Papa Francesco: i rischi del viaggio in Africa
Massima allerta per la visita del Papa in Africa, in programma dal 25 al 30 novembre. Si inizia domani con il Kenya, per proseguire poi con l’Uganda e terminare con la Repubblica Centrafricana, dove il rischio attentati è alto, come ribadito, da almeno due mesi, dai servizi francesi presenti nel Paese.
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Nonostante i 148 morti di aprile nel campus universitario in Kenya, è la Repubblica Centrafricana a destare le maggiori preoccupazioni sia presso la Santa Sede sia presso l’esercito francese, capofila della missione delle Nazioni Unite. Il picco di massima allerta sarà raggiunto il 29 novembre, in occasione dell’apertura del Giubileo per l’Africa da parte del Pontefice.
Se il rischio per Francesco I è già evidente da molte settimane, i fatti di Parigi e, in special modo, gli attentati all’Hotel Radisson in Mali alzano ulteriormente il livello della tensione.
Tensione palpabile nelle parole pronunciate dal cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato del Vaticano: “Il Papa vuole fortemente fare il viaggio in Africa, anche nella sua tappa più critica, la Repubblica Centrafricana, dove sono ripresi gli scontri”, ma “se ci dovessero essere scontri in atto, sarebbe difficile pensare di andare per la sicurezza del Pontefice, ma anche della popolazione”.
Tensione, tuttavia, che non scoraggia il Pontefice, “pronto – come dichiarato ieri – a sostenere il dialogo interreligioso per incoraggiare la convivenza pacifica nel vostro Paese”.
La Repubblica Centrafricana, come altri Stati africani, convive un conflitto interno a causa della guerra civile scoppiata due anni e mezzo fa. Inizialmente, non era un conflitto di tipo religioso, ma di stampo politico tra le milizie presenti nel Paese. Dopo la deposizione dell’ex presidente Bozizè, la guerra civile è divenuta uno scontro confessionale.
Facendo un breve excursus, analizzando la geografia della Repubblica Centrafricana, il Centro-Sud è più sviluppato e abitato in prevalenza da cristiani, i quali rappresentano l’80% della popolazione totale. Il Nord, invece, è meno sviluppato e a maggioranza musulmana. La mancanza di attenzione e di politiche verso quest’area da parte della capitale Bangui, hanno favorito il riversarsi di milizie non regolari dall’estero attraverso la parte settentrionale del Paese.
Dal 2003 al 2013 il protagonista della scena politica centroafricana è stato l’ex presidente Bozizè, eletto per due volte e per due volte protetto dall’esercito francese (nel 2003 e nel 2006) nel corso delle due guerre civili.
La prima, nel 2003-2007 in cui aveva come rivale il politico e militare Michel Djotodia. La seconda, malgrado gli accordi di pace, nel 2012, quando le guardie presidenziali lo abbandonano. Dopo la crisi umanitaria che deriva da questi anni di guerra civile, Bozizè scappa in Camerun. A cacciarlo è il gruppo ribelle “Seleka” (coalizione), composto da centrafricani, ma anche da ciadiani e sudanesi. Prima di andarsene dal Paese, l’ormai ex presidente aveva richiesto l’intervento della Francia a sua protezione, ma Hollande ha rifiutato.
L’altro fattore che ha contribuito alla deposizione di Bozizè è stato il mancato appoggio del presidente del Ciad Deby, il quale, dal 2010, gli aveva tolto l’appoggio esterno e aveva favorito la creazione di un gruppo ribelle di matrice islamica che si dirigesse contro la capitale Bangui.
Nel 2013, i ribelli diventano esercito regolare. Tuttavia, questa nuova situazione non fa altro che esasperare gli animi e le violenze all’interno del Paese. Violenze che sfociano nella terza guerra civile dal 2003. Nel dicembre dello stesso anno, però, l’Onu vota una risoluzione per un intervento militare nella Repubblica Centrafricana a guida francese.
Nel gennaio 2014 viene eletta presidente Catherine Samba-Panza, prima donna a ricoprire quella carica, cristiana ma neutrale. Le violenze tra musulmani e cristiani però continuano fino ad oggi. Le Nazioni Unite, l’UNICEF e altre ONG denunciano una escalation di scontri che vedono coinvolti i bambini sia nelle vesti di soldato sia nelle vesti di vittime.
Giacomo Pratali
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