

Un’entità materiale dall’indiscutibile opulenza ostentata, consuetudine di questa città in divenire, eppure alla sua vista viene meno il pregiudizio: il Burj Khalifa è un gioiello della tecnica ingegneristica che testimonia il progresso dell’uomo. Indimenticabile la prima volta che appare nello skyline all’orizzonte, stupefacente quando ci troviamo ai suoi piedi con il naso all’insù mentre perdiamo le sue proporzioni ostinati nella ricerca della cima.

Il Burj Khalifa: il progetto e qualche numero

Il Burj Khalifa è un progetto dello Studio Skidmore, Owings & Merrill LLP (SOM) con Adrian Smith FAIA. L’edificio misura 828 metri di altezza e conta 160 piani. Si distingue per le sue eleganti geometrie cartesiane in vetro e acciaio all’esterno e per i solidi muri e corridoi in calcestruzzo armato all’interno, studiati per sopportare i carichi di gravità e quelli laterali. Un gigante dalla struttura armonica che svetta con grazia verso il cielo per omaggio e necessità: le sue forme si ispirano al leggiadro Hymenocallis, il fiore tradizionale del deserto, e le differenti altezze della torre che lo delineano con eleganza sono una strategia per rompere il flusso omogeneo del vento. La costruzione iniziò nel gennaio 2004 per essere inaugurata nel gennaio del 2010. 2.194 giorni di lavoro giorno e notte, 13.000 lavoratori tra operai e tecnici di oltre 100 nazionalità diverse. Cifre da capogiro per un edificio dei record. Il suo interno è una vera e propria città verticale e ospita uffici, appartamenti residenziali e l’elegante Armani Hotel per soggiorni da mille e una notte in chiave moderna.

La visita panoramica del Burj Khalifa

At the Top, vista dal 148° piano

Surreale dal basso, mozzafiato dall’alto. Vale il costo del biglietto una visita ai piani alti del grattacielo. L’entrata alla torre prevede due piattaforme di osservazione: il 124° piano dove si trova la prima terrazza panoramica a 456 metri da terra e il 148° piano (At the Top, Burj Khalifa SKY) a 555 metri da terra. Queste altezze da capogiro sono raggiungibili in pochi secondi grazie ad ascensori a due piani che viaggiano a 10 m al secondo. La seconda piattaforma è il punto di osservazione su torre più alto al mondo e regala una perfetta visuale a 360 gradi su Dubai: spiccano il Burj Al Arab, il complesso residenziale The World e la Sheikh Zayed Road per poi confondere lo sguardo sulla giungla di cemento vasta e amorfa dei “piccoli” grattacieli di contorno, sui grovigli ordinati delle superstrade per finire verso le lande desolate del deserto all’orizzonte.

 Sheikh Zayed Road

E’ possibile acquistare il biglietto d’ingresso on-line o al piano terra della struttura, la visita dura 90 minuti. Per il 124° piano il costo è di 125 AED (circa €30). Per il 148° piano (con il quale potrai visitare anche il 125°) il costo è di AED 300 (circa €74).

Espansione urbanistica verso il deserto 

Una visita alla torre è una sensazione appagante, gioca con l’emozione dell’altezza straordinaria ed evoca la suggestione di toccare il cielo con un dito. Infine osservare dall’alto il panorama può rivelarsi anche uno spunto di riflessione per comprendere l’ambizione dell’uomo: la conquista del deserto, un’espansione verso il “nulla”. La vista che si scorge dall’alto della torre è una considerazione tangibile degli interessi verso un territorio solo all’apparenza privo di potenzialità.

Come raggiungere Dubai

Per volare a Dubai esistono diverse alternative, è possibile scegliere tra tutte le compagnie aeree di bandiera europee e mediorientali. Da Roma sono poco più di 5 ore di volo diretto con atterraggio all’aeroporto internazionale di Dubai. In alternativa è possibile atterrare ad Abu Dhabi: i due aeroporti distano poco più di 100 chilometri ed è possibile raggiungere Dubai con un’auto a noleggio, in taxi (anche se i prezzi sono piuttosto alti per la distanza) o con gli autobus di linea che collegano le due città. La terza opzione è l’aeroporto di Sharjah, il centro cittadino che rappresenta il prolungamento Nord di Dubai, a poco più di 15 km dal quartiere di Deira.

Photo credits: Elena Bittante

Porvoo: la pittoresca cittadina della Finlandia, quintessenza di un passato mercantile

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Porvooo Borgå in svedese, è la seconda città più antica della Finlandia, famosa per le sue case rosse affacciate sul fiume Porvoonjoki. Un luogo dove il profumo del legno delle abitazioni centenarie si confonde con quello vivido della foresta poco distante. Un centro dal passato commerciale oggi votato al turismo per i viaggiatori interessati alla storia e alla tranquillità.

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Roma, il fiume Tevere una risorsa da tutelare e proteggere, questa la missione di Amici del Tevere

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Roma nasce sulle sponde del Tevere, una storia millenaria conosciuta in tutto il mondo, attraverso il fiume la città ha ricevuto nei secoli tutto quello di cui aveva bisogno, ha agevolato il commercio e fornito l’acqua per i suoi cittadini.

