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Repubblica Ceca

Pari opportunità e parità di retribuzione, il Comitato europeo dei diritti sociali riscontra violazioni in Repubblica Ceca

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Il Comitato europeo dei diritti sociali ha riscontrato numerose violazioni del diritto alla parità di retribuzione e alle pari opportunità sul luogo di lavoro. I paesi coinvolti sono numerosi: Belgio, Bulgaria, Cipro, Croazia, Finlandia, Francia, Grecia, Irlanda, Italia, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Repubblica Ceca e Slovenia. L’approfondimento del Comitato europeo è seguito alla procedura dei reclami collettivi portata avanti da 15 paesi: tra questi, sono risultati tutti violatori di diritti alla parità di retribuzione e di pari opportunità fuorché la Svezia, unico paese conforme alle disposizioni della Carta sociale europea.

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Repubblica Ceca, le ultime indagini dell’UE sul conflitto d’interessi e gli aiuti di Stato

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In linea con quanto accaduto lo scorso anno, continuano i problemi tra Unione europea e Repubblica Ceca. Il 19 giugno, gli europarlamentari hanno adottato una risoluzione in cui chiedono di risolvere il conflitto d’interesse nel Paese e di istituire un meccanismo per prevenire i conflitti d’interesse e garantire la registrazione dei nomi dei beneficiari dei fondi europei. Il 23 giugno, la Commissione europea ha avviato un’indagine approfondita per valutare se la compensazione concessa dalla Repubblica Ceca alla Posta ceca per adempiere alla sua missione di servizio pubblico è in linea con le norme dell’UE in materia di aiuti di Stato, in quanto la Posta Ceca è il principale operatore postale della Repubblica Ceca ed è interamente di proprietà dello Stato.

La risoluzione del Parlamento europeo

Venerdì 19 giugno gli europarlamentari hanno adottato, con 510 voti favorevoli, 53 contrari e 101 astensioni, una risoluzione in cui si afferma che il Primo ministro ceco Babiš continua ad essere attivamente coinvolto nell’esecuzione del bilancio europeo, pur continuando a controllare la società Agrofert, uno dei maggiori beneficiari dei sussidi europei in Repubblica Ceca. Si tratta di un conglomerato di oltre 230 aziende che è stato di proprietà del Primo ministro ceco; il gruppo ha fortemente beneficiato di fondi europei, ricevendo circa 36,5 milioni di euro in sussidi agricoli solo nel 2018. L’indagine iniziata nel gennaio 2019 è formalmente ancora in corso, ma i deputati europei hanno insistito sulla necessità del primo ministro di gestire la posizione di conflitto d’interesse in tre modi possibili: rinunciando ai propri interessi commerciali e aziendali; astenendosi dal chiedere finanziamenti europei; astenendosi dalle decisioni europee che riguardano i loro interessi. Attualmente, nessuna legge europea obbliga uno Stato membro a rivelare i beneficiari finali dei fondi europei. Dunque, i deputati hanno chiesto alla Commissione europea di istituire dei meccanismi per prevenire i conflitti di interesse relativi ai fondi europei, non solo per il caso ceco; le norme dovrebbero includere l’obbligo di pubblicare i beneficiari delle sovvenzioni europee e i massimali di pagamento diretto per ogni persona. Nel novembre 2019, tutti i pagamenti dal bilancio europeo alle società del Primo ministro, ricco imprenditore ceco, sono stati sospesi. I deputati della commissione per la sorveglianza del bilancio sostengono che fino a quando le indagini della Commissione europea e dell’Ufficio europeo per la lotta antifrode non saranno completate, il paese non dovrebbe prendere parte alle decisioni sui bilanci dell’UE.

Infine, il Parlamento ha anche condannato l’uso del linguaggio diffamatorio e dei discorsi di odio utilizzato dal Primo ministro Babiš contro gli eurodeputati che hanno preso parte alla missione conoscitiva a Praga nel febbraio scorso, nell’ambito delle indagini per l’irregolarità della gestione dei fondi europei: in particolare, ha definito “squilibrata” Monica Hohlmeier, alla guida della missione della commissione parlamentare per il controllo dei bilanci, ed ha chiamato “traditori” due membri cechi della missione.

In risposta a quanto richiesto dagli europarlamentari, il primo ministro Babiš ha affermato che i legislatori europei “hanno incitato le misure relative a specifici procedimenti penali sul territorio ceco senza conoscenze o prove specifiche”. Inoltre, ha aggiunto all’agenzia di stampa CTK “Penso che questo possa essere percepito come una prova della pressione politica e mediatica sulla magistratura ceca e delle interferenze negli affari interni”.

