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Gianni Dell'Aiuto

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Fisiologia di un partito politico: il caso del PD

in POLITICA by

 

I partiti presenti oggi in parlamento, non sono quelli che composero l’Assemblea Costituente né quelli che formarono il vecchio Arco Costituzionale. Solo il Partito Radicale ha ancora la sua identità. In un sistema che non ha le condizioni per un sistema bipartitico è inevitabile che si assista ad un continuo proliferare di nuove formazioni che spesso nascono sulle emotività del momento e, come naturale, possono andare a sostituire alcune vecchie realtà.

Tranne quelle che vogliono continuare a sopravvivere contro ogni logica. L’esempio più lampante di questa discrasia del sistema, che probabilmente impedisce una reale riforma, è l’attuale PD e della sua classe dirigente che sembra non voglia prenderne atto.

Nel 1991, quando venne decretata la fine del PCI, si registrarono, come era ovvio aspettarsi, profonde divergenze tra i superstiti del granitico blocco che per oltre 70 anni aveva rappresentato il contraltare alla DC e alle destre. Un partito monolite, dove vigevano spirito di corpo, disciplina, uniformità di pensiero e linee dure che sfocavano nel centralismo democratico di matrice addirittura leninista. Falce e martello, Mao, il Che e la convinzione più assoluta che esistessero solo coloro che, sulle note di Bella Ciao, potessero salvare il mondo dal capitalismo, dall’imperialismo, dal fascismo.

Al momento dello scioglimento, le ali più estremiste, fedeli alle vecchie idee, confluirono in Rifondazione Comunista che ha poi visto le sue divisioni e suddivisioni, ma tutte legate all’idea romantica e nostalgica del vecchio partitone e dei suoi simboli e lotte ormai anacronistiche. Anche quello che fu definito “La Cosa”, il nuovo soggetto ha attraversato diverse fasi: PDS, DS, Margherita, l’Unione fino all’attuale PD. Ha anche ottenuto un’importante vittoria elettorale, ma, e questo segnale non è stato colto, il successo arrivò con un premier che proveniva dalla DC. E il primo Governo Prodi cadde quando perse l’appoggio di Rifondazione; anche i successivi Governi di Sinistra hanno avuto i maggiori problemi dalle proprie maggioranze.

Non è possibile, sostenere che il PD sia l’erede del PCI nonostante alcuni vogliano insistere in tal senso muovendo da principi o valori mai venuti meno, e comunque mai messi in discussione, ad iniziare dalla Resistenza, invocato oltre settanta anni dopo per molti come valore fondante. Sarebbe stato più logico prendere atto delle contraddizioni che, già a suo tempo, avrebbero dovuto imporre la presa d’atto dell’anacronismo di un’idea e l’illogicità del volere per forza perseguirla, perdendo di vista la realtà e i nuovi contesti, sociali e politici da affrontare, fino ai risultati oggi evidenti.

Fin dalla sua origine la formazione politica che insiste a definirsi sinistra o centrosinistra, si è posta quale portatrice di ideali popolari; istanze sociali, pacifiste contro guerre ingiuste, egalitarismo antisistema e, comunque, posizioni anticapitaliste, ecologiste. Sempre e comunque antifasciste, contro un nemico che, non più incarnato dalla DC, venne identificato prima nel Berlusconismo e oggi nel governo di Lega e Cinque Stelle. Insomma, come per il vecchio PCI, l’importante era essere “contro.” L’unico elemento caratterizzante che è rimasto costante e che, anche oggi, si rivolge contro l’attuale governo. I leader dell’epoca, per rimanere attaccati all’ideologia da cui erano nati, oltre che per il timore di perdere la base, non capirono che era il momento di fare un passo decisivo e tagliare completamente con il passato.

Dalla sua nascita, per l’attuale PD sono passati Rosy Bindi che veniva dalla DC; Franco Marini, dalla CISL, addirittura Ciriaco De Mita già Primo Ministro del pentapartito. Si è addirittura alleato con SEL, portatrice di istanze non coerenti con l’ala cattolica del partito. I passaggi attraverso altre esperienze hanno lasciato i loro segni: dalla caduta di segretari e la candidatura di Francesco Rutelli, proveniente dai Radicali; la meteora Franceschini, gli insuccessi di Veltroni, Fassino e della bicamerale di D’Alema e, il clou, il fallimento di Bersani, candidato premier che, pur ottenendo una strana maggioranza, si vide immediatamente sostituito da Enrico Letta che lasciò (o aprì la strada) a Matteo Renzi.