Ma con il tempo il rapporto tra il fiume è i romani si è incrinato, lo sviluppo della città moderna ha danneggiato le sue sponde, la sua purezza è scomparsa e il degrado è avanzato, le amministrazioni che si sono susseguite hanno dato priorità ad altre azioni sul territorio lasciando il fiume, le sue sponde e le sue acque ad un destino che può sembrare ineluttabile.

Chi per primo si è accorto di questa situazione e delle possibili conseguenze è stata l’Associazione Amici del Tevere, che dal 2008 si occupa di sensibilizzare, informare e coinvolgere i cittadini in iniziative culturali tese a far conoscere il fiume e la sua importanza.

Il Dottor Amendola è il presidente di questa Associazione e a lui ci siamo rivolti per capire meglio qual’è lo stato di salute del fiume e quali sono i  doveri e i progetti che le istituzioni devono assumere e realizzare.

L’Associazione Amici del Tevere, come ha detto, si occupa di sensibilizzazione, informazione  e coinvolgimento dei cittadini in iniziative culturali tese a far conoscere meglio il territorio del fiume e il suo impatto sulla vita di tutti” esordisce il Presidente Amendola – “Successivamente, nel 2010, è stato fondato il Consorzio Tiberina, che include diversi soggetti pubblici e privati tra cui le quattro Università Statali di Roma, il Consorzio di Bonifica Tevere e Agro Romano, fondazioni, onlus, imprese, associazioni, fra cui naturalmente moltissimi Concessionari di sponde e specchi d’acqua, e che si occupa di promuovere e realizzare progetti per lo sviluppo sostenibile del Tevere”.

Il Consorzio Tiberina è ente più operativo, nato con l’obiettivo di promuovere azioni che possano riportare il Tevere, le sue sponde e tutto il suo territorio ad un livello degno della Capitale italiana e più in generale di una delle Città più famose al mondo.

Sono tante le attività che si svolgono sulle rive del fiume, sono regolate in parte dalla Regione Lazio e in parte, con delega della stessa o per Norme parallele, dai Comuni e dai Municipi che attraversa.

Per quanto riguarda il tratto da Castel Giubileo alla foce – ci racconta il dottor Amendola – esiste il Piano Stralcio 5 o “PS5” (*), che indica esattamente cosa si può fare e dove, ovvero quali sono le aree con destinazioni ludico-ricreative, sportive, a parco, per approdi o per altro, e anche come possono essere concesse in uso. Uno strumento di pianificazione che prevede da molti anni, pur se ancora inattuata, l’istituzione del Parco Fluviale del Tevere, quale importante strumento di tutela.”

Naturalmente la domanda più importante riguarda la condizione del fiume che, come tanto del territorio laziale, soffre di mancata manutenzione e preservazione ed è ferito dall’inciviltà di molti che abusano del territorio deturpandolo con discariche a cielo aperto e scarichi illegali.

Nonostante questo però lo stato di salute delle acque sembra migliorare.

Rispetto ad anni bui del passato dove era assente o minimo il controllo delle acque reflue, la situazione sta migliorando negli anni recenti grazie anche all’intervento degli enti competenti, compresa ACEA ATO 2, che proprio recentemente, dopo tanto lavoro comune di individuazione delle priorità, firmando il così detto “Contratto di Fiume” promosso da Associazione Amici del Tevere e Consorzio Tiberina insieme ai Municipi I° e II° (**) ha definitivamente indicato e messo in spesa 23 milioni per l’eliminazione degli scarichi fognari non a norma attivi sul territorio del Comune di Roma e recapitanti al Tevere a monte di Ponte Milvio” – ci informa Amendola – “Questo intervento permetterà il miglioramento della qualità delle acque che attraversano la città verso la foce e di conseguenza di tutto l’ecosistema del fiume

Ma qual è il futuro del Tevere? Quali sono i progetti di riqualificazione del fiume? Sono le domande che più frequentemente i cittadini più attenti si pongono.