Le indagini della Commissione europea

La Commissione ha avviato un’indagine approfondita sul finanziamento del servizio postale della Repubblica ceca nell’ambito degli aiuti di Stato. Nel gennaio 2020, la Repubblica ceca ha notificato alla Commissione europea il suo piano di compensazione per le poste ceche per un importo di 7,5 miliardi di corone ceche (circa 282,1 milioni di euro) per l’adempimento dell’obbligo del servizio postale universale nel periodo 2018-2022; ciò include la fornitura di servizi postali di base in tutto il paese a prezzi convenienti e con determinati requisiti minimi di qualità. Tuttavia, nel novembre 2019 la Commissione ha ricevuto due denunce da parte dei concorrenti delle Poste ceche che sostenevano che la compensazione da concedere alle Poste ceche per i suoi obblighi di servizio universale per il periodo 2018-2022 fosse incompatibile con la normativa in materia, in quanto non venivano rispettati i criteri previsti di compensazione. La Commissione teme quindi che la Posta ceca possa essere stata sovracompensata tra il 2018 e il 2022 e, a seguito di una valutazione preliminare, ha deciso di avviare un’indagine approfondita, non escludendo il rischio di sovracompensazione che comporta notevoli distorsioni del mercato. La Commissione esaminerà ora ulteriormente la questione per verificare se le sue ipotesi iniziali verranno confermate ed ha aperto le indagini alle osservazioni anche da parte della Repubblica Ceca.

Visegrad, l’incontro tra i quattro Paesi per il Recovery Fund

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L’11 giugno scorso i quattro Paesi di Visegrad, vale a dire Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria e Polonia, si sono incontrati presso il castello di Lednice, in Repubblica Ceca, al fine di trovare una posizione comune sul Recovery Fund. La posizione che è emersa è la seguente: l’erogazione di fondi per aiutare i Paesi membri dell’Ue è giusta e necessaria a gestire la pandemia, tuttavia deve avvenire secondo un meccanismo equo. I primi ministri Orbán e Babiš hanno affermato che “non è giusto che i Paesi più poveri debbano pagare per quelli più ricchi”. Quanto al Fondo, la proposta della Commissione prevede 63 miliardi per la Polonia, 8 per la Slovacchia, 19,2 per la Repubblica Ceca e 15 per l’Ungheria e lascia scontenti gli ultimi due paesi.

Il summit di Lednice

I ministri del gruppo Visegrad si sono incontrati l’11 giugno per il loro ultimo vertice durante la presidenza ceca: per l’occasione, il vertice si è tenuto al Castello di Lednice in Repubblica Ceca. L’argomento principale è stato la preparazione di una posizione comune sul futuro bilancio europeo e sul quadro finanziario pluriennale dell’UE. I primi ministri Andrej Babiš della Repubblica ceca, Mateusz Morawiecki della Polonia, Viktor Orbán dell’Ungheria e Igor Matovič della Slovacchia hanno convenuto che nell’attuale situazione di emergenza è necessario sostenere la comune economia europea. Tuttavia, anche se la crisi che colpisce l’UE riguarda tutti gli Stati membri, non tutti dispongono di strumenti sufficienti per far fronte alla crisi. La posizione dei paesi è dunque quella per cui i fondi previsti dai nuovi strumenti dovranno essere distribuiti in modo equo e senza svantaggiare gli Stati più in difficoltà. Il primo ministro ceco Babiš ha affermato che la distribuzione dei fondi dovrà avvenire in modo equo, così come la scelta dei criteri: “la disoccupazione non dovrebbe essere un criterio chiave perché i suoi valori negli ultimi anni non erano correlati alla crisi del Coronavirus”; al contrario, il Primo Ministro ceco considera il calo del PIL un criterio appropriato. Inoltre, è emerso che l’assistenza per l’economia europea dovrebbe essere flessibile da soddisfare le diverse esigenze di ogni Stato, che verranno stabilite di Stato in Stato. “Nel nostro caso, questo è principalmente il Piano nazionale per gli investimenti. Dobbiamo ricevere denaro per gli investimenti e dobbiamo essere in grado di mostrare alla Commissione europea e agli Stati membri esattamente dove sono finiti quei soldi”, ha affermato il primo ministro.

La posizione dei paesi

Secondo Babiš è essenziale che gli Stati membri V4 confermino una posizione unitaria nei confronti del nuovo quadro finanziario pluriennale dell’UE. “Entreremo nei negoziati con un chiaro obiettivo comune: garantire che il prossimo bilancio dell’UE sia impostato correttamente in modo che sia equo e che il piano di rafforzamento post-Coronavirus soddisfi le esigenze delle nostre economie”, ha aggiunto Andrej Babiš.

I paesi V4 sostengono la creazione di strumenti e misure straordinari in linea con le esigenze dell’economia europea al fine di affrontare le conseguenze economiche sfavorevoli della crisi causata da COVID-19. Tuttavia, ritengono che tali misure debbano essere strettamente di natura temporanea. La ripresa dovrebbe basarsi su riforme e investimenti a favore della crescita. Al fine di sfruttare appieno lo slancio già nel 2021, la portata delle misure per creare le condizioni per una crescita sostenibile dovrebbe essere abbastanza ampia e il processo dovrebbe essere semplice.

