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Tunisia, la (non) svolta di Ennahda

Il X congresso del partito sancisce la fine dell’islam politico e la nascita dell’islam democratico. Si tratta del primo caso al mondo in cui una formazione politica di matrice islamica rinuncia alla “dawa”. Tuttavia il nuovo corso intrapreso dal movimento guidato da  Rashid Ghannoushi rischia di rivelarsi controproducente.

Rashid Ghannoushi, 74 anni, leader del partito islamico tunisino Ennahda prende la parola: “Le primavere arabe non hanno portato solo l’inverno dell’Isis: oggi a Tunisi comincia l’estate delle democrazie musulmane!”.

Davanti ai 13.000 sostenitori ed i 1.200 delegati riunitisi Stade Olympique de Rades, 20km dalla capitale, l’ex professore di filosofia, rientrato nel 2011 in patria dopo 20 anni di esilio a Londra, continua: “L’Islam politico non ha più alcuna giustificazione in Tunisia. Ci occuperemo solo d’attività politica, non di religione. Sarà un bene per i politici, che non saranno più accusati di strumentalizzare la religione. E lo sarà per la religione, mai più ostaggio della politica».

Le parole appena pronunciate chiudono i lavori del terzo ed ultimo giorno del X Congresso nazionale del del movimento leader dei moti del 2011 dove, con votazione finale, l’80.6% dei delegati si è espresso in favore dell’abbandono definitivo della dawa, ovvero la definitiva separazione dell’attivismo politico dalle attività religiose in seno a questo; per la prima volta un partito di matrice islamica rinuncia all’Islam politico.

Tale révirement non arriva come un fulmine a ciel sereno. L’intenzione di intraprendere un nuovo corso era già stata annunciata il 19 maggio, dalle colonne del quotidiano francese Le Monde. In tale occasione il  presidente del partito, intervistato, aveva affermato: “dopo la rivoluzione dei gelsomini nel 2011 e l’adozione nel 2014 della nuova Costituzione – ha detto Ghannoushi – in Tunisia non c’è più’ alcuna giustificazione per un movimento che si richiami ad un Islam politico”.

Parlare di “svolta”, tuttavia, è fuorviante. Ennahda ha infatti intrapreso, sin dal 2011, un percorso di istituzionalizzazione e de-radicalizzazione che l’ha resa un attore politico di primo piano, parte integrante della competizione politica democratica tunisina, nonché uno dei pilastri sui quali poggia il (fragile) successo della transizione democratica in corso nel paese. L’abbandono della dawa può essere vista, dunque, come la culminazione di un processo che ha luogo da ormai 5 anni; un balzo in avanti, uno strappo al più, ma non un vero e proprio cambio di direzione.

 

Restano, ad ogni modo, dubbi e criticità. Un primo nodo da scogliere sarà quello riguardante l’autenticità di tale decisione. Molti sono, infatti, gli analisti e gli opinion leaders che nutrono dubbi a riguardo, ipotizzando che quello operato da Ennahda sia soltato un atto di taqiyya, (un precetto islamico che prevede la possibilità di dissimulare o addirittura rinnegare esteriormente la fede islamica in casi eccezionali). Di tale avviso è lo stesso Mustapha Tlili, il quale, nel suo editoriale sul quotidiano Leaders, ha accusato lo stesso Ghannoushi di aver messo in scena una vera e propria “illusione”, arrivando a chiedere, come prova di sincerità, l’introduzione della separazione tra Stato ed Islam anche nella Costituzione, ad oggi prevista nel testo, ma in maniera piuttosto vaga.

È tuttavia plausibile, se si considera il pragmatismo dimostrato in questi anni dal fondatore del movimento, che tale scelta, più che un autentico ripensamento sul rapporto tra politica e religione, sia una mossa strategica. Presentandosi infatti come prima forza politica del paese e definendosi “un movimento democratico e civile” Ennahda intende avvicinarsi al Presidente della Repubblica Beji Caid Essebsi, in un momento in cui il partito secolarista alla guida del governo di coalizione, Nidaa-Tounes, si trova ad affrontare una grave crisi interna ed un rimpasto di governo sembra ormai inevitabile.

In secondo luogo, poi, bisognerà trovare una risposta ad una questione che, nel trionfalismo con il quale i media di tutto il mondo hanno accolto “la svolta di Ennahda” sembra sfuggire al dibattito pubblico, ma sulla quale si giocherà una partita importante nel percorso verso un regime stabile e  pienamente democratico.