Se si lavora in tanti, positivamente e all’interno delle pianificazioni, non si può che migliorare la situazione. Con il “Contratto di Fiume” che ho citato, sottoscritto da sempre nuovi Contraenti, già vari progetti di grande qualità sono stati avviati, secondo passaggi ben precisi di progettazione e autorizzazione; il Consorzio Tiberina ha anche effettuato dei sondaggi on-line, con risposte di migliaia di cittadini, per ottimizzare le soluzioni. – risponde il Presidente Amendola – Vi è però un rischio, in cui secondo me sta incorrendo Roma Capitale: la politica degli annunci e il fare tanto per fare. Se mi chiede se il futuro auspicabile per il Tevere è sullo stampo della pseudo-spiaggia o pseudo-area sportiva in allestimento a Ponte Marconi, le rispondo: non è questo, non è assolutamente questo! Non c’era bisogno di ciò per far vedere che si possono attrezzare aree sul Tevere: ne è piena Roma. 10.000 mq, numero enfatizzato negli annunci, è un rettangolo di terra da nulla, potevano esprimerlo in centimetri quadri, che sarebbero stati 100.000.000. Questa sarà, da quel che si vede a lavori in corso, un’orrida spianata, con chioschi e bagni chimici, che per fortuna slitta nella sua inaugurazione a giornate meno torride; sarebbe ben difficile trovarvi un po’ di refrigerio. Fra l’altro, se l’area fosse naturalisticamente rilevante, la spianata sarebbe di grande impatto, mentre come affaccio non aggiunge nulla a ciò che già si vede da Ponte Marconi: cioè quest’area è una contraddizione nei termini. Non ha nulla di caratteristico rispetto al Tevere, potrebbe essere in qualunque altro luogo di Roma, è quasi offensiva verso chi conosce e ama il Tevere che era in passato e che ragiona su un Tevere che – si spera – potrà essere. Direi che sono state buttate a fiume decine di migliaia di euro, e pare si supererà ampiamente il centinaio. Forse il problema risiede nell’aver ridotto l’impegno attuale di Roma Capitale allo slogan di un Ufficio Speciale Tevere che non esiste e alla faciloneria nell’affrontare un tema così complesso e interdisciplinare, senza interpellare chi se ne occupa da decenni e ne sa veramente: non è di certo lavoro da burocrati o da parolai o da persone accostatesi al fiume da un paio d’anni. Al che, e mi scusi lo sfogo, si rischia di fare l’esatto contrario, cioè di dare l’idea che non si può far nulla per il Tevere a Roma, riallontanando i tanti avvicinatisi con interesse, a volte entusiasmo, al tema”

Si può aggiungere che chi calpesterà le tonnellate di sabbia che sono state depositate nella suddetta spianata  a ridosso di Ponte Marconi, nell’VIII Municipio, non potrà comunque beneficiare di una inesistente balneabilità del fiume; per cui l’area, anche se attrezzata con ombrelloni e sdraio, bagni chimici e docce, non potrà certo essere messa al confronto né con le più famose spiagge fluviali europee né tantomeno con i più vicini stabilimenti balneari del litorale roman0 o con le spiagge libere: una iniziativa quindi destinata al fallimento.

La Regione Lazio invece ha nel contempo avviato lo stanziamento di fondi per la sicurezza soprattutto idraulica delle sponde, un intervento utile, ma che forse dovrebbe essere più sostanzioso e mirato anche al controllo della legalità su tutto il suo corso.

Sul tema della legalità l’Associazione Amici del Tevere è sempre stata molto combattiva “Il territorio del Tevere è molto significativo e anche simbolico per la città – ci racconta il Presidente Amendola – e deve essere tutelato, riqualificato e riportato tutto nella legalità anche per dare modo agli investitori privati di presentare progetti di livello a beneficio dei cittadini. Se veniamo all’oggi, molti degli eventi che vengono organizzati sulle sponde del Tevere nella stagione estiva portano, grazie all’esperienza pluriennale degli operatori, pulizia, accessibilità per tutte le età e tutti i gusti, in uno scenario unico, che attira moltissimi turisti, in sicurezza, con adeguata infrastrutturazione e autorizzazioni ovviamente anche delle competenti Soprintendenze. Ma proprio quest’anno, non si sa perché, hanno fatto la loro comparsa discoteche a fiume, chioschi delle fattezze più varie, ombrelloni da bar di fronte a Castel Sant’Angelo sulla sponda sinistra, improbabili approdi per battelli e una serie di situazioni che destano perplessità”

Una situazione che crea molto spesso disagi per la convivenza delle stesse realizzazioni con le norme di sicurezza e tutela ambientale, oltre che ai cittadini sul frequentano il Tevere.

E’ un problema comunque non soltanto estivo: pontili che nascono dal nulla, battelli che ormeggiano ovunque, galleggianti fatiscenti palesemente insicuri o tanti altri comunque non verificati (ricordiamo i disormeggi di qualche anno fa), ristorazione abusiva, banchine fatte usare come parcheggi da ristoratori (è vietato), e chi più ne ha più ne metta. Fra illegalità e pseudo-spiagge velleitarie, parlare di riqualificazione strutturale e sistemica è quantomeno risibile. Va bene il volontariato, come quello dei tanti che si impegnano nei due Soggetti no-profit che rappresento, ma anche la politica dovrebbe fare la sua parte, come sempre, nella regolazione delle cose e nella selezione delle istanze espresse dai cittadini. Molto si sta muovendo, ma è facile vanificare tutto se ci si ferma agli slogan e alle presenze sui media, che possono essere un mezzo, come lo stesso “Contratto di Fiume”, e non un fine, almeno per chi punta ai risultati concreti. Sembra a volte, anche su questo tema così particolare del Tevere, che prevalga la ricerca di visibilità, magari inondando facebook di primi piani, come proclamazioni di avvento: la partecipazione civica, essenziale, di cui molto si parla, è ben altra cosa del culto della propria personalità di sedicenti protagonisti di cambiamento. Certo, risolvere la questione del Tevere a Roma sarebbe un ottimo biglietto da visita …… ma va prima risolta! E’ anche per questo che, con l’Associazione, ci siamo intitolati Amici del Tevere: già lo eravamo, e sul serio”.

