GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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Regeni e il depistaggio del governo egiziano

Continua ad infittirsi il giallo legato alla morte del ricercatore italiano Giulio Regeni. L’ammissione da parte di tre fonti di intelligence egiziane, secondo cui il 28enne sarebbe stato arrestato per il suo comportamento impertinente nei confronti delle forze dell’ordine e, soprattutto, perché sospettato di essere una spia a causa dei suoi contatti con la Fratellanza Musulmana e il Movimento di Sinistra 6 Aprile, sono state smentite il 15 febbraio dal Ministero dell’Interno de Il Cairo che tramite, l’agenzia stampa Mena, nega “che il ragazzo sia stato imprigionato dall’autorità di sicurezza prima della sua morte”.

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Innanzitutto, i dati certi. L’autopsia ha evidenziato segni di tortura sul corpo di Regeni, tra cui sette costole rotte e scosse ai genitali.

Ma quello che è emerso nelle ultime 48 ore è una dicotomia tra quanto riportato dalle testate internazionali come New York Times e Reuters e italiane come Corriere della Sera e La Repubblica, e dalle autorità egiziane. Aldilà della smentita da parte del governo, è chiaro che in atto ci sia un tentativo di sviare le indagini.

Oltre a non chiarire le circostanze della scomparsa di Regeni, alcune testimonianze, ritenute attendibili in un primo momento, cozzano con quanto riferito sia dalle stesse fonti dell’intelligence, intervistate separatamente e in forma anonima dal New York Times, sia dalle riprese delle telecamere dei negozi che avrebbero ripreso l’arresto del 25 gennaio scorso.

Come rivelato dai tre testimoni dei servizi, l’interesse crescente di Giulio nei confronti delle attività sindacali egiziane, osteggiate dal presidente Al Sisi, avrebbero indotto le autorità locali a pensare che il ricercatore italiano fosse una spia.

Insomma, egli sarebbe finito in un affare più grande di lui. Secondo il Corriere della Sera, nel mese di dicembre, l’Università di Cambridge, presso la quale Regeni era dottorando, avrebbe chiesto allo studente di intensificare le ricerche all’interno del sindacato e dei movimenti di opposizione al regime di Al Sisi. Per questo motivo, le ultime settimane di vita del ragazzo sarebbero state contraddistinte dalla partecipazioni alle riunioni di tali movimenti e alla conoscenza di personalità sia sindacali sia appartenenti alla Fratellanza Musulmana.

Questo il movente che ha probabilmente generato, nelle autorità egiziane, il sospetto che Regeni fosse una spia: “Dopotutto, chi viene in Egitto a studiare i movimenti sindacali?” ha rivelato un funzionario dell’intelligence.

In più, gli eventi strettamente legati alle ore che hanno riguardato la scomparsa dell’italiano. Come già scritto, alcune testimonianze, ritenute inizialmente credibili, secondo cui Regeni sarebbe stato portato via da due poliziotti, sono state smentite dalla chat di Facebook risalenti proprio al 25 gennaio. Qui, il ragazzo parla alla fidanzata e al professore due ore dopo la presunta cattura da parte della polizia.

Una cattura che probabilmente è avvenuta. Ma legata a tempistiche e a protagonisti differenti. E, soprattutto, con uno stile di vita che, con ogni probabilità, aveva messo i servizi segreti egiziani sulle tracce di Giulio Regeni ben prima del 25 gennaio, giorno della sua scomparsa.
Giacomo Pratali

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Egitto aereo caduto: gli effetti socioeconomici

Medio oriente – Africa di

La decisione di Vladimir Putin di interrompere i voli sull’Egitto. La conferma dell’intelligence britannica che il volo 7K9268 caduto il 31 ottobre sia stato fatto esplodere da una bomba. La rivendicazione dello Stato Islamico e l’esultanza sul web di siti vicini al Daesh. L’apertura all’ipotesi attentato fatta dal governo de Il Cairo. L’aereo schiantatosi sul Sinai, nel quale sono morte 224 persone, rischia di destabilizzare le istituzioni e l’economia di un Paese già fragile.

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Già nel corso della scorsa estate, la strategia dei gruppi jihadisti del Sinai, affiliati al Califfato, era chiara: colpire gli obiettivi internazionali presenti in Egitto, in modo da minare l’economia del Paese nordafricano, spinta soprattutto dal turismo.

Come riportato da Il Fatto Quotidiano, infatti, nel 2014 il turismo ha costituito il 14% del Pil egiziano. L’11,6% della popolazione è impiegata in questo settore. Circa 10 milioni di turisti stranieri, di cui 2 milioni russi, hanno visitato le Piramidi o hanno soggiornato in località come Sharm El-Sheik lo scorso anno.

Proprio adesso che inizia l’alta stagione, l’incidente dell’airbus russo rischia di piegare l’economia e di incidere negativamente sulla disoccupazione. In poche parole, dopo la caduta del regime di Mubarak e l’elezione di Morsi, poi arrestato, al Sisi rischia di non poter più tenere a bada una popolazione che, anche a causa delle condizioni di povertà, era stata protagonista della Primavera Araba nel 2011. E forse, come accaduto in un altro incidente aereo nel 1999, la conferma ufficiale da parte dell’autorità egiziane non arriverà mai.

Alla radice di tutto ciò, la messa al bando della Fratellanza Musulmana e l’intervento militare in Libia a difesa del governo di Tobruk hanno provocato la reazione e una duplice strategia di quell’altra parte dell’Islam, quella riconducibile al Daesh.

Sul fronte egiziano, la strategia del Califfato è quella di minare la stabilità del Paese, come già fatto in Siria e Iraq, in modo che esso non sia più un attore che dialoga con l’Occidente, come accaduto durante il regime di Mubarak e come sta accadendo ora.

Per quanto riguarda il contesto geopolitico, l’obiettivo è quello di evitare l’eventuale stabilizzazione della vicina Libia. Il che passa dalla mancata creazione di un governo di unità nazionale, ma anche dall’eliminare un possibile alleato di un eventuale intervento militare sotto l’egida delle Nazioni Unite.

Il plebiscito ottenuto da al Sisi nelle elezioni in corso e lo sfoggio di potere dimostrato dal presidente egiziano in occasione dell’inaugurazione dell’allargamento del Canale di Suez potrebbero diventare un ricordo se il Paese assistesse ad un tracollo sociale ed economico.
Giacomo Pratali

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Giacomo Pratali
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