Ovvero, la distribuzione di fondi non dovrebbe svantaggiare i paesi che hanno gestito la pandemia in modo relativamente efficace: Repubblica Ceca e Ungheria sono in una posizione contrariata, poiché la proposta della Commissione prevede 63 miliardi per la Polonia, 19,2 per la Repubblica Ceca, 15 per l’Ungheria e 8 per la Slovacchia. Se il primo ministro slovacco si è detto soddisfatto per quanto otterrebbe, ha riconosciuto comunque che è poco favorevole per gli altri paesi. Il primo ministro ungherese, nazionalista conservatore molto critico con l’UE, ha affermato che il fondo è “filosoficamente abbastanza lontano da ciò che gli ungheresi pensano del mondo” e che “finanzia i ricchi con i soldi dei poveri”. Il primo ministro, pur considerando il meccanismo “assurdo e perverso” ha affermato che con ulteriori elaborazioni è disposto ad accettarlo. Quanto alla Polonia, essendo il paese che tra i quattro ha ottenuto di più, sembra essere più d’accordo con la proposta della Commissione. Tuttavia, il primo ministro Morawiecki, altro nazionalista conservatore, ha affermato che “I Paesi dell’Ue più ricchi dovrebbero pagare di più nel bilancio dell’Unione sulla scia della ripresa economica”.

Si conclude dunque che i criteri di assegnazione sia per il QFP che per il piano di Next Generation EU dovrebbero essere equi nei confronti dei paesi a basso reddito, poiché il livello di prosperità riflette la capacità degli Stati membri di finanziare la ripresa.

Le recenti tensioni diplomatiche della Repubblica Ceca con Russia e Polonia

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Nell’ultimo periodo, la Repubblica Ceca ha dovuto affrontare diverse questioni: dal coronavirus e la crisi economica alle tensioni diplomatiche con la Polonia e la Russia. Per ciò che riguarda la Polonia, il governo di Varsavia ha erroneamente invaso la Repubblica Ceca mantenendo la presenza dell’esercito nel Paese dalla fine di maggio, fino a quando i soldati non sono stati richiamati in Polonia. Quanto alla Russia, l’ultimo avvenimento dell’espulsione di due diplomatici cechi da Mosca, è una reazione per quanto avvenuto in Repubblica Ceca: ad aprile, la città di Praga ha rimosso la statua del generale dell’Armata rossa che liberò Praga dai Nazisti; inoltre, i media cechi hanno accusato un diplomatico russo di essere stato inviato a Praga per avvelenare tre politici cechi, tra cui il sindaco della capitale, Zdenek Hrib. In seguito, due diplomatici russi sono stati espulsi da Praga e la crescente tensione tra Mosca e Praga ha portato ad una reazione del Cremlino.

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Parlamento Europeo, l’appello alla Repubblica Ceca per il conflitto di interessi

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“Il Primo Ministro ceco dovrebbe risolvere il suo conflitto di interessi con urgenza” affermano i deputati del Parlamento europeo: nonostante siano trascorsi quasi due anni, la questione dell’irregolarità dell’uso di fondi europei per fini imprenditoriali personali continua ad essere al centro dei dibattiti del Parlamento europeo. Sono state fatte diverse missioni conoscitive a Praga per verificare ed ascoltare tanto il governo quanto la società civile e il Parlamento europeo ha richiesto al governo di Praga di non partecipare ai colloqui sul bilancio fino a che non saranno chiarite le sue accuse di conflitto di interessi.

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Covid-19, la Repubblica Ceca tra riaperture, aiuti europei e prevenzione

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La Repubblica Ceca, colpita dalla pandemia del Covid-19 già dai primi di marzo, sta attraversando ora una fase molto simile a quella degli altri paesi europei: pianificare le prime riaperture ma continuare a prevenire l’ulteriore diffusione del virus, senza recare eccessivi danni all’economia. Un’impresa non da poco che Praga affronta grazie alle misure di aiuti di Stato approvati dalla Commissione europea e dal prestito della Banca di sviluppo del Consiglio d’Europa, ed inoltre estendendo la “smart quarantine”, provata nella Moravia meridionale, in tutto il paese.

Le ultime misure del governo

In vista di un futuro allentamento delle misure di lockdown ma con la volontà di scongiurare l’ulteriore diffusione del coronavirus, il governo di Praga ha preso molteplici misure. Il ministro della Sanità Vojtech ha annunciato il 21 aprile il lancio di un test su larga scala di persone selezionate in modo casuale in determinate località del Paese. “Stiamo lanciando uno studio unico sull’immunità collettiva. 27.000 persone saranno testate per la presenza di coronavirus. Vogliamo scoprire quanta parte della popolazione ha riscontrato l’infezione e quale immunità hanno i diversi gruppi di età. Di conseguenza, saremo in grado di comprendere meglio la situazione e creare una previsione per lo sviluppo futuro”, ha dichiarato Vojtech su Twitter. Lo studio avrà luogo a Praga, Brno e dintorni, Olomouc e dintorni, Litoměřice, Litovel e Uničov. La partecipazione è volontaria, ma i partecipanti non devono avere alcun sintomo associato al Covid-19, né possono essere stati precedentemente contagiati dal virus.
Inoltre, a partire dal 20 aprile è stato possibile riaprire diverse attività: negozi di artigiani (evitando comunque il diretto contatto con i clienti), rivenditori di automobili e mercati all’aperto. Gli studenti universitari potranno tornare all’università per avere colloqui individuali con i docenti in caso di necessità; si possono celebrare matrimoni (con un massimo di 10 persone come ospiti) e gli atleti professionisti potranno tornare ad allenarsi all’aperto.
Un’altra importante misura riguarda gli aiuti che lo Stato fornisce alla popolazione: i lavoratori autonomi colpiti dalla pandemia riceveranno a maggio un pagamento di 15.000 corone dallo stato, secondo quanto ha dichiarato il Primo Ministro Babiš. “Il governo è anche pronto per i pagamenti a giugno, se necessario”, ha poi aggiunto. Già ad aprile era stata approvata una politica di aiuti, una somma forfettaria di 25.000 corone. Per accedere al pagamento, i richiedenti devono dimostrare di soddisfare due condizioni: essere un lavoratore autonomo; l’attività autonoma del richiedente deve essere la sua attività principale.

