GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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REGIONI - page 35

Somalia: il Parlamento sfiducia il Primo ministro. Nuove ombre sul futuro del Paese

AFRICA di

 

Si aggrava la crisi politica in Somalia dopo che il Parlamento di Mogadiscio ha deposto il Primo ministro Hassan Ali Khaire con un voto di sfiducia il 25 luglio scorso.  La mozione, votata dalla Camera bassa del Parlamento somalo, è passata con 170 voti favorevoli e 8 contrari, determinando una situazione di stallo politico che potrebbe far piombare il Paese nel caos. Il premier sfiduciato, ex dirigente della compagnia petrolifera somala Oil and Gas, non ha ancora commentato la vicenda.

Il governo non è riuscito a rispettare la sua promessa di preparare un piano chiaro per le prossime elezioni”, ha dichiarato il Presidente del Parlamento Mohamed Mursal Sheikh Abdirahman a seguito della votazione.

La recente mozione di sfiducia si inserisce, infatti, nel contesto dei contrasti che da mesi coinvolgono il governo federale e gli Stati regionali in merito alla necessità di rimandare o meno le prossime elezioni generali, previste nel mese di febbraio 2021. Tuttavia, ad aver determinato la spaccatura all’interno del Paese, è stata soprattutto la controversa legge elettorale approvata lo scorso dicembre dal Parlamento somalo, poi promulgata dal Presidente Mohamed Abdullahi Farmajo, e che vede la netta opposizione degli Stati regionali che accusano il capo dello Stato di voler estendere la durata del suo mandato.

In questo contesto, l’ex premier Khaire si è finora sempre schierato contro l’eventualità di un rinvio del voto, allineandosi di fatto alle posizioni degli Stati regionali e discostandosi da quelle del Presidente Farmajo. Nell’apprendere l’esito della mozione di sfiducia, il Presidente somalo ha dichiarato di aver “accolto con favore la decisione della Camera del popolo”, ribadendo “l’importanza della cooperazione tra tutti I poteri statali”, specialmente in questa fase di crisi.

Il Ministro della Sicurezza interna Mohamed Abukar Islow, alleato chiave di Khaire, ha accusato il leader del Parlamento e lo stesso capo dello Stato di aver complottato la sfiducia nei confronti del primo ministro per giungere ad un rinvio delle elezioni, violando di fatto le previsioni costituzionali in merito alla durata della legislatura, fissata a 4 anni.

È un giorno buio per la storia del Paese”, ha dichiarato Islow.

Nel frattempo, il Presidente Abdullahi ha nominato il vicepremier Mahdi Mohammed Gulaid come Primo ministro ad interim, mentre i media somali rivelano la volontà dell’ex premier Khaire di candidarsi alla presidenza del Paese.

Cybersecurity, per la prima volta l’UE impone sanzioni contro gli attacchi informatici

EUROPA di

L’Unione europea affronta le sfide in materia di cibersicurezza ormai da diversi anni, cercando di fornire una risposta agli attacchi cibernetici subiti dagli Stati membri e dalle istituzioni europee. Tali sfide impattano gravemente sulla sicurezza, sulla stabilità e anche sull’ordine democratico, soprattutto vista la sempre maggiore connessione a dispositivi digitali che si compie giornalmente, ormai in modo naturale. Per questi motivi, per la prima volta nella storia dell’UE, il Consiglio dell’Unione europea ha deciso di imporre misure restrittive nei confronti di sei persone e tre entità responsabili di aver compiuto vari hackeraggi, fra i quali “WannaCry”, “NotPetya” e “Operation Cloud Hopper”.

La cibersicurezza in Europa – evoluzione della materia

Le attività portate avanti dall’Unione europea in materia di cibersicurezza sono dovute principalmente a due fattori, molto connessi tra loro: il sempre maggior sviluppo delle tecnologie e del digitale, nella vita di ognuno di noi; i conseguenti attacchi informatici che ne derivano. In particolare, secondo i dati della Commissione europea, gli attacchi perpetrati per mezzo di ransomware, ovvero un malware che infetta i dispositivi, sono triplicati tra il 2013 e il 2015 e l’impatto economico della criminalità informatica si è quintuplicato tra il 2013 e il 2017, tanto da far considerare questo tipo di criminalità una vera e propria sfida per la sicurezza interna dell’Unione europea.