Accettando la competizione democratica e partecipando alle elezioni dell’Assemblea Costituente, il partito islamico ha progressivamente abbandonato le posizioni anti-sistemiche degli anni di Ben-Ali e della rivoluzione, divenendo un elemento di mediazione tra i partiti secolaristi ed i movimenti politici islamisti di stampo radicale emersi in questi anni sul territorio nazionale in un contesto sempre più polarizzato.  Sino ad oggi, dunque, il “Movimento della Rinascita” è stato, de facto, l’unica forza legittima in grado di dialogare con il nuovo salafismo, assurgendo a catalizzatore politico delle istanze islamiche provenienti dalla società civile.

A tale processo, però, è corrisposta una reazione uguale e contraria provocando molte spaccature all’interno del fronte islamico. Una parte della popolazione, soprattutto tra le fasce più giovani, non ha accettato le scelte intraprese dal partito, rimanendo su posizioni anti-sistemiche e, di conseguenza, affluendo verso gruppi più radicali.

Al tempo stesso, proprio l’inclusione della sezione tunisina dei Fratelli Musulmani ha reso possibile la progressiva marginalizzazione degli altri movimenti islamisti dal contesto istituzionale, con ciò contribuendo alla loro radicalizzazione. Il movimento Ansar al-Shari’a (AST) ne è una prova. Questo, infatti, dopo i moti del 2011, in un primo momento non era andato contro le istituzioni tunisine; con la progressiva integrazione di Ennahda nelle dinamiche istituzionali ed in seguito alle repressioni operate nei suoi confronti dal governo, da un lato ha visto allargarsi le sue fila mentre, dall’altro, è andato incontro ad una ulteriore radicalizzazione.

Alla luce di quanto detto pare lecito domandarsi se lo strappo operato durante l’ultimo congresso non possa portare ad effetti controproducenti. L’abbandono della dawa da parte di Ennahda lascia scoperta una matrice culturale e politica di primaria importanza nella società tunisina alla quale, dal 2011 ad oggi, il partito di Ghannoushi ha garantito un’espressione moderata. La “svolta di Ennahda” lascia dunque un vuoto che dovrà essere colmato, ma da chi?

Sebbene il 73% dei tunisini si sia espresso a favore della separazione tra stato e religione, vi è comunque una fetta importante della popolazione che, non condividendola, potrà trovare forme di rappresentanza dell’Islam politico solo in partiti assai più radicali, non essendo presente sul territorio tunisino un’altra forza islamista moderata. Ne consegue che, se da un lato i Fratelli Musulmani tunisini, magari memori dell’esperienza dei cugini egiziani, hanno preso definitivamente le distanze dai movimenti estremisti,  dall’altro quella che, più che un vero ripensamento, potrebbe essere una scelta strategica per porsi alla guida dell’esecutivo in caso di deposizione dell’attuale primo ministro Habib Essid,  invece di  portare ad un’ulteriore stabilizzazione del sistema politico in Tunisia rischia di rafforzare proprio quelle forze che vorrebbero destabilizzarlo.

Di Tommaso Muré

Daesh: da Parigi a Maiduguri

EUROPA/Medio oriente – Africa di

L’attacco terroristico a Parigi del 13 novembre ha reso evidente come lo Stato Islamico sia un pericolo anche dentro i confini occidentali. Aldilà di Siria e Iraq, dove ha sede il Califfato, è l’Africa il luogo più colpito dal terrorismo islamico. I fatti degli ultimi quindici giorni ne sono l’ulteriore riprova.

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Sono oltre 83 gli attentati in tutto il mondo dal giugno 2014 ad oggi, riporta il quotidiano francese Le Monde. Oltre 1600 le vittime. Raqqa (Siria) e Maiduguri (Nigeria) le città più colpite. Dal marzo 2015, data dell’affiliazione del gruppo nigeriano Boko Haram al Califfato, le azioni terroristiche nel continente africano sono aumentate a dismisura. Così come le varie sigle che, dal Mali all’Egitto, colpiscono in nome dell’Isis.