Tutto questo si aggiunge ad una manutenzione ordinaria che è totalmente assente e che aggrava la situazione lungo l’argine utilizzabile, in estate e non solo, che diventa anche ricettacolo di animali di tutti i tipi con condizioni igieniche generali molto critiche.

Poniamo al presidente Amendola un ultima domanda, c’è speranza per una nuova balneabilità?

Certamente sì, in prospettiva. Ma non bisogna fissarsi con singoli aspetti, si possono condurre molteplici azioni in parallelo, da quella sulla qualità delle acque a molte altre, come abbiamo indicato nel “Contratto di Fiume”. Dato che siamo in uno stato di diritto, e anche per i progetti più mirabolanti non si possono espropriare i Concessionari, stiamo man mano federando questi ultimi e coinvolgendo gli Enti territoriali per colmare i buchi, per così dire, lavorando tutti insieme verso obiettivi di miglioramento continuo. Con i Concessionari più avveduti ci stiamo già riuscendo. Ovviamente ci si rivolge, con molta umiltà, a tutti gli operatori seri. Ci sarà spazio per tutti. La vicenda Kentridge di qualche anno fa ha dimostrato un grande provincialismo, a mio avviso, nel non promuovere la possibilità di una compresenza di vari aspetti di fruizione sul Tevere, danneggiando chi aveva dei diritti acquisiti, e, pur nell’apprezzamento per il grande artista, non sottolineando che qui aveva trovato una grande tela e un museo a cielo aperto unici al mondo. Oggi la così detta “piazza Tevere” mette un po’ tristezza, e forse il senso dell’effimero insito nel graffito prefigurava già nella visione dell’artista questo scenario, come nelle scene finali de “La grande bellezza”. Proprio per uscire dal provincialismo e riappropriarci del nostro retaggio, vorrei ricordare delle banalità storiche, cioè che Roma è nata sul Tevere e che siamo a 2 anni e mezzo dal Centocinquantenario, nel Febbraio 2021, della sua proclamazione a Capitale d’Italia: potrebbe essere un bel simbolo di rinascita il ripartire dal Tevere”

Speriamo dunque di vedere in un prossimo futuro il biondo Tevere divenire ancora più pulito insieme ad una rinascita di tutto l’ecosistema ad esso collegato, di tornare ad essere un biglietto da visita della nostra città che ogni anno ospita più di 26 milioni di turisti oltre naturalmente ai suoi 4 milioni di abitanti nell’area allargata della cosiddetta Città Metropolitana

(*) http://www.abtevere.it/node/104

(**) https://www.comune.roma.it/web/it/municipio-i-progetti.page?contentId=PRG134159

Diritto all’oblio e diritto di cronaca

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Chissà se il termine Cloudche nel linguaggio informatico indica l’insieme di dati archiviati, sia stato scelto casualmente o, più verosimilmente, trovi la sua origine nella similitudine proprio con le nuvole che, muovendosi liberamente nel cielo grazie alle correnti ascensionali, raccolgono l’acqua che torna sulla terra in forma di pioggia, neve, ghiaccio, magari accompagnata da tuoni e fulmini.

Allo stesso modo in cui le nuvole raccolgono acqua da fiumi, laghi e mari, i cloud computing, raccolgono dati dal mare di internet. Come le nuvole i cloud informatici sono impalpabili, addirittura invisibili e vi può accedere teoricamente solo colui che li ha creati. Perché il Cloud oggi è un sistema di archiviazione a disposizione di chiunque voglia conservare tutti i propri dati mettendoli al sicuro per non intasare la memoria del proprio computer.

Esistono anche cloud che si formano, proprio come le nuvole, spontaneamente; raccolgono dalla rete web dati casuali ma legati da comuni fili conduttori e, al momento che vengono in contatto con l’equivalente delle correnti fredde che dalle nuvole fanno cadere la pioggia, i cloud riversano tutte le informazioni raccolte sugli utenti di internet e non solo.

Ogni dato messo in rete resta nella disponibilità di chiunque fino a quando non viene rimosso ed è così facile accedere ad informazioni che il diretto interessato vorrebbe fossero cancellate ed essere completamente dimenticato, trovando applicazione il Diritto all’Oblio.