Le prime norme di cibersicurezza adottate dal Consiglio a livello europeo risalgono a maggio 2016: si tratta della direttiva sulla sicurezza delle reti e dei sistemi informativi, introdotta per accrescere la cooperazione tra Stati membri in materia, definendo obblighi di sicurezza per gli operatori di servizi essenziali, in settori quali energia, trasporti, sanità e finanza. Nel giugno 2017 è stato istituito il pacchetto di strumenti della diplomazia informatica, che consente all’UE di utilizzare tutte le misure PESC a fini di prevenzione e deterrenza nei confronti delle attività informatiche dolose. Nel settembre del 2017 è stato varato, invece, un pacchetto di riforme per l’introduzione di sistemi di certificazione a livello europeo per prodotti, servizi e processi TIC, al fine di consentire la crescita del mercato europeo in materia. Negli anni, le istituzioni europee hanno continuato a monitorare la situazione, adottando conclusioni e cercando di rafforzare le proprie capacità di risposta a minacce di questo tipo: nel 2018, il Consiglio ha avviato i negoziati con il Parlamento europeo per giungere ad un accordo sul regolamento sulla cibersicurezza – adottato il 9 aprile 2019 –  istituendo un quadro europeo di certificazione per prodotti, servizi e processi TIC e potenziando l’Agenzia dell’UE per la sicurezza delle reti e dell’informazione.

Ulteriore passo in avanti è stato fatto il 17 maggio 2019, quando il Consiglio ha istituito un quadro che consente all’Unione europea di imporre misure restrittive mirate a scoraggiare e contrastare ogni forma di hackeraggio. L’UE può quindi imporre sanzioni a persone o entità responsabili di attacchi informatici, che forniscono sostegno finanziario, tecnico e materiale per attacchi o sono coinvolti in qualche altro modo.

Diplomazia informatica: le prime sanzioni imposte

Per la prima volta nella storia, il 30 luglio 2020 il Consiglio ha imposto misure restrittive nei confronti di sei persone e tre entità responsabili di aver compiuto attacchi informatici o di avervi preso parte. In particolare, ci si riferisce al tentato attacco informatico ai danni dell’OPCW – Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche – e agli attacchi “WannaCry”, “NotPetya” e “Operation Cloud Hopper”; si tratta di entità russe, cinesi e della Corea del Nord. Le sanzioni imposte, parte del pacchetto di strumenti della diplomazia informatica, includono il divieto di viaggio e il congelamento dei beni, oltre al divieto di mettere fondi a disposizione delle persone ed entità inserite nell’elenco delle sanzioni.

Le persone sanzionate sono i cinesi Qiang Gao e Shilong Zhang (coinvolti nell’Operation Cloud Hopper) e i russi Alexey Valeryevich Minin, Aleksei Sergeyvich Morenets, Evgenii Mikhaylovich Serebriakov e Oleg Mikhaylovich Sotnikov (per il tentato attacco contro l’Opcw). Le entità sono invece Tianjin Huaying Haitai Science and Technology Development Co. Ltd (Cina); Chosun Expo (Corea del Nord); il GTsST, centro per le tecnologie speciali del Gru, i sevizi segreti militari russi. Quanto agli attacchi in questione, WannaCry è stato un attacco responsabile di un’epidemia su larga scala avvenuta nel maggio 2017 sui computer con Microsoft Windows: il virus cripta ogni file presente sul computer e chiede un riscatto di centinaia di dollari per decriptarli; il malware ha infettato i sistemi informatici di molte aziende, organizzazioni ed anche università, tra le quali l’italiana Milano-Bicocca. NotPetya, lanciato sempre nel 2017, va invece ad infettare i sistemi dei PC nel loro momento di avvio, impedendo agli utenti di riuscire ad accedere ai computer; successivamente, richiede che l’utente effettui un pagamento di Bitcoin per riottenere l’accesso al sistema. Questo tipo di attacco è stato fatto ricadere su un gruppo di hacker russi.

L’Alto rappresentante Josep Borrell, in merito alla questione, ha dichiarato: “L’Unione europea e gli Stati membri continueranno a promuovere con forza comportamenti responsabili nel cyberspazio e inviteranno tutti i paesi a cooperare a favore della pace e della stabilità internazionali, ad esercitare la dovuta diligenza e ad adottare le misure appropriate contro gli attori che conducono attività informatiche dannose”.

Lo Stato agonizzante della libertà di stampa in Ungheria

EUROPA di

La scorsa settimana, Szabolcs Dull, il direttore del giornale ungherese Index.hu – una delle poche testate ancora indipendenti – è stato licenziato per aver parlato delle pressioni esercitate dal Governo di Orban sul suo giornale. Dinanzi al rifiuto da parte del Consiglio di amministrazione di reintegrare Dull, oltre 70 membri della redazione hanno rassegnato le dimissioni in segno di protesta, accusando il governo ungherese di interferire sulla libertà di stampa e di minare l’indipendenza dei media. Negli ultimi anni, infatti, i sostenitori del Primo ministro nazionalista e conservatore, Viktor Orban, hanno assunto gradualmente il controllo dei media ungheresi e l’Ungheria è passata dal 23° all’89° posto, su 180 paesi, nell’indice sulla libertà di stampa stilato da Reporter senza frontiere. L’opposizione protesta ed il caso ungherese scuote l’Europa intera.

