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La visita di Mattarella in Qatar e in Israele

MEDIO ORIENTE/POLITICA di

La settimana appena trascorsa è stata per il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ricca di appuntamenti istituzionali per lo più centrati sui nodi del Medio Oriente e della questione libica. 

 

IL SUMMIT IN QATAR
Il Capo di Stato dopo aver ricevuto nel 2018 al Quirinale il sovrano del Qatar, l’emiro Tamim bin Hamad al-Thani, si è recato a Doha lunedì 20 gennaio per sostenere dei colloqui assieme a quest’ultimo. Nei due giorni di permanenza sono stati toccati numerosi temi, dai problemi che affliggono la comunità internazionale e la stabilità della regione fino alle fruttuose relazioni economiche tra i due paesi, che negli ultimi anni hanno registrato 2 miliardi di euro in interscambio, ovvero nell’insieme di importazioni ed esportazioni, di cui uno per le esportazioni italiane; a testimonianza del rapporto saldo in materia economica tra Italia e Qatar erano presenti al vertice gli amministratori delegati di numerose aziende italiane, tra cui Eni, Fincantieri, Leonardo e Cassa depositi e prestiti.

Il rapporto tra i due paesi non è solo di cooperazione economica, difatti sia l’Italia che il Qatar nella questione libica appoggiano il governo di Tripoli guidato da Fayez al-Sarraj, nell’ultimo periodo sotto l’attacco del Generale Haftar, comandante dell’Esercito Nazionale Libico, che sta conducendo una grave offensiva sulla capitale nonostante le richieste di tregua avanzate sia dalla Conferenza di Berlino che dalla Russia e la Turchia, principali alleati delle rispettive compagini libiche.
Il presidente Mattarella non ha nascosto all’emiro al-Thani la sua preoccupazione per questa grave escalation di violenze, soprattutto alla luce dell’invio da parte del presidente turco Erdogan di un contingente militare in supporto di Tripoli sulla base di un accordo trovato tra Anakara e il Governo di Accordo Nazionale libico lo scorso 27 novembre. Tra i paesi che hanno condannato quest’intromissione, che sembra aver colpito l’intera comunità internazionale, c’è l’Italia. Il Presidente Mattarella ha definito la situazione preoccupante ed ha auspicato una maggiore saggezza; la crisi libica deve essere risolta tramite la mediazione poiché un ulteriore conflitto sarebbe devastante per un paese che dal 2011 ha perso la propria stabilità; è per questo che l’Italia, ha continuato il Capo di Stato, appoggia l’azione multilaterale dell’ONU e del suo alto rappresentante Ghassan Salamé.
Da parte sua l’emiro qatariota al-Thani supporta il governo di al-Serraj ed è al contempo stretto alleato di Ankara, da quando nel 2017 Erdogan supportò il Qatar a fronte di un blocco commerciale che altri Stati vicini come l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi, l’Egitto, lo Yemen e il Barhein gli imposero a seguito di accuse di finanziamento allo Stato Islamico; aiuto per cui la Turchia sta ora beneficiando di un piano d’investimenti pari a 15 bilioni di dollari da parte di Doha per contrastare la forte svalutazione della lira turca. L’incontro di Doha è stato quindi salutato con esito positivo,nonostante restino alcuni interrogativi circa il futuro della Libia; il multilateralismo e le richieste di tregua restano al contempo strumenti tanto solenni quanto poco efficaci, tant’è che il generale Haftar oltre a violare la tregua auspicata a Berlino sta limitando fortemente la produzione di greggio negli impianti sotto suo controllo, recando danni ingenti a compagnie come la NOC e l’Eni.

 

LA VISITA IN ISRAELE
Dopo gli incontri tenuti in Qatar per il Presidente Mattarella è stata la volta di Gerusalemme, invitato lì il 24 gennaio assieme agli altri capi di stato dal Presidente israeliano Reuven Rivlin per commemorare il 75imo anniversario della liberazione di Auschwitz-Birkenau al memoriale della Shoah Yad Vashem. Il Presidente Rivlin per l’occasione si è voluto congratulare con l’Italia per il suo impegno in prima fila nella lotta contro l’antisemitismo, testimoniato anche dalla nomina di Liliana Segre a senatrice a vita nel 2018, a 80 anni dalla promulgazione delle leggi razziali. L’evento di commemorazione si è svolto linearmente; hanno preso parola molti capi di stato tra cui il Presidente russo Vladimir Putin, che anche se con un leggero ritardo ha voluto ringraziare Israele per conservare tutt’oggi la memoria dei tragici eventi legati al nazismo, eventi che uniscono il popolo russo a quello ebraico, e Mike Pence, vice-presidente statunitense, il quale ha rivolto l’attenzione dei partecipanti verso gli attuali nemici del popolo ebraico, prima fra tutti Teheran.
IL VICE USA AL QUIRINALE

All’indomani della commemorazione che si è svolta a Gerusalemme il Presidente Mattarella ha accolto venerdì 24 gennaio, presso il Quirinale, proprio il vice-presidente USA Mike Pence. Le buone relazioni che intercorrono fra Stati Uniti e Italia sono dato certo; le situazioni di crisi nella politica internazionale non ne hanno scalfito l’intesa sebbene l’Italia, come confermato dalle parole dello stesso Presidente, sia preoccupata dal graduale disimpegno americano in Siria e in Libia, oltre che dall’applicazione di dazi nei confronti del nostro paese.