Il nuovo Regolamento Europeo in materia di Trattamento Dati Personali (GDPR) ha espressamente previsto questo diritto limitandolo ovviamente al solo Trattamento Dati Personali, e quindi usando impropriamente il termine oblio, che riguarda ben altre fattispecie, ma operando anche un preciso richiamo, che, infatti, sembra essere fuori dal coro rispetto alla specificità della norma. L’articolo 17 comma 3 GDPR esclude la cancellazione dei dati personali da server e archivi, di qualsiasi tipo, in alcune ipotesi che inducono a riportare la norma nella sua integrità:

  1. perl’eserciziodeldirittoallalibertàdiespressioneediinformazione;
  2. per l’adempimento di un obbligo legale che richieda il trattamento previsto dal diritto dell’Unione o dello Stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento o per l’esecuzione di un compito svolto nel pubblico interesse oppurenell’eserciziodipubblicipoteridicuièinvestitoiltitolaredeltrattamento;
  3. per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica in conformità dell’articolo 9, paragrafo 2, lettere h) ei),edell’articolo9,paragrafo3;
  4. a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici conformemente all’articolo 89, paragrafo 1, nella misura in cui il diritto di cui al paragrafo 1 rischi di rendere impossibile o di pregiudicare gravemente il conseguimento degli obiettivi di tale trattamento;
  5. perl’accertamento,l’eserciziooladifesadiundirittoinsede

Non passa inosservato come l’intitolazione dell’articolo 17 in lingua inglese, sia “Right to erasure”, cioè diritto alla cancellazione e solo nella seconda parte si parla (addirittura tra parentesi) di right to be forgotten, tenendo ben separate le due ipotesi. Infelice la traduzione in italiano che ha ricondotto tutto al diritto all’oblio.

Il “diritto all’oblio” ha comunque avuto un importante riconoscimento, ma quello ad una corretta informazione sembra avere una netta prevalenza come interesse pubblico rispetto alle posizioni dei singoli.

Il “Right to be forgotten” (diritto ad essere dimenticato) è comunque ormai riconosciuto, ma deve considerarsi che esistono situazioni in cui non è semplice contemperare diversi interessi confliggenti tra loro; ed il diritto all’oblio che si contrappone al diritto dovere di cronaca è uno dei casi più delicati specialmente in una società ormai sempre più telematica ed in cui le informazioni giungono e si diffondono a velocità spaventosa oltre a rimanere nella rete.

Di Diritto all’Oblio se ne è all’inizio parlato per tutelare il diritto ad essere dimenticati da parte di autori di reato quando, a distanza spesso di anni, il loro nome tornava alle cronache, ovviamente in una accezione negativa, nell’occasione di anniversari dei loro delitti anche quando, dopo avere espiato la loro pena si erano completamente riabilitati e reinseriti. Ma permaneva il diritto di cronaca.

A fronte di due situazioni e posizioni che comunque sono riconosciute degne di tutela (il diritto dell’interessato a condurre una vita anonima, e quello all’informazione), non è certo semplice svolgere quell’opera di necessario contemperamento delle posizioni o stabilire se una delle due debba prevalere rispetto all’altra.

In una recente nota pronunzia della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo è stata considerata corretta una sentenza in cui i giudici tedeschi avevano ritenuto prevalenti le ragioni di pubblico interesse a che non venissero eliminati riferimenti che associavano il ricorrente, che ne voleva la cancellazione, ad una vicenda penale remota e che lo aveva visto alla fine estraneo. La Corte Europea ha ritenuto che, nel caso, dovessero prevalere le ragioni di informazione per un pubblico dibattito ed ha chiuso la porta al diritto all’oblio ed alle aspettative di un singolo che corre il rischio di restare per un tempo indeterminato esposto ad una gogna virtuale.

Anche la nostra Corte di Cassazione ha avuto modi di esprimersi sul diritto all’oblio in un senso solo all’apparenza diverso. In una vicenda relativa al cantante Antonello Venditti, sono stati enunciati princìpi chiari sull’argomento e di cui si dovrà tenere conto quando venga invocato il diritto all’oblio. La questione non riguardava espressamente la rimozione di dati sul web, ma la richiesta di risarcimento danni per la messa in onda di un filmato in cui il cantante rifiutava di rilasciare un’intervista; la scena veniva riproposta a distanza di tempo, dando un’immagine negativa del cantante.

Il Tribunale di Roma e la Corte di Appello rigettavano la domanda di Venditti di risarcimento danni, che passava attraverso il riconoscimento del diritto all’oblio, motivando con la notorietà del personaggio la loro decisione.

La Corte di Cassazione, con un provvedimento ricco di argomentazioni strettamente giuridiche, dopo aver rilevato come il diritto di cronaca, posto al servizio dell’interesse pubblico di informazione, e il diritto della persona a vedere dimenticate vicende che non rivestano carattere di attualità, con conseguente rimozione di ogni riferimento dalle banche dati che le contengano, confliggano tra loro, ha enunciato le line guida nell’individuazione del diritto all’oblio.

In particolare è stato ritenuto che il diritto all’oblio possa subire compressioni in favore dell’ugualmente fondamentale diritto di cronaca solo in presenza di specifici presupposti: 1) il contributo arrecato dalla diffusione dell’immagine o della notizia ad un dibattito di interesse pubblico; 2) l’interesse effettivo ed attuale alla diffusione dell’immagine o della notizia, mancante in caso di prevalenza di un interesse divulgativo o, peggio, economico o commerciale del soggetto che diffonde la notizia o l’immagine; 3) l’elevato grado di notorietà del soggetto rappresentato; 4) le modalità impiegate per ottenere e dare l’informazione, che dovrà essere veritiera, diffusa con modalità che rispettino lo scopo informativo, nell’interesse del pubblico, e scevra da insinuazioni o considerazioni personali; 5) la preventiva informazione circa la trasmissione della notizia a distanza di tempo, in modo da consentire all’interessato il diritto di replica prima della divulgazione stessa.