Dopo i 129 morti di Parigi, altri se ne sono aggiunti da novembre ad oggi:

Mali: Oltre 20 le persone uccise a seguito di un raid compiuto da un commando jihadista lo scorso 20 novembre all’hotel Radisson di Bamako. Un blitz delle forze speciali francesi e statunitensi ha permesso la liberazione dei circa 150 ostaggi sopravvissuti. Dopo l’arresto di due sospettati, la risposta delle cellule terroristiche locali non si è fatta attendere con l’attacco alla base ONU di Kidal nel nord del Paese, in cui sono morte 3 persone.

Egitto: Due azioni terroristiche. La prima, il 24 novembre, quando un doppio attacco kamikaze, compiuto in un hotel del Sinai del Nord che ospitava alcuni presidenti di seggio, ha portato all’uccisione di 4 persone. La seconda, il 28 novembre, a Giza, quando alcuni terroristi hanno sparato contro un checkpoint, uccidendo 4 poliziotti.

Nigeria: Prima una stazione dei camion, poi una processione sciita. Sono questi i due obiettivi presi di mira dai miliziani di Boko Haram nello Stato di Borno, vicino alla capitale Maiduguri. Rispettivamente oltre 35 e 32 i morti.

Camerun: Quattro differenti azioni kamikaze da parte di altrettante ragazze hanno portato all’uccisione di almeno 5 persone a Fotokol lo scorso 21 novembre.

Tunisia: 13 morti a seguito di un attacco bomba contro l’autobus della guardia presidenziale avvenuto lo scorso 24 novembre a Tunisi. Così come nelle azioni al Museo del Bardo e nella spiaggia di Sousse dello scorso giugno, lo Stato Islamico ha rivendicato l’attentato.

 

Giacomo Pratali

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Tunisia: strage sulla spiaggia

BreakingNews di

I morti sono 38 e tra questi almeno cinque cittadini britannici assieme ad altri cittadini di nazionalità tedesca, belga e francese; i feriti 36, alcuni dei quali in gravi condizioni . Questo il drammatico bilancio dell’assalto di ieri quando due uomini armati hanno sparato nella spiaggia di due resort di lusso a Sousse, nel golfo di Hammamet in Tunisia. Uno degli attentatori è rimasto ucciso, colpito a morte dalla polizia tunisina in uno scontro a fuoco sulla spiaggia e l’altro è stato catturato ad Akouda, a pochi km dal luogo della strage. In serata sono stati eseguiti altri fermi.

L’Assalto
Erano sbarcati sulla spiaggia da un gommone i due attentatori e hanno aperto il fuoco con granate sulla spiaggia. Uno dei due nascondeva il kalashnikov sotto l’ombrellone che teneva sotto braccio. Secondo testimoni oculari, i terroristi avrebbero poi fatto irruzione nella struttura, inseguendo i turisti in fuga fino alla piscina, cercando di evitare di colpire gli inservienti di nazionalità tunisina. L’uomo rimasto ucciso era uno studente, sconosciuto alle forze di polizia, proveniente da Kairouan, città santa dell’Islam dove si trova la moschea più antica del Maghreb. In concomitanza con le stragi di Francia, Kuwait City e Somalia, la strage di Sousse è stata rivendicata dai jihadisti dell’IS, i quali in un comunicato diffuso su twitter in serata hanno dichiarato: “ Un soldato del califfato ha potuto raggiungere l’obiettivo, uccidendo circa 40 persone, per la maggior parte di stati dell’alleanza crociata che combatte lo stato del califfato”.

Una giornata di sangue e di terrore eseguita e collaudata in tre continenti a tre giorni dall’anniversario della proclamazione del cosiddetto “Stato Islamico” avvenuta il 29 giugno di un anno fa. Già martedì, 23 giugno l’IS aveva fatto girare in rete un richiamo alle armi esplicita: “Attaccate cristiani, sciiti, apostati”. Detto fatto. Una strategia del terrore e della visibilità mediatica globale, queste le linee guida atroci dei jihadisti. Rimane da vedere la reazione del mondo musulmano che fa i conti con la vulnerabilità del mondo arabo. La Tunisia, la moderata, colpita per la seconda volta dopo la strage al Museo del Bardo a Tunisi il 18 marzo scorso, teme la messa in ginocchio del primo settore dell’economia nazionale che è il turismo. Ieri ha vinto il terrore; oggi piangiamo i morti e domani? Domani tocca decidere quando dare fine a questo strazio a cominciare dalla Siria.

Sabiena Stefanaj
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