A tal proposito Mattarella ha esortato gli Stati Uniti ad applicare il proprio peso poltico specialmente in Libia, dove l’Italia conserva numerosi interessi, al fine di dare efficacia alla tregua chiesta dalla Conferenza di Berlino. Sulla questione dazi il Presidente ha richiamato il concetto di alleanza come “comunità di valori”, la stessa che lega i due paesi nell’alleanza trans-atlantica, e che rischia però di essere indebolita dall’intromissione di strumenti commerciali nocivi come i dazi commerciali. Dopo il colloquio avuto al Quirinale il vice USA Mike Pence si è diretto a Palazzo Chigi dal premier Conte ma, prima di lasciare il Colle, questo si è voluto complimentare con il Presidente Mattarella per la sua forte leadership.

Papa Francesco: i rischi del viaggio in Africa

Massima allerta per la visita del Papa in Africa, in programma dal 25 al 30 novembre. Si inizia domani con il Kenya, per proseguire poi con l’Uganda e terminare con la Repubblica Centrafricana, dove il rischio attentati è alto, come ribadito, da almeno due mesi, dai servizi francesi presenti nel Paese.

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Nonostante i 148 morti di aprile nel campus universitario in Kenya, è la Repubblica Centrafricana a destare le maggiori preoccupazioni sia presso la Santa Sede sia presso l’esercito francese, capofila della missione delle Nazioni Unite. Il picco di massima allerta sarà raggiunto il 29 novembre, in occasione dell’apertura del Giubileo per l’Africa da parte del Pontefice.

Se il rischio per Francesco I è già evidente da molte settimane, i fatti di Parigi e, in special modo, gli attentati all’Hotel Radisson in Mali alzano ulteriormente il livello della tensione.

Tensione palpabile nelle parole pronunciate dal cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato del Vaticano: “Il Papa vuole fortemente fare il viaggio in Africa, anche nella sua tappa più critica, la Repubblica Centrafricana, dove sono ripresi gli scontri”, ma “se ci dovessero essere scontri in atto, sarebbe difficile pensare di andare per la sicurezza del Pontefice, ma anche della popolazione”.

Tensione, tuttavia, che non scoraggia il Pontefice, “pronto – come dichiarato ieri – a sostenere il dialogo interreligioso per incoraggiare la convivenza pacifica nel vostro Paese”.

La Repubblica Centrafricana, come altri Stati africani, convive un conflitto interno a causa della guerra civile scoppiata due anni e mezzo fa. Inizialmente, non era un conflitto di tipo religioso, ma di stampo politico tra le milizie presenti nel Paese. Dopo la deposizione dell’ex presidente Bozizè, la guerra civile è divenuta uno scontro confessionale.

Facendo un breve excursus, analizzando la geografia della Repubblica Centrafricana, il Centro-Sud è più sviluppato e abitato in prevalenza da cristiani, i quali rappresentano l’80% della popolazione totale. Il Nord, invece, è meno sviluppato e a maggioranza musulmana. La mancanza di attenzione e di politiche verso quest’area da parte della capitale Bangui, hanno favorito il riversarsi di milizie non regolari dall’estero attraverso la parte settentrionale del Paese.

Dal 2003 al 2013 il protagonista della scena politica centroafricana è stato l’ex presidente Bozizè, eletto per due volte e per due volte protetto dall’esercito francese (nel 2003 e nel 2006) nel corso delle due guerre civili.

La prima, nel 2003-2007 in cui aveva come rivale il politico e militare Michel Djotodia. La seconda, malgrado gli accordi di pace, nel 2012, quando le guardie presidenziali lo abbandonano. Dopo la crisi umanitaria che deriva da questi anni di guerra civile, Bozizè scappa in Camerun. A cacciarlo è il gruppo ribelle “Seleka” (coalizione), composto da centrafricani, ma anche da ciadiani e sudanesi. Prima di andarsene dal Paese, l’ormai ex presidente aveva richiesto l’intervento della Francia a sua protezione, ma Hollande ha rifiutato.

L’altro fattore che ha contribuito alla deposizione di Bozizè è stato il mancato appoggio del presidente del Ciad Deby, il quale, dal 2010, gli aveva tolto l’appoggio esterno e aveva favorito la creazione di un gruppo ribelle di matrice islamica che si dirigesse contro la capitale Bangui.

Nel 2013, i ribelli diventano esercito regolare. Tuttavia, questa nuova situazione non fa altro che esasperare gli animi e le violenze all’interno del Paese. Violenze che sfociano nella terza guerra civile dal 2003. Nel dicembre dello stesso anno, però, l’Onu vota una risoluzione per un intervento militare nella Repubblica Centrafricana a guida francese.

Nel gennaio 2014 viene eletta presidente Catherine Samba-Panza, prima donna a ricoprire quella carica, cristiana ma neutrale. Le violenze tra musulmani e cristiani però continuano fino ad oggi. Le Nazioni Unite, l’UNICEF e altre ONG denunciano una escalation di scontri che vedono coinvolti i bambini sia nelle vesti di soldato sia nelle vesti di vittime.

 

Giacomo Pratali

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Giacomo Pratali
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