Renzi, viceversa, che oggi è visto come il male assoluto, responsabile dell’ennesimo fallimento, poteva essere la svolta e lo sdoganamento di un partito che aveva ormai compiuto il proprio tempo, in una direzione socialdemocratica. Europea o laburista: il Tony Blair italiano. Il partito ha fatto il possibile e l’impossibile, riuscendoci, per impedirglielo.

Quando ha avuto la possibilità di prendere le redini del paese, si è rivelato inconsistente, vittima delle sue radici e di una connaturata incapacità a gestire il Potere o, forse, è mancata una vera leadership. Può trarsi da ciò una lezione per i prossimi leader politici (non solo del PD, sempre che sopravviva), o fare finta di nulla, perché ogni colpa è, sempre e comunque, di qualcun altro. A tutta la dirigenza della sinistra, non sono mai mancati i colpevoli da esecrare e indicare al risentimento laico, democratico e antifascista. Dalla CIA a Berlusconi, da Licio Gelli a Gladio, dal CT della nazionale al barista sotto casa. Guardare la realtà e prendere atto che si è sbagliato più di qualcosa o tutto ciò che si poteva sbagliare, questo no, sarebbe roba da opportunismo di destra o deviazionismo di sinistra, come insegnava quello… sì, quello… quello coi baffi! Non D’Alema, no, lui è baffettino, quello giusto era, sì, sì: BAFFONE!!!

Qual è l’errore di fondo del PD? Su tutti quello di considerarsi infallibile come il vecchio PCI che, in quanto tale, non poteva sbagliare. Semmai solo alcuni compagni sbagliavano.  Ma anche l’errore di voler sopravvivere a tutti i costi; non capire che era il momento di staccare la spina al vecchio molosso sdentato, specialmente dopo il crollo del muro di Berlino, del blocco sovietico, del Patto di Varsavia. Semplicemente, prendere atto che il comunismo aveva fallito o forse esaurito il proprio corso. A meno che non si voglia considerare un successo la Corea del Nord.

Fuori dall’Italia i partiti si sono adattati ai nuovi scenari, proponendo figure e leader in grado di affrontare i momenti: lo stesso Trump ne è un esempio. 

I partiti politici sono figli della loro epoca, e volerli portare oltre la loro durata fisiologica in presenza di nuove situazioni per i quali non erano nati, è inutile. DC; PSI, Liberali e Repubblicani hanno chiuso. Il PD ha preteso di trasformarsi modellandosi sulla pelle del capopopolo del momento. Riuscirà il nuovo segretario del PD a imparare dagli errori del passato? Alla sua prima prova elettorale in Basilicata il risultato non è stata una vittoria e, certamente, una parte dei voti derivano dalla presa d’atto del fallimento dei Cinque Stelle, ma il percorso è lungo e Zingaretti sembra più vicino alla vecchia base del partito che non alle istanze che chiamano al cambiamento.

Oggi non esistono possibilità di sopravvivere per partiti che muovono solo su basi ideologiche o demagogiche. Possono sopravvivere una stagione, salvo adattarsi, ma voler restare attaccati a qualcosa ormai superato, è un suicidio politico che fa perdere credibilità alla sua classe dirigente.

Conseguenza di questo immobilismo è la nascita di movimenti di reazione. I Cinque Stelle e la Lega ne sono stati l’esempio. Anche il fascismo nacque su basi di reazione così come i movimenti di Masaniello e Cola di Rienzo. La loro durata dipende dalla data di scadenza del leader o dalla persistenza delle condizioni che ne avevano determinato la nascita. A meno che non sappiano cambiare. La Lega lo ha fatto e Salvini ne sta allargando la base elettorale, peraltro su basi demagogiche e populiste. Forza Italia sembra ci stia provando.

Lasciando agli storici le valutazioni del passato, prendiamo atto della fine di un partito nato e sopravvissuto senza una logica ispiratrice, se non l’illogicità di non voler morire, andando contro leggi di natura applicabili anche alla politica. Costruire impone nuove fondamenta; gli edifici nati  su basi nuove e tecnologie avanzate, e che non siano continui  restauri di costruzioni danneggiate, hanno maggiori possibilità di durare nel tempo. Il PD non lo ha fatto, e ne sta pagando le conseguenze.