La Cassazione ha quindi annullato le sentenze già favorevoli alla RAI, ed è stata anche respinta la domanda volta a far ricadere la vicenda nella satira.

Il diritto all’oblio è stato pertanto riconosciuto e delineato nei suoi presupposti e si è messo a disposizione degli interessati un ombrello o un impermeabile nel momento in cui gli pioveranno addosso le piogge mediatiche generate dalle nuvole di dati informatici. Chissà se potrà bastare considerata la mole enorme delle reti informatiche.

Caparezza a Rock in Roma con il suo tour Prisoner 2018

Rock In Roma Torna Caparezza a Roma e lo fa con la grinta di sempre. Sotto un diluvio estivo fa ballare migliaia di fan

Photo Credit Domenico Cippitelli

Con Fabri Fibra chiude i battenti l’edizione 2018 di Rock in Roma.

Ultimo concerto nella cornice dell’ippodoromo delle Capannelle, location ormai istituzionale della kermesse musicale estiva, che ha visto anche quest’anno un nutrito numero di artisti avvicendarsi sul palco ed una sempre consistente risposta da parte del pubblico romano. Non poteva quindi essere da meno, nonostante il diluvio abbatutosi su Roma pochi minuti prima dell’inizio del concerto, l’affluenza di pubblico per la penultima tappa del tour di Fabri Fibra al secolo Fabrizio Tarducci con il suo “Le vacanze tour”.

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Teatro Parioli: successo della XXII edizione del Premio “Apoxiomeno Award”

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Tra i premiati: Mark Strong, Robert Moresco, i Peshmerga, Duccio Forzano e Gioacchino Giomi

Il Teatro Parioli di Roma ha ospitato la XXII edizione del premio “Apoxiomeno Award”, dedicato alle arti performative con cinema, televisione, musica, arte e sport in divisa. L’idea del premio, presentato da Annalisa Dianti Cordone e Francesco Anania, è del Tenente Colonnello Orazio Anania che, oltre a curare la direzione artistica, presiede l’Associazione “L’Arte di Apoxiomeno” ed ha anche l’obiettivo di contribuire alla promozione e alla diffusione della cultura della legalità. Il riconoscimento viene assegnato a personaggi, dello spettacolo e della cultura internazionale che, attraverso la loro attività lavorativa o professionale, hanno dato lustro alle Forze dell’Ordine.

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CAPAREZZA Prisoner 709 Tour, grande musica a Rock in Roma

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Rock In Roma Torna Caparezza a Roma e lo fa con la grinta di sempre. Sotto un diluvio estivo fa ballare migliaia di fan, scorrendo i successi dell’ultimo album e ripercorrendo più di venti anni di carriera. Il tour proseguirà per tutta l’estate concludendosi a metà Agosto in Puglia.

Il tour che ha fatto tappa a Roma prende il nome dal suo ultimo lavoro e come sempre sorprende e incanta a modo suo.

Le sue canzoni sono ispirate anche alla battaglia che sta portando avanti contro la malattia che gli è stata diagnosticata nel 2015 l’acufene, un disturbo dell’udito caratterizzato da rumori (fischi, ronzii, fruscii), un disturbo terribile per chiunque insopportabile per un musicista, a questa condizione Caparezza ha dedicato la canzone Larsen, che spiega il disturbo che dovrà combattere per tutta la vita.

Foto credit Domenico Cippitelli

Thailandia journey 2018, un Foto Workshop sul campo con Gabriele Orlini

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Gabriele Orlini, fotoreporter di grande esperienza, organizza questo workshop in Thailandia in autunno, un edizione che si ripete quest’anno dopo il successo del 2017.

Un viaggio studio per passionati fotografi che permetterà ai quarti partecipanti di apprendere i trucchi del mestiere di fotoreporter.

“Nel 2017 abbiamo viaggiato nel sud della Thailandia, da Bangkok fino all’isola di Kho Phayam – racconta Gabriele Orlini -Siamo andati alla ricerca dell’antico popolo dei Moken, gli ultimi nomadi del mare.”

“Quest’anno, nel 2018, viaggeremo verso il nord della Thailandia, da Bangkok alle zone di Chiang Mai, situate ai bordi della giungla- continua Orlini – tra templi, monaci e tribù ancestrali.”

COM’È ORGANIZZATO

Thailandia Journey 2018 a cura del fotoreporter Gabriele Orlini con la preziosa collaborazione in loco di Fabio Polese, è un workshop immersivo per sole 4 persone, pensato e progettato per quei fotografi che vogliono accrescere la propria esperienza nella fotografia documentaria, nel fotogiornalismo,nella narrazione.