Il caso Dull

Fondato nel 1999, il sito di informazione indipendente ungherese Index.hu è diventato il portale di notizie più letto nel Paese dopo la chiusura nel 2014 e nel 2016 dei quotidiani Origo e Nepszabadsag. Index.hu è molto seguito in Ungheria – circa 1,5 milioni di visite giornaliere sul sito, in un paese con una popolazione di 10 milioni – grazie alla sua linea editoriale trasparente che promette di perseguire solo l’interesse dei lettori: ne risulta un giornalismo serio e competente.

Proprio in virtù dei valori propugnati dal giornale, il direttore Szabolcs Dull, la scorsa settimana, ha pubblicato un editoriale in cui ha avvisato i lettori che l’indipendenza della testata giornalistica era a rischio e di conseguenza quella dello staff editoriale. In particolare, questi timori si erano concretizzati alcuni mesi fa quando Miklos Vaszily, imprenditore vicino al Primo Ministro Orban, aveva acquisito il 50% di una società che controlla la pubblicità e le entrate di Index.hu. Vaszily gestisce tra le altre TV2, un’emittente vicina al governo ed è considerato uno dei fautori nella trasformazione della testata Origo in un portale pro-Orban.

Pochi giorni dopo la pubblicazione dell’editoriale Dull è stato licenziato con l’accusa di aver inoltrato documenti riservati ad altri media. Come reazione, oltre 70 giornalisti si sono licenziati denunciando una manovra delle autorità finalizzata a compromettere il libero esercizio della professione. Anche la reazione dei cittadini ungheresi non è tardata ad arrivare: a Budapest migliaia di persone sono scese in piazza per manifestare solidarietà ai giornalisti di Index.hu, in una manifestazione di protesta organizzata dal partito di opposizione Momentum.

È importante sottolineare che anche il proprietario del giornale online 24.hu, Zoltán Varga, che dirige il principale concorrente di Index, ha dichiarato che il governo ungherese sta cercando di screditare la sua società di media, la Central Media Group (Central Médiacsoport).

Il contesto e il ruolo dell’UE

Negli ultimi anni il Primo Ministro ungherese, Viktor Orban, ha progressivamente adottato politiche sempre più autoritarie, assumendo anche il controllo dei media indipendenti del Paese. In Ungheria, infatti, molte testate sono state acquistate da uomini dell’entourage di Orban e circa 500 società di media – tra cui portali online, giornali locali, radio e canali televisivi – sono state raggruppate in un’unica fondazione finalizzata alla propaganda governativa. Non a caso l’Ungheria è passata dal 23° all’89° posto su 180 paesi nell’indice sulla libertà di stampa, stilato da Reporter senza frontiere, e circa il 90% dei media sono controllati dal governo.

Tale rapporto del governo ungherese con i media crea indignazione ed imbarazzo in Europa. Nel 2018 il Parlamento europeo ha chiesto al Consiglio di adottare provvedimenti per evitare che l’Ungheria violasse i valori fondanti dell’Unione in materia di indipendenza giudiziaria, libertà di espressione, corruzione, diritti di minoranze, migranti e rifugiati. Contro Budapest è stata avviata la cosiddetta procedura sullo Stato di diritto, ai sensi dell’articolo 7 del Trattato di Lisbona. Tuttavia, nei primi mesi del 2020, una risoluzione del Parlamento Europeo ha denunciato che “l’incapacità del Consiglio di applicare efficacemente l’articolo 7 continua a compromettere l’integrità dei valori comuni europei e così a Strasurgo il partito di Orban, Fidesz, continua a restare nel Partito popolare europeo”.

Inoltre, rileva che nell’intesa raggiunta in seno al Consiglio europeo straordinario del 17-21 luglio, per evitare lo stallo nell’approvazione del Recovery Fund, si è approdati ad una formulazione abbastanza vaga sul meccanismo di condizionalità tra rispetto dello Stato di diritto e stanziamento dei fondi europei. A tal proposito, il presidente del partito Renew Europe, Dacian Ciolos ha dichiarato che “Il direttore è stato licenziato nella stessa settimana in cui Viktor Orban è tornato a Budapest dichiarando che i leader dell’Ue avevano promesso di far cadere contro il suo governo le procedure dell’articolo 7”. Ciolos, pertanto, ha chiesto al Consiglio europeo ed alla Commissione di “agire con urgenza” puntando il dito contro l’Europarlamento accusandolo “di legittimare il percorso illiberale di Orban”.