L’estensione della Smart Quarantine

Come ulteriore forma di prevenzione, a partire dal 20 aprile, il progetto di “quarantena intelligente” testato sulla regione della Moravia meridionale è stato esteso a tutto il paese. Si tratta di un progetto che prevede di rintracciare tutti i contatti avuti dalle persone che risultano positive al virus nei cinque giorni precedenti al tampone, creando delle mappe per ricostruire i loro movimenti con l’aiuto di banche e operatori di telefonia mobile. Tutti coloro con cui sono entrati in contatto i positivi verranno testati e messi in quarantena per evitare l’ulteriore diffusione del virus. La quarantena intelligente contribuirà all’accelerazione nel processo di identificazione dei nuovi casi di coronavirus, nonché nel processo di riapertura delle attività del Paese. Secondo quanto previsto, tutti i dati dovranno essere definitivamente cancellati dopo che la ricerca è stata completata, ed inoltre solo gli epidemiologi potranno accedere ai dati.

Aiuti dall’Europa

La Commissione europea ha approvato un regime di aiuti di Stato per la Repubblica ceca fino a 1 miliardo di CZK (circa 37 milioni di euro). Il Paese ha notificato alla Commissione, sotto il Temporary Framework, uno schema per sostenere gli investimenti delle piccole e medie imprese nella produzione di prodotti rilevanti per l’epidemia di coronavirus; lo schema iniziale prevede un budget di 300 miliardi di corone ceche, approssimativamente 11 milioni di euro, per poi poter essere incrementato fino a 37 milioni di euro. Il sostegno pubblico avverrà attraverso delle sovvenzioni dirette: coprirà il 50% dei costi ammissibili che le aziende devono sostenere per produrre i prodotti ora fondamentali. L’obiettivo è proprio migliorare e accelerare la produzione per contrastare la diffusione del coronavirus e curare chi è già stato contagiato attraverso ventilatori, indumenti, attrezzature protettive e strumenti diagnostici. Nell’ambito del regime, i progetti di investimento saranno completati entro sei mesi dalla data di concessione dell’aiuto. L’approvazione della Commissione è dovuta alla vitale importanza che ricoprono gli aiuti per il paese, essenziali al raggiungimento di un obiettivo di comune interesse; inoltre, il regime è necessario, appropriato e proporzionato per combattere la crisi sanitaria.
Infine, la Banca di sviluppo del Consiglio d’Europa, ha approvato un prestito di 300 milioni di euro alla Repubblica Ceca per finanziare le spese sanitarie per combattere la diffusione e l’impatto della pandemia. Si tratta del primo prestito del governo con questa banca, supporterà il governo ceco nel proseguire i suoi sforzi per mitigare la diffusione e le conseguenze del Covid-19 coprendo il 90% del costo totale richiesto a breve termine. Consentirà l’acquisizione di materiale e attrezzature mediche, inclusi test, ventilatori e respiratori, nonché dispositivi di protezione per il personale in prima linea. Il prestito può anche coprire la riabilitazione e la conversione di spazi, unità mediche e ospedali per soddisfare le attuali esigenze di assistenza sanitaria di emergenza.

Repubblica Ceca, scontro tra Governo e Parlamento per lo Stato di emergenza

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L’emergenza del virus Covid-19, diffuso in tutto il mondo, ha comportato l’adozione di misure anche in Repubblica Ceca, dove sin da subito sono stati presi importanti provvedimenti. Attualmente, lo stato di emergenza, e le misure che questo comporta, è stato prolungato dall’11 al 30 aprile, non senza discussioni tra Parlamento e Governo. In una riunione straordinaria di giovedì 9 aprile, i ministri hanno inoltre discusso di vari cambiamenti nelle misure di emergenza già annunciati e hanno anche approvato l’assistenza finanziaria a istituzioni culturali statali e non statali. Hanno infine deciso di rafforzare il coinvolgimento dell’esercito ceco nell’affrontare la pandemia di coronavirus, con altri 2.000 soldati.

La richiesta del Governo

Il 7 aprile scorso, Il primo ministro Andrej Babiš ha chiesto alla Camera dei deputati di prorogare di un mese lo stato di emergenza sull’epidemia di coronavirus. Lo Stato di emergenza è stato infatti dichiarato il 12 marzo e può avere durata massima di un mese. Nell’esporre la sua richiesta, il Primo ministro ha affermato “non voglio che le libertà siano limitate un secondo in più di quanto sia assolutamente necessario”; ha sottolineato i pilastri su cui è stata costruita l’UE, come la libera circolazione delle persone, e ha riconosciuto che la democrazia differisce dalla dittatura per la sua cura per ogni singola vita umana. Nel suo discorso, ha riconosciuto l’imprevedibilità della situazione in cui ci si trova e l’impossibilità di promettere ai parlamentari di prolungare lo Stato di emergenza per l’ultima volta, pur considerando l’essenziale aspetto della ripresa economica. “Oltre a fermare l’epidemia, il nostro compito fondamentale è far funzionare l’economia. Soprattutto dobbiamo sopravvivere nei primi mesi che potrebbero essere difficili” ha affermato Babiš. Le sue azioni hanno come obiettivo il controllo dell’epidemia, evitando di sovraccaricare il sistema sanitario attraverso l’isolamento dei positivi al Covid, tenendo sotto controllo la diffusione.