Durante il viaggio nel nord della Thailandia, fuori da ogni rotta turistica, ogni partecipante seguirà un argomento assegnato, entrerà a contatto diretto con comunità locali e vivrà in prima persona le situazioni e il quotidiano che poi andrà a documentare.

L’obiettivo principale del workshop è quello di acquisire i processi e le esperienze della fotografia documentaria in condizioni di vita “reale”, seguendo un assignment finalizzato a una pubblicazione fotogiornalistica e di reportage.

Un’opportunità unica per lavorare sul campo con tutte le difficoltà e le necessità di una vera commissione, dalla gestione dei contatti in loco al viaggio, alla produzione del materiale, ai tempi spesso molto stretti.

A chiudere la giornata, ogni sera, ci saranno le sessioni di editing del lavoro svolto fino a quel momento. Ampio spazio sarà dedicato anche alla discussione e al confronto. Inoltre, verrà definito il programma del giorno successivo, comprese le eventuali modifiche al percorso di viaggio. La costante guida di Gabriele Orlini garantirà la giusta direzione nello sviluppo del proprio assignment e sarà un continuo supporto per ogni partecipante al lavoro sul campo.

Iscrizioni e maggiori informazioni sul sito https://gabrieleorlini.com/workshop-thailandia-journey-2018

Dammi tre parole, storia di una azienda modello

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“Dammi tre parole “ e il libro di Silvia Bolzoni che racconta un nuovo modello di azienda, rappresentato dalla Zeta Service”, incentrato sulla persona, in azienda al femminile che negli anni ha saputo raggiungere traguardi importanti e premiata con riconoscimento importanti come il “Women Value Company” della Fondazione Bellisario per la valorizzazione del talento femminile.

Silvia Bolzoni autrice del libro e anche la fondatrice della “Zeta service” con l’80% di presenza femminile si occupa di servizi payroll, amministrazione del personale, consulenza del lavoro e consulenza HR.

EA: dottoressa Bolzoni, vorremmo capire meglio che cosa è ZETA service e perché ha ricevuto tanti premi. Qual è il segreto del successo di zeta service?

Silvia Bolzoni: Ma io non so se c’è un segreto. Comunque, parto dicendo che cosa facciamo. Noi siamo una società di servizi ci occupiamo di paghe e amministrazione del personale, consulenza del lavoro e consulenza sulle risorse umane. Io da sempre lavoro in questo mondo, però il desiderio di creare una mia azienda è nato circa 15 anni fa. È nato da un rimprovero, tra virgolette, perché mi hanno sempre detto di avere un eccessivo orientamento al cliente e alle persone, lavoravo per una società di servizi tra l’altro. Da quel rimprovero è nato il sogno di creare un’azienda fatta, come dico sempre a modo mio, “totalmente incentrata sulle persone”. Poi qualcuno mi ha aiutato a tradure questo eccessivo orientamento al cliente con totale empatia. Io al momento ero rimasta totalmente perplessa perché per lavorare per una società di servizi trovo strano dire che esista questo esagerato orientamento al cliente. Io sono convinta che l’attenzione alle persone sia fondamentale per tutte le aziende ma soprattutto per una società di servizi. Saper far bene il proprio lavoro è quello che il cliente si aspetta ma per fare la differenza credo che sia necessario mettersi nei panni del cliente e comprenderne i bisogni e i problemi. Soprattutto credo che occorra comprendere i loro stati d’animo perché il cliente non è un’entità astratta, è una persona. Quindi questa osservazione l’ho poi trasformata in un valore.

Quando poi ho creato ZETA service 15 anni fa, ho proprio pensato di offrire quei servizi per l’estensione del personale ma mettendo sempre al centro dell’attenzione le persone e, ancora prima del cliente, ho messo la nostra persona. Credo che il segreto sia stato questo perché se tu metti nella condizione di stare bene le persone che lavorano con te, poi per loro automaticamente viene naturale farlo con il cliente. In questo è che poi vi è il successo, perché noi lo indaghiamo attraverso le indagini di soddisfazione e vediamo che i voti più alti sono rivolti alle nostre persone per competenza, disponibilità, gentilezza. È un circolo virtuoso: se stanno bene le persone, sta bene il cliente. Questo anche lavorando bene e portando qualità perché il cliente poi ci dice quanto è contento. Di conseguenza tu torni a casa soddisfatta e questo è il segreto, semplicemente.

