MAE, per tutelare le comunità religiose si deve investire sui giovani
Il 13 luglio scorso si è tenuta la conferenza internazionale “La Tutela delle comunità religiose” organizzata dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale in collaborazione con l’Istituto per gli studi di Politica Internazionale.
L’iniziativa dell’ ISPI ha dato la possibilità di discutere, sul tavolo della Sala delle Conferenze Internazionali della Farnesina, di una tra le più attuali questioni che interessano i paesi ed i rispettivi popoli: la libertà religiosa e la sua tutela. Tra i numerosi ospiti, l’On. Angelino Alfano, Mons. Paul Gallagher, Fabio Pettito, Luca Maestripieri e Riccardo Shemuel Di Segni, si poteva respirare un’aria di collaborazione, soddisfazione degli obiettivi raggiunti ma altresì un notevole impegno per tutti i progetti che dovranno segnare una svolta al drammatico scenario religioso-politico in cui viviamo. Le parole chiavi che hanno accomunato tutti gli interventi sono state “educazione” e “giovani”, perché? Prima di rispondere occorre soffermarsi su cosa è la libertà religiosa e perché essa occupa un ruolo così centrale nel dibattito politico odierno.
La libertà religiosa, tralasciando, ma non per la minor importanza, gli articoli della Costituzione italiana che le danno una più che adeguata definizione, è un diritto essenziale della persona: come l’On. Alfano ha voluto sottolineare, si può considerare come il diritto alla preghiera precedente del diritto positivo stesso. L’uomo infatti, prima di entrare a far parte di comunità politiche e sociali, rette su un ordinamento giuridico specifico, era membro di comunità religiose, fedele a un credo e quindi libero di esprimere la sua fede più intima. Da qui parte la centralità della questione religiosa di ciascun uomo, e di conseguenza dello Stato in cui risiede. Nonostante ci si possa domandare sul perché, nel XXI secolo, ancora non si è giunti a poter parlare di pura libertà religiosa, dei diritti ad essa connessa e di integrazione fra i vari popoli, i fatti internazionali dimostrano la problematicità della questione. La religione non è più così libera, la religione è ora strumentalizzata, spesso oggetto di lotte politiche interne se non causa di morti su morti, simbolo del messaggio di un integralismo sempre più profondo e diffuso, dal Medio Oriente che ne è la culla, fino all’Occidente.
Deve essere dunque una priorità di tutte le politiche disporre degli strumenti adeguati per combattere la lotta contro la libera espressione della religione e la tutela di tutte le minoranze religiose che ne sono vittime, per poter finalmente riconoscere integralmente il rispetto di una delle libertà fondamentali dell’individuo.
Ecco che torniamo alla domanda iniziale: i mezzi che possono contribuire a finalizzare questo progetto sono l’educazione e le generazioni future; è proprio in esse che la religione si sta sempre più nascondendo, la mancanza di informazione o forse il giusto utilizzo dell’informazione, data la sua abbondanza spesso però erronea, la facilità di trasmissione di idee radicalizzate o che si radicalizzano proprio tra i più giovani sono i punti focali sui quali bisogna lavorare. È giusto poter diffondere e creare un maggior canale di comunicazione tra le comunità del mondo, ha affermato il Segretario per i rapporti con gli Stati della Santa fede, ma tale processo deve essere adeguatamente controllato proprio tramite una migliore educazione e conoscenza.
Gli strumenti culturali, secondo il prof. Silvio Ferrari, devono essere tutti accomunati dal rispetto della conoscenza ed educazione che necessariamente diventano sinonimo di coscienza. Connessa alle due parole chiavi di cui sopra, vi è anche la collaborazione tra i paesi per raggiungere la tutela religiosa: deve esserci civilizzazione che permetta l’apertura di dialoghi, cercando di abbattere così l’ignoranza e la paura che, da una parte, istigano i combattenti, ma dall’altra risiedono quotidianamente nella vita delle “possibili vittime”. Tra gli strumenti è compresa la prevenzione, concetto che può apparire facile, ma la cui pratica non lo è affatto: la prof.ssa Tadros, insegnante di power and popular politics cluster leader presso l’Università di Sussex, ha infatti ribadito che la forza di più paesi per la lotta al riconoscimento di qualsiasi libertà, debba dimostrarsi prima che si presenti una tragedia, prima che un’altra forza la riesca a sopprimere, senza cercare rimedi impraticabili una volta avvenuta la tragedia. Oltre a “prevenzione”, bisogna attuare “protezione” e “difesa”, l’inviato speciale per la promozione della libertà e religione e di credo al di fuori dell’Unione Europea, Figel, ha annunciato così la lunga strada che ancora bisognerà percorrere in questi termini, essendo ancora molto alta la percentuale dei paesi in cui vi è restrizione della libertà o l’uso della pena di morte per apologia.
Gli ultimi decenni hanno, tuttavia, dimostrato l’impegno di varie nazioni nella promozione di iniziative, patti e summit circa la tutela religiosa e le diverse questioni ad essa connesse, esempio ultimo è il progetto italiano dell’ “Osservatorio sulle minoranze religiose nel mondo e sul rispetto della libertà religiosa” che si occuperà di monitorare le condizioni delle minoranze religiose nel mondo per rafforzarne la tutela e si farà portavoce di eventuali proposte, in coordinamento con la rete diplomatica all’estero. A presiederlo sarà Salvatore Martinez, tra gli ospiti della conferenza, presidente della fondazione vaticana “Centro internazionale famiglia di Nazareth”. Il percorso sarà senza dubbi lungo e travagliato, ma avendo già fatto i primi passi, ci si auspica possa apparire meno doloroso e presto proficuo.
Laura Sacher
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