Prima di chiudere, un pro memoria rivolto ai futuri ideologi: gli elettori di oggi conoscono gli immigrati di colore e ne hanno, a torto o a ragione, una paura fottuta, specialmente di quelli che vogliono radicalizzare la loro religione. Lenin non ne ha mai visto uno, e Stalin probabilmente li avrebbe trattati come migliaia di altri che fece incarcerare o deportare a causa delle loro idee o razza. E Marx avrebbe scritto oggi “Il Capitale”? O sono più utili le teorie di Milton Fridman e Thomas Sowell? In un dibattito politico ha più senso ascoltare le ragioni altrui o zittire chi la pensa diversamente pensando di risolvere il problema tacciandolo di fascismo? Proprio il non ascoltare ha condotto a questa situazione.

Gianni Dell’Aiuto

Reddito di cittadinanza: un quadro da Grande Fratello

in SICUREZZA by

Il decreto che, tra le altre materia, disciplina il Reddito di Cittadinanza, pone rilevanti dubbi in materia di trattamento e protezione dati personali, al punto che è intervenuto il Garante che, ha redatto una memoria sul delicato argomento, formulando alcune osservazioni. L’intervento deriva anche, se non principalmente, dalla circostanza che il Governo ha omesso di richiedere preventivamente il parere da parte del Garante.

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Radical chic è bello, il caso Nanni Moretti

in EDITORIALE by

 

La definizione Radical chic, non è un neologismo offensivo o una terminologia da tirare fuori dal cassetto per bollare atteggiamenti e opinioni altrui con uno stigma negativo. Radical chic è un’espressione creata nel 1970 dal giornalista Tom Wolfe per indicare gli appartenenti ad ambienti dell’alta società, celebrità, membri di élite culturali, che aderivanoxalle cause radicali che alla fine degli anni 60 agitavano il contesto sociale. Il loro coinvolgimento era peraltro poco convinto, basato sulla necessità di seguire la moda, per motivi di immagine, esibizionismo, accreditarsi con gli attivisti, ma anche per una semplice visibilità o crearsi una base politica.

Tom Wolfe, scomparso pochi mesi fa, usò il termine per la prima volta in senso satirico nei confronti del compositore Leonard Bernstein che raccoglieva fondi per la causa delle Black Panters. Un’incongruità considerate le diverse posizioni e obiettivi perseguiti. Wolfe voleva mettere in ridicolo questi controsensi, in particolare quelli di chi xxxsosteneva il radicalismo di sinistra solo per scopi mondani o spirito di contestazione (contraddizione) fine a se stesso, ma sempre senza autentiche convinzioni politiche.

In Italia il termine venne ripreso da Indro Montanelli che, nel 1972, nella sua “Lettera a Camilla” in cui l’arguto toscano polemizzava apparentemente contro Camilla Cederna (ma non era lei la vera destinataria)quale ideale rappresentante dell’italico “magma radical-chic“, superficiale e incosciente che fu culla degli anni di piombo.

In Francia e Brasile i radical chic sono la “Sinistra al caviale”, in Inghilterra la “Sinistra champagne” e in Germania Toskana-Fraktiona causa delle villeggiature in Toscana da parte di politici e intellettuali di sinistra. Sono stati definiti comunisti in cachemire e, comunque, appartengono a classi sociali che poco hanno in comune con quelle che lottano in piazza. Tuttavia non perdono occasione per ribadire le loro posizioni e convinzioni.

Ultimo in ordine di tempo Nanni Moretti che, presentando il suo ultimo documentario, ha paragonato Matteo Salvini a Pinochet. In un’intervista al Venerdì di Repubblica ha dichiarato che, dopo la nomina a ministro del leader leghista, ha capito perché aveva girato il documentario sul golpe cileno (ma non lo sapeva il perché mentre lo stava girando?).

Il regista di film molto apprezzati da un pubblico (appunto) elitario e di nicchia, da sempre vicino a posizioni di sinistra, è andato oltre i limiti del buon senso nel paragonare un dittatore giunto al potere con un colpo di stato e che ha mantenuto quel potere con violenze, omicidi e torture, ad un leader di partito che, oltre ad avere trovato una legittimazione in sede elettorale, sembra godere oggi del favore della maggioranza degli italiani.

Fermo da sempre sulle sue posizioni, Moretti è intervenuto ancora una volta su temi politici dopo essere stato uno dei leader del movimento dei girotondi, una delle iniziative della sinistra, all’epoca contro il governo Berlusconi, miseramente fallita e quasi dimenticata: come nel gioco per bambini sembra che siano finiti tutti giù per terra.