Il voto in Parlamento

Vista la scadenza il 12 aprile, è stata richiesta la proroga dello Stato di emergenza fino all’11 maggio. In una sessione di emergenza di sette ore, il 7 aprile i parlamentari cechi hanno discusso di queste misure, ma hanno approvato un’estensione dello stato di emergenza fino alla fine di aprile, anziché approvare la data dell’11 maggio proposta dal governo. Novanta dei 101 parlamentari presenti hanno votato a favore dell’estensione dello stato di emergenza fino al 30 aprile. I parlamentari dei TOP 09 (partito liberal-conservatore), STAN (sindaci e indipendenti) e Tricolor (partito euroscettico e conservatore) erano contrari a prolungare lo stato di emergenza, in gran parte a causa della mancanza di un piano chiaro presentato dal governo per le prossime settimane, e hanno proposto una proroga di sole due settimane. “Nessuno di noi ha un piano dettagliato con punti A, B, C o D, su come possiamo gestire l’epidemia, perché la situazione è in continua evoluzione”, ha affermato il ministro dell’Interno Hamáček, in difesa su questo punto. Di diverso avviso sono stati il Partito Pirata, il Partito Comunista e l’SPD di estrema destra, che hanno suggerito la fine del mese.
I 101 deputati presenti hanno quindi votato separatamente su ciascuna proposta; 36 hanno votato a favore della proroga di 14 giorni, 48 a favore della proroga di 30 giorni del governo e 84 a favore della scadenza del 30 aprile. Nella votazione finale sull’opzione più popolare, l’estensione fino al 30 aprile è passata di 90 voti a 5. Sulla base di quanto votato in Parlamento, il governo ceco ha approvato, nella riunione del 9 aprile, l’estensione dello Stato di emergenza fino al 30 aprile 2020.

Le prime misure allentate

Lo stato di emergenza consente alle attuali misure, imposte per affrontare l’epidemia di coronavirus, di rimanere in vigore, dando al governo il diritto di limitare gli spostamenti e i viaggi, così come la libertà di movimento e di decidere sulla chiusura delle imprese. Inoltre, consente al governo di riuscire ad ottenere tutto ciò che è necessario per gestire la crisi sanitaria in modo più rapido e semplice, evitando le normali procedure come i contratti di appalto soliti, usati per le forniture di servizi. Babiš ha voluto comunque sottolineare che in alcun modo lo stato di emergenza verrà utilizzato per tornare ad uno Stato onnipotente nel senso dei pieni poteri, rassicurando la popolazione che le misure verranno revocate al più presto.
Infatti, nonostante il prolungarsi dello Stato di emergenza, le norme anti-coronavirus del governo hanno iniziato ad essere allentate, a partire dalla scorsa settimana con l’apertura di alcuni negozi e impianti sportivi. Il ministro della sanità ceco, Adam Vojtěch, ha dichiarato che ulteriori misure sarebbero state allentate e che sarebbero stati riaperti altri negozi dopo le vacanze di Pasqua. Tuttavia, il tutto è accompagnato da norme igieniche più rigorose che devono essere osservate in tutti i negozi aperti. In aggiunta, il governo consente di compiere attività di sport all’aria aperta, come la corsa o il ciclismo, purché si compiano in solitaria. Dal 14 aprile infine, i cittadini cechi e stranieri con residenza permanente o temporanea di oltre 90 giorni possono di nuovo di viaggiare all’estero, in casi necessari e chiaramente giustificati, come lavoro, salute e visite mediche o assistere membri della famiglia in difficoltà. Tuttavia, a causa della diffusione del virus, i confini rimangono chiusi e i cittadini stranieri non possono entrare nel paese: per chi torna a casa dopo un periodo all’estero è previsto l’isolamento per 14 giorni ed è ancora obbligatorio l’uso di mascherine negli spazi pubblici.

Repubblica Ceca, Polonia e Ungheria condannate dalla Corte di giustizia dell’UE

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La Corte di giustizia dell’Unione Europea ha condannato la Repubblica Ceca, la Polonia e l’Ungheria affermando che i tre paesi Visegrad non hanno rispettato i loro obblighi nei confronti dell’UE poiché non si sono adeguate al meccanismo di ricollocamento dei migranti richiedenti asilo creato nel 2015. La Corte di giustizia ha risposto così al ricorso presentato dalla Commissione europea nei confronti dei tre Stati membri.