Ad Hong Kong cresce la paura per il virus, Carrie Iam: “gli ospedali rischiano il collasso”

ASIA PACIFICO di

È stato un giorno di pioggia mercoledì ad Hong Kong e i social si sono popolati di foto raffiguranti lavoratori perlopiù del settore delle costruzioni e dei servizi di pulizia intenti a pranzare all’aperto sotto l’acquazzone estivo. Mangiare all’interno è infatti vietato dalle nuove leggi per contrastare il Coronavirus che comprendono anche l’obbligo di indossare le mascherine in tutti gli spazi pubblici e il permesso di incontri tra massimo due persone di famiglie diverse. Si tratta di norme particolarmente restrittive ma necessarie per affrontare la nuova ondata di contagi che sta affliggendo Hong Kong, che riporta ormai da giorni un numero di infezioni superiori alle 100 giornaliere, quando meno di un mese fa il numero non superava la decina. Leggi Tutto

Gli ultimi sviluppi del Covid-19 in Repubblica Ceca

EUROPA di

La pandemia di Covid-19 in corso coinvolge ancora la Repubblica Ceca, con ormai 15.000 casi affermati. Il perdurare della crisi ha portato all’istituzione di un nuovo Consiglio governativo per i rischi sanitari, diventato il nuovo organo consultivo permanente per la pandemia. Tuttavia, la pandemia non interessa nello stesso modo tutto il Paese ma è diffusa in aree più o meno contagiate: per questo, il governo ha previsto anche un sistema di classificazione regionale a mo’ di semaforo che comprende quattro livelli di diffusione del virus, zero, verde, giallo e rosso.

Il Consiglio governativo per i rischi sanitari

Il Consiglio governativo per i rischi sanitari è diventato il nuovo organo consultivo permanente del governo di Praga. Il gabinetto di Andrej Babiš, il Primo ministro, ha deciso di istituirlo nella riunione di lunedì 27 luglio 2020. I ministri hanno approvato, tra le altre cose, l’annuncio di un nuovo programma di sussidi per la remunerazione dei dipendenti nelle strutture di cura ospedaliere a lavoro durante l’epidemia di Covid-19. Il nuovo organo consultivo, il Consiglio governativo per i rischi sanitari, affronterà le principali questioni sanitarie che potrebbero presentare una minaccia per i cittadini o per il territorio della Repubblica ceca. Il Primo ministro ha affermato che questo Consiglio è stato istituito non solo per affrontare al meglio la pandemia da coronavirus, ma anche per tutti gli altri rischi per la salute che si presenteranno in futuro. Il punto è dunque unire le forze in un sistema che deve avere un chiaro apparato di gestione. Il Primo ministro, inoltre, nell’annunciare l’istituzione del Consiglio, ha comunicato anche il suo ruolo quale presidente del Consiglio. I vicepresidenti sono il ministro dell’Interno e il ministro della Sanità, mentre gli altri membri sono il ministro della Difesa, i delegati del governo per la digitalizzazione, la scienza e la ricerca nel settore sanitario, il presidente dell’Associazione delle regioni della Repubblica ceca e i rappresentanti delle compagnie di assicurazione sanitaria.

Il Consiglio riferirà al gruppo di gestione centrale integrato, che sarà l’organo operativo esecutivo e si occuperà dei problemi a livello operativo. Questo organo sarà gestito dal Capo Igienista della Repubblica Ceca e, oltre al Ministero della Salute, coinvolgerà anche esperti dell’Esercito ceco, che aiuteranno sia la gestione efficace del progetto Smart Quarantine sia la fornitura di campioni.

Il riconoscimento agli operatori sanitari

Nella riunione di lunedì 27, il governo ha anche deciso come premiare gli operatori sanitari e non sanitari che hanno affrontato, in prima persona, gli effetti dell’epidemia di coronavirus nelle strutture ospedaliere. Le strutture mediche ospedaliere saranno in grado di richiedere i soldi previsti al Ministero della Salute attraverso il nuovo programma di sussidi per sostenere economicamente la straordinaria valutazione dei dipendenti e, più in generale, i fornitori di cure ospedaliere in relazione all’epidemia di COVID-19, che avrà un importo di 11,25 miliardi di corone. Il fattore decisivo nella concessione della remunerazione prevista sarà se i dipendenti hanno lavorato a tempo pieno nel periodo che va dal 1° marzo al 31 maggio 2020. In tal caso, le professioni mediche avranno diritto a una remunerazione straordinaria di 25.000 CZK al mese e i professionisti non sanitari a 10.000 CZK al mese, a seconda del numero di ore effettivamente prestate.