Moretti, probabilmente anche per cercare nuova visibilità o riaccreditarsi presso il popolo deluso della sinistra, ha lanciato il suo messaggio con lo stile di quello rivolto a Massimo D’Alema nel film Aprile: il celebre “Di qualcosa di sinistra”. Il regista ha poi continuato nella sua intervista chiedendosi che cosa faccia la sinistra.

Moretti può chiederselo tranquillamente e cercare una risposta, perché lui è lo specchio della sinistra italiana: una élite radical chic, prigioniera del suo passato, senza progetti per il futuro e che vive un presente fatto solo di dubbi e indecisioni.

Moretti in tutta la sua opera ha lanciato sicuramente un messaggio che sintetizza perfettamente questa situazione. Quale è questo messaggio? Immaginiamo la sua faccia che si guarda allo specchio e, con calma, con voce ferma, così recita; “Io sono comunista. (pausa) Cazzo e ora?” Sipario.

Un messaggio che raccoglie quarant’anni di carriera che possono sintetizzarsi in un telegramma.

Restano solo danni e esperienze fallimentari,

in POLITICA by

Intervistato sulla rilevanza del 1968 Franco Battiato, cui non si possono certo imputare simpatie di destra, lo definì una “buffonata. C’era puzza di semplice incazzatura. Ma a che serve se uno si ubriaca senza evolvere il suo pensiero?” Probabilmente l’artista siciliano ha dato la più bella e calzante definizione di un fenomeno che, già in embrione nei primi anni 60 con il Manifesto di Port Huron, esplosein Francia e negli Stati Uniti, giungendo in Italia in ritardo, come quasi tutte le mode, ma lasciando strascichi i cui effetti più deleteri si vedono ancoraoggi.

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Internet  E Il Mito Della Caverna

in EDITORIALE by

 

Immaginiamo delle persone prigioniere, legate o incatenate ad una sedia; un po’ come Vittorio Alfieri. Membra, testa, collo sono bloccati; possono fissare un unico punto davanti ai loro occhi, ma non hanno di fronte un muro, bensì il monitor di un computer. Chiedo scusa a Platone e alla filosofia, ma rileggere “La Repubblica” e il mito della caverna in una chiave applicata alla realtà attuale, offre alcuni punti di riflessione. E allora continuiamo a immaginare questa scena e diamo ai nostri prigionieri una tastiera e la possibilità di interagire tra loro mediante il computer, comunicare e confrontarsi su ciò che appare sui loro schermi. Possono accedere a tutto quanto è conoscibile, e oggi sappiamo che il flusso di informazioni quotidianamente inserite in rete, è potenzialmente infinito. Ma i nostri prigionieri oltre all’impossibilità di confrontarsi con la realtà non virtuale, possono parlare solo tra di loro, e si scambiano le informazioni che sono, ovviamente quelle cui ciascuno decide di accedere. All’inizio apprezzano sempre più il confronto e si sentono gratificati da questo modo di interagire. Pian piano, sia a causa dell’eccesso di dati che giungono, sia a causa delle loro scelte, i prigionieri si focalizzano e fossilizzano però solo su alcuni dati. Ciascuno sceglie la categoria a sé più consona e sviluppa solo quei determinati argomenti, disinteressandosi via via degli altri. Quindi inizia a parlare di più solo con chi è interessato alle stesse categorie e, pian piano, diminuisce le interazioni con gli altri. Sarà quindi ogni singolo prigioniero ad aumentare determinati flussi di dati e diminuirne altri.

Ciascuno si formerà le proprie convinzioni che saranno, ovviamente, quelle dei soli dati cui decide di accedere e, logica conseguenza, inizierà a rifiutare affermazioni contrarie o discordanti; vuoi per difficoltà di comprenderle, vuoi per una sempre più marcata mancanza di confronto, ciascuno rafforzerà le proprie convinzioni. Quando il flusso di informazioni sarà difficile da seguire per l’enorme quantità di dati, specialmente se saranno diversi da quelli immagazzinati fino a quel momento e, magari, completamente diversi da quelli ricevuti fino a quel momento, i prigionieri saranno in un primo momento sconcertati; poi alcuni pian piano iniziano a valutare i nuovi dati e a confrontarsi con coloro che continuano a seguire lo stesso argomento. Qualcuno può cambiare opinione, ma altri resistono tenacemente al nuovo fino a formarsi una vera e propria corazza repellente ad ogni e qualsiasi novità. Ecco quindi che, per resistere, interiorizzano sempre più i vecchi concetti fino a farli diventare veri e propri dogma.