Il ricorso della Commissione

La Commissione dell’Unione Europea si è rivolta alla Corte di Lussemburgo presentando il ricorso contro la Repubblica Ceca, la Polonia e l’Ungheria, con l’accusa di inadempimento di alcune decisioni del Consiglio. In particolare, i paesi si sono rifiutati di ospitare la loro quota di rifugiati assegnata loro per alleggerire l’onere dei paesi di Grecia e Italia, a seguito del picco di arrivi dal 2015. Il Consiglio, il 22 settembre 2015, ha adottato una decisione per ricollocare su base obbligatoria 120.000 richiedenti di protezione internazionale. Inoltre, la Corte considera la Polonia e la Repubblica ceca anche colpevoli di non aver adempiuto ai propri obblighi ai sensi di una precedente decisione del Consiglio, quella del 14 settembre dello stesso anno, nei confronti di 40.000 migranti richiedenti asilo. Dopo l’adozione di queste decisioni, la Polonia aveva indicato di poter ricollocare rapidamente nel suo territorio 100 persone, ma non diede mai seguito a questa decisione. L’Ungheria invece, non aveva indicato alcun numero di persone da accogliere. Quanto alla Repubblica Ceca, aveva dichiarato di poter ricollocare nel proprio paese 50 persone: di queste, solo 12 sono state effettivamente ricollocate dalla Grecia.

La decisione della Corte

Giovedì 2 aprile, la Corte di giustizia dell’UE ha condannato la Polonia, l’Ungheria e la Repubblica Ceca per essersi rifiutate di conformarsi al meccanismo creato nel 2015, di fatto venendo meno ad un obbligo europeo. I tre paesi non si sono conformati a quanto previsto dal meccanismo e concordato dal Consiglio. In particolare, per quanto riguarda la Repubblica Ceca, la Corte ha dichiarato che ha mancato di indicare, almeno ogni tre mesi, il numero di richiedenti che era in grado di ricollocare rapidamente nel suo territorio, venendo meno agli obblighi previsti; ciò ha impedito all’Italia e alla Grecia di individuare i singoli richiedenti che potevano essere ricollocati nella Repubblica ceca, condannandola come richiesto dalla Commissione.
Per questi motivi, la Corte ha accolto i ricorsi presentati dalla Commissione europea ed ha stabilito che i tre Stati “non possono invocare né le loro responsabilità in materia di mantenimento dell’ordine pubblico e di salvaguardia della sicurezza interna, né il presunto malfunzionamento del meccanismo di ricollocamento per sottrarsi all’applicazione del meccanismo stesso”. È necessario quindi che i paesi si conformino alla sentenza.
Tuttavia, un portavoce della Commissione europea, rispondendo alle domande dell’ANSA, ha dichiarato che “Con la scadenza di entrambe le decisioni sui ricollocamenti, non c’è modo per rimediare all’infrazione”, ma ha aggiunto “la decisione è però importante perché fa chiarezza sulla responsabilità degli Stati membri, e guiderà il lavoro dell’Esecutivo Ue per il futuro”. “La priorità della Commissione europea ora è presentare il nuovo Patto su asilo e migrazione. La sentenza della Corte Ue chiarisce che il principio di solidarietà e di giusta condivisione della responsabilità tra gli Stati membri, secondo i Trattati, governa la politica di asilo dell’Ue” ha concluso.

La reazione della Repubblica Ceca

Non si è fatta attendere la risposta della Repubblica Ceca, che considera “irrilevante” la sentenza della Corte di giustizia, proprio alla luce del fatto che ora non c’è modo di rimediare all’infrazione. Nonostante la sentenza della Corte, per il primo ministro ceco Andrej Babiš è essenziale il fatto che la Repubblica ceca non potrà essere obbligata ad accettare i richiedenti asilo in questione poiché nel frattempo il sistema delle quote è scaduto. Secondo lui, è quindi poco importante che i tre paesi di Visegrad non abbiano vinto il caso giudiziario. Il primo ministro ha dichiarato “Abbiamo perso la disputa, ma questo non è importante. L’importante è che non dobbiamo pagare qualcosa. Di solito, la corte chiede un risarcimento per il procedimento” aggiungendo “il punto è che non accetteremo alcun migrante e che le quote sono scadute nel frattempo”. È intervenuto anche il ministro degli Interni, Jan Hamáček, che ha fatto leva sul cambiamento della situazione: “La decisione della corte risponde agli eventi accaduti qualche anno fa. Sto prendendo in considerazione il verdetto, ma senza ulteriori conseguenze”. Infine, Marian Jurečka, leader del Partito popolare, ha sottolineato che la Corte UE non ha tenuto conto di altre misure con cui la Repubblica ceca ha contribuito a risolvere la crisi migratoria. Ad esempio, il Paese è stato sempre attivo a sostegno dei campi profughi. “La Repubblica Ceca ha sicuramente provato a mostrare solidarietà e ad aiutare a risolvere la situazione, senza mettere in pericolo la propria sicurezza”, ha aggiunto Jurečka.

Repubblica Ceca, al via la prova pilota della “smart quarantine” nella Moravia meridionale

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L’emergenza del Covid-19 coinvolge ormai l’intero continente europeo: la sfida comune è quella di riuscire a contenere il più possibile la diffusione del coronavirus e di mantenere basso il numero dei contagi. In Repubblica Ceca, sin da subito sono state prese importanti misure di contenimento, prorogate di recente fino all’11 aprile. Inoltre, la regione della Moravia meridionale ha iniziato a testare la “Smart quarantine”, la quarantena intelligente, sottoponendo a controlli più stringenti i positivi al Covid-19.