La prima riunione del Consiglio

Il Consiglio governativo per i rischi sanitari si è riunito per la riunione inaugurale presso l’Accademia Straka martedì 28 luglio. Allo stesso tempo, anche il gruppo di gestione centrale integrato, che è l’organo operativo esecutivo del Consiglio, si è riunito per la prima volta e ha assunto il controllo del progetto Smart Quarantine, attuando una cooperazione con le stazioni regionali e la gestione del sistema di campionamento. Nella prima riunione congiunta, i membri del Consiglio hanno affrontato principalmente l’attuale situazione ed hanno anche discusso i prossimi passi necessari nella lotta contro l’epidemia di coronavirus, come la gestione del sistema di classificazione a semaforo pianificato per la Repubblica ceca.

Il sistema di classificazione regionale

Al fine di combattere l’aumento dei casi di coronavirus nel paese, il Ministro della sanità Vojtěch ha presentato il sistema di classificazione a semaforo per la Repubblica Ceca, che dispone di quattro livelli. La situazione epidemiologica generale nella Repubblica Ceca procede piuttosto bene, ma alcune aree sono da tenere sotto un maggior controllo. La situazione peggiore è ancora nella capitale Praga, nella regione moravo-slesiana e nella regione di Jihlava. “Ci sono quattro livelli”, ha annunciato Vojtěch in una conferenza stampa. Le aree con zero gradi mostrano dove il rischio di infezione è minimo o zero, poi si procede come un vero e proprio semaforo. Il primo livello è contrassegnato in verde e indica episodi sporadici di Covid-19 ma senza rischio di trasmissione della comunità. Il secondo grado è di colore giallo: in queste aree si sta riscontrando un certo livello di trasmissione della malattia nella comunità. L’ultimo livello, il terzo, è di colore rosso: si tratta di aree in cui si sta monitorando la crescente trasmissione del virus nella comunità e il rischio di infezione è significativamente più elevato. “La prima pubblicazione di mappe, che passerà anche attraverso gli Uffici sanitari pubblici regionali, avrà luogo all’inizio della prossima settimana, il 3 agosto”, ha precisato il responsabile delle statistiche, aggiungendo che le mappe verranno aggiornate ogni settimana in base a come evolve la situazione.

Governo Castex al completo: la nomina di 11 Segretari di Stato

EUROPA di

“La squadra è completa” ha dichiarato il Primo Ministro francese Jean Castex. Con la nomina di 11 nuovi Segretari di Stato, salgono a 43 i membri dell’esecutivo: 21 uomini e 22 donne, di cui 16 Ministri, 14 Vice Ministri e 12 Segretari di Stato (di cui solo uno, Gabriel Attal, portavoce del governo, è stato nominato il 6 luglio), oltre al Primo Ministro. Si tratta del Governo francese più numeroso della storia politica recente. Gli ex Primi Ministri, François Hollande, Nicolas Sarkozy e lo stesso Primo Ministro uscente Edouard Philippe, non hanno, infatti, mai avuto così tanti ministri nel loro entourage. Dobbiamo tornare all’era di Alain Juppé, nel 1995, per trovare un governo così numeroso. I profili selezionati, che rappresentano le diverse forze politiche della maggioranza, dimostrano il desiderio di premiare alcuni deputati meritevoli, ma anche di concentrarsi sulla sfera sociale, poiché la crisi economica dovuta al Covid-19 occuperà l’agenda per i prossimi due anni.