Ma adesso qualcosa accade e, quasi come nella versione originale, i prigionieri vengono a sapere che è possibile liberarsi dai loro lacci e catene che erano solo poggiati. Nello stesso momento giunge a tutti loro non solo il messaggio che possono muoversi anche fisicamente e interagire di persona, ma su tutti i loro schermi facciamo giungere il messaggio che da quel momento i loro computer sono ancora più potenti e possono accedere ad ancora più dati e informazioni.

Si alzeranno dalle loro postazioni? Apriranno la loro mente, oltre che i propri computer al nuovo? Saranno in grado di recepire i nuovi messaggi? Di confrontarli con quanto in loro possesso? Di valutare se le informazioni siano corrette o sbagliate, quali le migliori per loro, quali i dati inutili. C’è chi lo farà, e magari si alzerà dalla postazione, ma altri no e resisteranno. Resisteranno fino all’ultimo, magari anche a quelli che tra loro cercherebbero di liberarli, di dar loro una nuova luce e una prospettiva diversa, nella paura di perdere le loro certezze, uscire dalla comfort zone che si sono creati. Temono di essere derisi da coloro con cui avevano fino a quel momento condiviso tutto; di essere allontanati da quel gruppo; forse addirittura essere uccisi. Aloro dire, non varrebbe la pena di subire il dolore dell’accecamento e la fatica del cambiamento per andare ad ammirare le cose descritte da chi vuole liberarli. Meglio tornare in un piccolo mondo, fatto di certezze, di relazioni sicure, di autocompiacimento dove potersi mettere in mostra e confrontare con chi condivide le stesse idee, lo stesso modo di pensare, lo stesso modo di affrontare ogni aspetto della vita.

Siamo sicuri sia tutto frutto di fantasia?

In uno strano Grande Fratello alla rovescia quelli che per Platone erano veri e propri prigionieri, oggi sembrano essere volontari che soggiacciono ad un esperimento di controllo della mente. Già in passato si registravano casi in cui qualcuno restava completamente preso e affascinato dalla televisione, rimanendo ore in stato catatonico fino al termine delle trasmissioni. Fino verso la fine degli anni settanta.Poi la TV si è evoluta, è aumentato il numero dei canali e oggi abbiamo centinaia di programmi dove poter scegliere nell’arco delle ventiquattr’ore, ma internet ha permesso di andare oltre, consentendo di poter interagire con lo schermo che non è più un semplice elemento destinato soltanto a dare immagini, informazioni e suoni, ma un alter ego con cui interagire fino a farlo diventare un doppione dell’individuo che, tramite la tastiera, lo usa solo per creare un altro se stesso che diventa un clone proiettato nella rete.

Può essere fatto in maniera positiva, quando si può prenotare un viaggio, noleggiare una macchina o ordinare un prodotto che viene dall’altra parte del mondo e di cui in passato forse neppure sospettavamo l’esistenza o avremmo pensato poterlo avere. La rete ha creato posti di lavoro non solo per gli operatori e i tecnici, ma pensiamo alla categoria degli Youtuber. Ma lo strumento informatico consente anche un utilizzo non sempre positivo. E non occorre spingersi a ricordare il cyberbullismo, i reati commessi on line, l’uso che viene fatto della rete per attività criminali o terrorismo. Basti pensare a quanti usanola rete creando false personalità per interagire, dando un’immagine di sé che non potrà andare oltre lo schermo, perché falsa e adatta solo alla realtà virtuale nella quale si muove.

Insomma il nostro non prigioniero davanti allo schermo si proietta in quella che è la seconda dimensione cui tutti noi siamo comunque destinati da quando, andando oltre i desiderata di Bill Gates, abbiamo non più un solo computer in ogni casa e viviamo ogni giorno in rete.

Non è tutto ciò voler rimpiangere tempi andati, in cui se telefonavi a qualcuno per dargli il buongiorno era una scelta voluta, mirata, apprezzata che nulla ha a che vedere con i buongiornissimi collettivi lanciati in maniera impersonale sui social e sugli strumenti di messaggistica. Si tratta di prendere atto di un cambiamento forse neppure troppo annunciato ma troppo rapido per molti aspetti, ormai inevitabile e irreversibile con cui convivere, da affrontare per non farsi travolgere.

Gianni Dell'Aiuto
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