La Smart Quarantine

Il test del nuovo sistema per contenere la diffusione del coronavirus – la cosiddetta quarantena intelligente – è iniziato lunedì nella regione della Moravia meridionale, con capoluogo Brno. Per identificare e isolare le persone infette dal nuovo coronavirus, i dati provenienti dagli operatori mobili e dalle banche (tramite pagamenti con carte bancarie) saranno forniti all’Autorità regionale per l’igiene per tenere traccia dei loro movimenti e delle persone con cui sono stati in contatto, purché le persone positive abbiano dato il loro consenso a essere rintracciati. La smart quarantine è l’insieme di una serie di diverse misure separate che mirano a isolare le persone a rischio di infezione da coronavirus il più rapidamente possibile. Tra le misure vi sono test rapidi dei pazienti, tracciabilità accurata e completa dei loro possibili contatti nei giorni precedenti, quarantena rapida di persone potenzialmente infette, disinfestazione di punti chiave (i cosiddetti hot-spot), test controllati su persone in quarantena e assistenza medica adeguata alle condizioni del paziente. Il governatore della regione, Bohumil Šimek, ha affermato: “Durante questa settimana, le singole misure del sistema volte a identificare e isolare quelle persone potenzialmente infette dal nuovo coronavirus COVID-19 saranno gradualmente messe in pratica dall’Autorità regionale per l’igiene e dall’intera regione”. Inoltre, il governatore ha aggiunto “considero il fatto che la Regione della Moravia meridionale sia stata scelta come pilota di questo progetto come segno di apprezzamento per il lavoro svolto dalla nostra Autorità regionale per l’igiene e per l’alta qualità e la cooperazione esemplare di tutti gli elementi del Sistema integrato di salvataggio della Moravia meridionale”.

Come funziona tecnicamente

Entro tre giorni a partire da lunedì 30, verranno rintracciati tutti i contatti delle persone contagiate e disinfettati gli hot-spot. La quarantena intelligente monitorerà i movimenti di ogni persona contagiata nei cinque giorni precedenti. Coloro che risultano positivi al test descriveranno quindi chi hanno incontrato e dove all’Autorità regionale per l’igiene, e con queste informazioni sarà progettata una mappa, così da tener sotto controllo l’intera rete di persone coinvolte. L’implementazione sarà supervisionata da Roman Prymula, il viceministro della sanità. A questo punto, entro i successivi tre giorni, tutti coloro che sono entrati in contatto con la persona positiva verranno contattati. “Gli sarà richiesta una quarantena a breve termine”, ha spiegato Prymula. Inoltre, un team medico dell’esercito ceco prenderà a campione tra questi contatti delle persone che verranno sottoposte al tampone per il Covid-19.

Vista la complessità dell’attuazione del progetto, le singole misure saranno gradualmente introdotte nella regione durante tutta questa settimana. L’obiettivo è di mettere a punto il sistema prima nella Moravia meridionale, in modo che sia completamente pronto per l’implementazione in tutta la Repubblica Ceca nel prossimo futuro. Secondo quanto previsto dal governo, “tutti i dati dovranno essere definitivamente cancellati dopo che la ricerca è stata completata”, ha affermato Ondřej Tomáš, uno degli sviluppatori di sistema; inoltre, sempre a tutela della privacy dei cittadini cechi, solo gli epidemiologi potranno accedere ai dati.

Le misure nel resto del Paese

Oltre a questo nuovo sistema, la Repubblica ceca ha prorogato le misure di quarantena fino all’11 aprile alle ore 6:00 del mattino, ha dichiarato alla stampa locale il primo ministro ceco Andrej Babiš. In precedenza, le misure di quarantena erano valide fino al 1° aprile, ma vista la situazione si è optato per una proroga. Tutti i pub, i ristoranti e la maggior parte dei negozi devono rimanere chiusi, con l’eccezione di negozi di alimentari, farmacie e altre attività essenziali. Le limitazioni alla libera circolazione che sono state estese includono il divieto di viaggiare, con le sole eccezioni per il lavoro, la famiglia e alcune altre circostanze: le visite necessarie per i familiari in difficoltà, gli spostamenti per acquisire beni essenziali, gli spostamenti verso le strutture sanitarie e di servizi sociali, per aiutare vicini di casa in gravi situazioni o uscire all’aria aperta – nei parchi e nei giardini – rimanendo ben a distanza da altre persone. Quest’ultima eccezione, tuttavia, è oggetto di molti dibattiti: ai residenti viene generalmente chiesto di rimanere al chiuso, se possibile; infatti, pur non essendoci un divieto di uscita, le foto degli affollati parchi di Praga durante il fine settimana sono state ampiamente criticate. Inoltre, tutti i residenti sono tenuti ad indossare una maschera in qualsiasi momento quando sono all’esterno o negli spazi pubblici e mantenere una distanza di due metri dagli altri. In caso contrario, potranno ricevere una multa di 20.000 corone.