Le conferme

Il Presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, nella formazione del nuovo Governo guidato da Castex era ansioso di trovare “il giusto equilibrio tra continuità e necessario rinnovamento”. Non a caso, tra gli 11 Segretari di Stato nominati domenica 26 luglio – 20 giorni dopo la nomina di Ministri e Vice Ministri – 5 sono stati riconfermati, o addirittura “rafforzati” all’interno dell’esecutivo: si tratta di Sophie Cluzel, Jean-Baptiste Lemoyne, Cédric O, Laurent Pietraszewski e Adrien Taquet. Quest’ultimo, che ha guidato la riforma delle pensioni dallo scorso dicembre, nel nuovo Governo sarà responsabile della realizzazione del fascicolo sospeso a causa della pandemia di Covid-19 e su cui Macron punta molto per perfezionare il suo percorso di presidente riformatore. Inoltre, la crisi sanitaria richiede a Pietraszewski di occuparsi del portafoglio relativo alla salute sul lavoro. Sophie Cluzel, riconfermata Segretario di Stato per la disabilità, ha dichiarato “È una grande gioia poter riprendere il mio lavoro” ed ha aggiunto di voler “accelerare le misure a favore delle persone con disabilità”. La sua relegazione a semplice Segretario di Stato non ha convinto tutte le principali parti interessate: “L’assenza di un ministero delegato all’handicap è un segnale molto negativo” aveva lamentato il Presidente del Consiglio consultivo nazionale delle persone disabili, Jérémie Boroy. Anche Jean-Baptiste Lemoyne, Segretario di Stato incaricato del turismo, dei francesi all’estero e della Francofonia, continuerà il suo lavoro in un contesto fortemente segnato dalla crisi sanitaria ed economica. Da marzo, in particolare, ha lavorato per riferire le preoccupazioni dei professionisti del settore turistico, presenziando ad un comitato settoriale settimanale ed organizzando il rimpatrio di 190.000 turisti francesi bloccati all’estero. Cédric O, è invece il Segretario di Stato incaricato per la transizione digitale e le comunicazioni elettroniche: responsabile della diffusione dell’applicazione per il tracciamento dei contagi, StopCovid, Cédric O lavora in particolare su un sistema di identità digitale fornito dallo Stato, in modo che gli utenti di Internet possano identificarsi online con un’affidabilità pari a quella offerta dalla carta identità nel mondo reale. Infine, Adrien Taquet è stato rinnovato nelle sue funzioni di Segretario di Stato per l’infanzia e le famiglie. In particolare, Taquet sarà impegnato nel proseguimento del lavoro sui “primi 1000 giorni” del bambino, le cui conclusioni sono attese per settembre. Tra le questioni attuali vi sono poi l’estensione del congedo di paternità, la remunerazione del congedo parentale e la riflessione sulle disposizioni in materia di assistenza all’infanzia.

I nuovi Segretari di Stato

Tra i nuovi Segretari di Stato figura Clément Beaune, responsabile degli affari, che succede a Amélie de Montchalin. Precedentemente consigliere per l’Europa di Emmanuel Macron, Beaune, 37 anni, è stato molto influente nel dare forma alla politica europea del Presidente, dai negoziati sulla Brexit alla riforma dell’area dell’euro. Olivia Grégoire è la nuova responsabile dell’economia sociale, solidale e responsabile: ex direttrice aziendale, era Vicepresidente del comitato finanziario dell’Assemblea Nazionale; fondatrice di una società di consulenza di strategia aziendale per le PMI e le start-up, impegnata da molto tempo con la destra liberale e la destra centrale, Grégoire ha lavorato presso gli uffici ministeriali di Jean-Pierre Raffarin e Xavier Bertrand. Joël Giraud, è invece il Segretario di Stato incaricato per la ruralità. Il deputato per le Hautes-Alpes, delle fila del Partito radicale di sinistra ed eletto con LREM, è stato relatore generale per il bilancio. Egli entra nel governo per occuparsi di un portafoglio inesistente nell’esecutivo di Edouard Philippe ma che fa eco all’arrivo a Matignon di Jean Castex presentatosi come un uomo dei “territori”. Giraud è stato notato nell’ambito dei lavori dell’Assemblea nazionale nel 2019 per aver richiesto una seconda deliberazione sul voto di un controverso emendamento su un vantaggio fiscale concesso all’olio di palma.  Sarah El Hairy, è la responsabile dei giovani e dell’impiego: prima della sua elezione in Assemblea, la giovane donna è stata responsabile delle vendite nella cooperativa del voucher del Groupe Up. Lo scorso giugno aveva presentato al governo un rapporto “Per la filantropia francese”. Presso lo stesso Ministero dell’istruzione nazionale, della gioventù e dello sport, Nathalie Elimas, è stata nominata responsabile dell’educazione primaria. Elimas era membro della Commissione Affari sociali dell’Assemblea nazionale ed è stata anche consigliere regionale. Infine, in virtù della svolta ambientalista che intende compiere l’esecutivo, Bérangère Abba, è la Segretaria di Stato responsabile della biodiversità presso il Ministero della transizione ecologica. Nel 2019, ha co-firmato una rubrica su Le Monde che afferma che “l’ecologia è al centro dell’Atto II del quinquennio” e un’altra, nel 2018, su Le Journal du Dimanche, promuovendo l’”efficienza energetica” e chiedendo la chiusura delle centrali a carbone e nucleari. In questo fascicolo, è stata criticata dal sito Reporterre dopo la sua nomina al consiglio di amministrazione di Andra-l’agenzia nazionale di gestione dei rifiuti radioattivi- responsabile della discarica di Bure contro la quale Bérangère Abba era attiva. È stata altresì criticata per la sua posizione sul divieto d’uso del glifosato, che ha difeso, mentre votava a settembre 2018 contro la sua inclusione nella legge.