EA: un’altra particolarità della vostra azienda è che per l’80% è formato da donne

Silvia Bolzoni: sì, è proprio così. Io da donna e mamma ho provato personalmente quanto sia difficile conciliare vita privata e professionale. Avendo all’interno l’80% donne per me è stato naturale pensare a servizi e benefit mirati per loro proprio pensando a come fare ad aiutare nella conciliazione e a stare bene. Una cosa che abbiamo messo a disposizione, e che alle volte fa sorridere ma poi alla fine invece è di grande aiuto, è avere un maggiordomo. C’è chi desidererebbe avere un maggiordomo in casa, bene, noi lo abbiamo in azienda. È una persona che è pagata dalla azienda e si occupa di tutte le nostre commissioni. Dal portare l’auto al lavaggio, al cambio gomme, dal meccanico per guasti, al ritiro di pacchi che arrivano da Amazon, che ormai qui abbiamo tante persone giovani che ordinano tutto online e anche la spesa viene recapitata in azienda. C’è anche il rapporto con la lavanderia che ritira e consegna in ufficio. Poi organizza per noi le visite mediche. Le visite sono anche mirate come il senologo. Vengono organizzate delle giornate dove viene messo a disposizione il medico come il cardiologo, l’oculista o il fisioterapista. È tutto tempo che si risparmia nella vita privata e riusciamo a garantire tutto. Comunque quello che più viene apprezzato, queste sono cose che aiutano sicuramente, è anche la libertà nell’organizzare il proprio lavoro. Dal momento che una persona ha le competenze di gestire in autonomia il proprio lavoro, noi diamo la possibilità di lavorare a casa, oltre allo smart working, anche per periodi lunghi in caso di problemi con bambini o genitori. C’è comunque un orario flessibile, quello che conta è il risultato. Come dicevo prima noi operiamo attraverso indagini di soddisfazione dei nostri clienti, quindi anche in questo abbiamo visto che viene molto apprezzato dalla nostra persona. Che si trova a casa o in azienda, la disponibilità verso il cliente c’è sempre.

EA: oltre che imprenditrice è anche autrice del libro dammi tre parole, nel quale raccontate alcune cose importanti della vostra esperienza. Uno degli argomenti è il progetto libellula, ce ne vuole parlare?

Silvia Bolzoni: si, allora questo libro lo abbiamo scritto noi. Io dico noi perché poi è stato anche un lavoro di team e mi hanno aiutato le persone che lavorano con me. Noi lo abbiamo scritto in occasione dei nostri primi 15 anni. Abbiamo fatto tante cose in questi 15 anni perché non riportarle tutte in un libro? Infatti, questo libro non è una storia di ZETA service scritta in ordine cronologico ma raccontiamo storie, attività, fatti, descritti anche attraverso le nostre emozioni e rimportando le nostre emozioni, i nostri valori. Per arrivare al progetto libellula, le voglio dire che nel nostro mestiere è indispensabile la formazione perché la normativa è cambiata tantissimo, quindi le nostre persone devono essere formate. Oltre a questo tipo di formazione noi mettiamo a disposizione ai nostri collaboratori formazione anche sui temi che sono soft. Parlo di formazione trasversale come l’ascolto, l’accettazione di sé o l’autostima. Tutto ciò è utile per crescere in queste competenze che sono poi utili alla persona ma anche, in questo caso, all’azienda. Per quanto riguarda il progetto libellula, cosa è successo? Noi alcuni corsi di formazione li abbiamo sostituiti, proposti in una modalità diversa, cioè attraverso progetti di responsabilità sociale e abbiamo organizzato diversi progetti, uno tra questi con la casa di accoglienza iannacci che è proprio qui vicino a noi. In ultimo recente il progetto libellula. Che cosa vuol dire? è il primo network di aziende unite contro la violenza sulle donne e la discriminazione di genere. Noi pensiamo che la maggior parte del nostro tempo presso l’azienda e cosa chiediamo alle aziende? Chiediamo di inserire nella loro formazione anche corsi che aiutano le persone sull’accettazione di sé, sull’autostima, sulla violenza di genere e questo progetto porta proprio ad aiutare chi non sappiamo. perché chiaramente abbiamo all’interno dell’azienda tante donne ma non sai se queste persone hanno o subiscono violenza, anche psicologica. Da un’indagine che noi proponiamo emerge una certa situazione, tipo i MUP. Dopo aver letto questa analisi si cerca di comprendere che tipo di formazione l’azienda deve portare all’interno per aiutare, appunto, a cercare di portare una cultura. infatti, lo slogan dice “entra la cultura, esce la violenza”. Lavoriamo in questo modo, ecco.

EA: quali sono i progetti futuri di ZETA service?

Silvia Bolzoni: ogni anno adottiamo un tema specifico di indirizzo. L’anno scorso era sulla bellezza, che poi richiamava il progetto libellula. Quest’anno è l’anno della felicità perché noi pensiamo di aver compreso come rendere felice un posto di lavoro e quindi inseriamo e proponiamo diversa formazione legata a questo tema ma anche attraverso delle attività. Quindi ogni anno andiamo insieme alle nostre persone a pensare cosa oltre il nostro lavoro, perché il nostro lavoro deve continuare, e per questo ci aiutano perché alla fine dico sempre “ragazzi questo nostro modo di fare ci aiuta tantissimo ad alzare la soddisfazione dei clienti”, quindi a fidelizzarlo. In questo modo si interessa a più servizi e così possiamo investire in ricerca e sviluppo, in formazione delle nostre persone e in progetti di responsabilità sociale, continuare a sostenerli. Allora io vi ho citato due progetti, uno con le case di accoglienza, uno con i network del progetto libellula contro la violenza sulle donne. Questi due progetti dovremmo sostenerli per diverso tempo, anni.

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