Repubblica Ceca – Italia, la questione delle mascherine sequestrate

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L’Italia è il paese europeo più colpito dalla pandemia del coronavirus, mentre la Repubblica Ceca si trova a fronteggiare una situazione meno grave, seppur caratterizzata dalla veloce diffusione del virus, con oltre mille casi di contagi e i primi decessi. Proprio nel pieno della crisi, quando gli Stati hanno un maggior bisogno di cooperare, è stato denunciato un grave caso di mancanza di solidarietà, almeno all’apparenza: il 20 marzo un ricercatore ceco ha denunciato un sequestro di mascherine in arrivo dalla Cina e dirette in Italia.

Cosa è successo

La pandemia da Covid-19 sta mettendo alla prova i singoli Stati sotto diversi punti di vista, dal proprio sistema sanitario alla capacità di prendere decisioni in tempi rapidi, sacrificando la produzione e l’economia del paese, considerando anche l’attitudine alla cooperazione tra Stati. Per ciò che riguarda gli Stati membri dell’Unione europea, la situazione non è semplice come sembra: prevalgono le politiche nazionali e l’UE fa fatica ad imporsi come guida. Allo stesso tempo, il sentimento di solidarietà tra gli Stati membri dell’UE non è lo stesso per tutti: la questione delle mascherine tra Italia e Repubblica Ceca sembra esserne un esempio.

Il 17 marzo, le autorità locali della Repubblica Ceca hanno sequestrato a Lovosice, nel nord-ovest del paese, in modo arbitrario, un carico comprendente 110.000 mascherine e migliaia di respiratori provenienti dalla Repubblica popolare cinese e diretti in Italia. La denuncia è avvenuta al GR1 da parte di un ricercatore ceco, Lukas Lev Cervinka, membro del partito Pirata (all’opposizione in Parlamento, ma al potere nella città di Praga). Il ricercatore si è reso conto che le autorità ceche avevano iniziato a vantare un grande successo nella lotta a chi specula, affermando che “si trattava di mascherine e respiratori confiscati, parlando di materiale rubato a imprese ceche da criminali senza scrupoli che volevano venderle a costo maggiorato sul mercato internazionale, sfidando i severi limiti all’export medico imposti in Cechia come altrove dall’emergenza”. Poco dopo però sono iniziati ad apparire i primi filmati in cui si poteva chiaramente riconoscere la provenienza del materiale: si trattava in parte di aiuti umanitari cinesi, in quanto scatoloni con le bandiere cinese e italiana, con le scritte – in inglese e in mandarino – “forza Italia, siamo al tuo fianco”.

Il chiarimento diplomatico

Iniziandosi a diffondere la notizia anche sui media locali ed internazionali, il Ministro dell’Interno ceco Jan Hamacek ha ammesso, inizialmente solo attraverso dei tweet, che parte del carico intercettato dalle autorità locali era proprio quello destinato all’Italia: “I doganieri hanno sequestrato centinaia di migliaia di mascherine. Purtroppo, successivamente è venuto alla luce che una parte era un dono cinese all’Italia”, ha scritto il Ministro su Twitter, aggiungendo che “l’Italia sarà risarcita”. Dopo la pronta reazione della diplomazia italiana, la situazione sembra essersi risolta.

La mattina del 22 marzo, il Ministro degli Affari Esteri della Repubblica Ceca, Petříček, ha comunicato all’Ambasciatore italiano a Praga che, in attesa della conclusione delle indagini relative al materiale sanitario, il paese avrebbe inviato quanto prima in Italia 110.000 mascherine provenienti dalle proprie scorte, lo stesso numero di mascherine sequestrate dalle autorità ceche. Considerata l’urgenza crescente in Italia, il Governo ceco, in coordinamento con l’Ambasciata d’Italia a Praga, ha deciso di inviare subito il carico destinato all’Italia senza attendere la conclusione dell’inchiesta di polizia tuttora in corso: ad ogni modo, le prime indagini hanno rivelato che le forniture mediche sequestrate dalle autorità includevano un lotto separato di materiale sanitario donato dalla Croce Rossa della città di Qingtian. La Repubblica ceca ha espresso rammarico per questa constatazione e ha sostituito le forniture mediche in questione con quelle identiche delle sue scorte. Nel primo pomeriggio del 22 marzo, il ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, ha ricevuto una lettera dal ministro degli Esteri ceco, in cui è stato rassicurato per quanto riguarda la spedizione del carico di mascherine.

“Questione risolta”

Il Ministro Di Maio, ricevuta la conferma dall’omologo Petříček, ha commentato affermando “Dunque questione risolta, andiamo avanti”. Come assicurato dal Ministro ceco, il 23 marzo è partito per l’Italia il carico di materiale sanitario: 110.000 mascherine sono state inviate in Italia, l’equivalente di quelle sequestrate, e verranno consegnate alle autorità competenti a Roma. In particolare, vista l’emergenza anche di rimpatriare gli italiani in Repubblica Ceca, le mascherine sono state caricate a bordo di un autobus messo a disposizione del Ministro degli Affari esteri ceco che riporta in Italia circa quaranta connazionali – tra cui molti studenti Erasmus – che lo hanno richiesto all’Ambasciata da quando sono stati ridotti i voli diretti. Il ministero degli Esteri si sta muovendo attraverso dei propri mezzi di trasporto anche per recuperare i cittadini cechi bloccati nei paesi vicini, offrendosi, con l’occasione, di trasportare nella tratta di andata i cittadini del Paese di destinazione, come è avvenuto con l’Italia.

Flaminia Maturilli
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