Il Recovery Fund e il bilancio UE in esame al Parlamento europeo

EUROPA di

Il 23 luglio 2020 i deputati del Parlamento europeo si sono riuniti in una plenaria straordinaria per valutare i risultati del Consiglio europeo straordinario del 17-21 luglio. Presenti in aula anche i Presidenti di Consiglio e Commissione, Charles Michel e Ursula von der Leyen, che hanno tenuto dei discorsi di fronte agli eurodeputati. Dopo un acceso dibattito, i deputati hanno adottato una risoluzione sul Quadro Finanziario Pluriennale, sul sistema di risorse proprie e sul piano di ripresa per l’Europa, il Recovery Plan.

Il dibattito in plenaria

Il 23 luglio si è tenuta a Bruxelles la plenaria del Parlamento europeo che esamina i risultati ottenuti dal Consiglio europeo straordinario del 17-21 luglio. Il Presidente dell’Europarlamento, David Sassoli, nel commentare i risultati del Consiglio europeo dei Capi di Stato e di Governo, ha affermato: “Dopo giorni di discussioni i cittadini europei si aspettano una conclusione all’altezza di questa fase storica. Siamo preoccupati per un futuro che mortifichi la solidarietà europea e il metodo comunitario. Il Parlamento europeo ha indicato le proprie priorità e si aspetta che vengano rispettate. Il Quadro finanziario pluriennale deve assicurare nel medio periodo la copertura adeguata delle principali sfide europee, come il green deal, la digitalizzazione, la resilienza e la lotta alle disuguaglianze”. Come si evince dunque, il Parlamento europeo ha voluto fissare delle condizioni, quali nuove risorse, una efficace difesa dello stato di diritto, la soppressione dei rebates, senza le quali, non darà il proprio consenso.

Nonostante gli sforzi compiuti in sede di Consiglio europeo per arrivare ad un accordo, gli eurodeputati sono stati tutt’altro che entusiasti di quanto si è compiuto. In particolare, sebbene il Recovery Fund rappresenti un “passo storico” per l’Unione europea, le priorità a lungo termine dell’UE sono a rischio. Durante il dibattito, si riconosce l’importanza del Fondo di ripresa, in quanto per la prima volta i paesi accettano di emettere un debito congiunto, ma i deputati non si dicono soddisfatti dei tagli apportati al bilancio a lungo termine. “Non siamo pronti ad inghiottire il boccone del QFP” ha dichiarato Weber del PPE; “non si dovrebbero accettare tagli in un momento in cui dobbiamo rafforzare la nostra autonomia strategica e ridurre le disparità tra gli Stati membri” ha aggiunto il leader del gruppo S&D, Garcìa Pérez. Alcuni deputati hanno sottolineato come la questione del rimborso del debito non sia stata risolta, insistendo sul fatto che l’onere non deve ricadere sui cittadini e raccomandando la necessità di un solido sistema di nuove risorse proprie. Altri deputati hanno sottolineato come “l’UE non è un bancomat per i bilanci nazionali”.

In generale, ciò che emerge è che i deputati hanno riscontrato delle criticità in quanto accordato dal Consiglio e, dunque, si sono detti pronti a negoziare per apportare i necessari miglioramenti alle posizioni del Consiglio.

La risoluzione: il Parlamento rifiuta l’accordo sul bilancio e pone paletti su risorse proprie e Stato di diritto

Dopo il dibattito, il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione: con 465 voti a favore, 150 contrari e 67 astensioni, i deputati hanno voluto esprimere il cordoglio per le vittime del coronavirus, rendere omaggio ai lavoratori che hanno lottato contro la pandemia e hanno espresso la loro posizione in merito al Recovery Fund e al bilancio europeo. In particolare, il Parlamento ha accolto con favore il Recovery Fund ma, allo stesso tempo, lo stesso non è avvenuto con il bilancio europeo. I deputati hanno criticato i pesanti tagli apportati ai programmi orientati al futuro – dal 2024, il bilancio dell’UE sarà sotto i livelli del 2020 – in quanto mineranno le basi di una ripresa sostenibile e resiliente. Il Parlamento ha dunque rifiutato l’accordo politico sul QFP 2021-2027, dicendo che “non è disposto ad avallare formalmente una decisione già presa”. I deputati si dicono pronti “a non concedere l’approvazione” fino a quando non sarà raggiunto un accordo soddisfacente nei prossimi negoziati fra il Parlamento europeo e la Presidenza tedesca del Consiglio, con l’obiettivo di ottenere un quadro definitivo entro ottobre, per non compromettere un inizio agevole da gennaio 2021. Altro argomento spinoso è lo Stato di diritto: il Parlamento critica fortemente il fatto che il Consiglio abbia indebolito gli sforzi di Commissione e Parlamento volti a difendere lo Stato di diritto, i diritti fondamentali e la democrazia nel quadro del QFP e del piano per la ripresa. Infine, i deputati affermano che non daranno la loro approvazione al QFP senza un accordo sulla riforma del sistema delle risorse proprie dell’UE, che includa uno strumento per la copertura dei costi relativi al rimborso del Next Generation EU. I parlamentari affermano che, in quanto contrari ad ulteriori tagli ai programmi chiave e all’aumento dei contributi nazionali, la creazione di nuove risorse è “l’unico metodo di rimborso accettabile”.

La divisione di PD e M5S in Europa sul MES

In Italia, i principali partiti di maggioranza hanno accolto in modo estremamente positivo il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, il quale, di rientro da Bruxelles, si è recato alla Camera e in Senato per esporre ai deputati italiani quanto avvenuto in sede di Consiglio europeo. A Bruxelles, invece, i partiti di maggioranza si sono divisi, così come accade anche da mesi in politica interna per quanto riguarda l’attivazione del Meccanismo europeo di Stabilità. Il Partito Democratico e il Movimento 5 Stelle hanno votato in modo diverso sull’emendamento presentato dalla Lega e dal gruppo Identità e democrazia alla risoluzione del Parlamento europeo. L’emendamento chiedeva di respingere un utilizzo del MES per stimolare l’economia in seguito alla crisi degli ultimi mesi: Lega, Fratelli d’Italia e M5S hanno votato a favore dell’emendamento, poi bocciato con 560 voti contrari; i democratici – PD, Azione e Italia Viva – insieme a Forza Italia, hanno invece respinto l’emendamento.

Sudan: al via il processo contro l’ex dittatore al-Bashir

AFRICA di

Martedì 21 luglio a Khartoum è stato avviato il processo contro l’ex Presidente del Sudan Omar al-Bashir, accusato del colpo di Stato che nel 1989 lo portò al potere illegalmente, scalzando il governo democraticamente eletto del premier Sadek al-Mahdi.

Al-Bashir, deposto nel corso di una rivolta popolare lo scorso anno, è già in carcere per irregolarità finanziarie e corruzione, ma stavolta rischia la condanna alla pena di morte.

I capi d’accusa riguardano oltraggio alla Costituzione, violazione della Legge sulle Forze Armate e istigazione al colpo di Stato, tutti crimini inclusi nel Capitolo 96 del Codice penale del 1983, abolito da al-Bashir, che prevede la pena di morte per i casi in cui si verifichi un tentativo di sovversione dell’ordine costituzionale.

Il processo è dotato di un alto valore simbolico, venendosi a configurare come “un avvertimento per chiunque tenti di distruggere il sistema costituzionale in Sudan”, ha affermato Moaz Hadra, uno degli avvocati in prima linea nel richiedere che il caso fosse portato in tribunale. “Ciò salvaguarderà la democrazia sudanese. In questo modo, speriamo di porre fine all’era dei colpi di Stato”.

Al-Bashir sarà giudicato insieme ad altri 16 imputati, 10 militari e 6 civili, inclusi gli ex vicepresidenti, Ali Osman Taha e Bakri Hassan Saleh, e alcuni ex ministri e governatori. Sono tutti accusati di aver pianificato il golpe del 30 giugno 1989, durante il quale l’esercito arrestò i leader politici del Sudan, sospese il Parlamento e altri organi statali, chiuse l’aeroporto e annunciò alla radio la fine del governo legittimo.

L’uomo considerato come il vero ideatore del golpe militare, Hassan al-Turabi, appartenente al Fronte islamico nazionale, è morto nel 2016.

 

L’ex Presidente è ricercato anche dalla Corte penale internazionale (CPI) dell’Aia in relazione alle stragi compiute durante il conflitto armato scoppiato nel 2003 nella regione del Darfur, per le quali è accusato di genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Il nuovo governo di transizione sudanese, che ha il compito di guidare il Paese verso elezioni libere e democratiche, ha promesso nel mese di febbraio di consegnare l’imputato e alcuni suoi collaboratori alla Corte, affinché vengano processati anche per le suddette accuse.

Abbiamo concordato di sostenere pienamente la Corte Penale Internazionale accettando di consegnare al-Bashir e altri tre imputati”, ha dichiarato il portavoce del governo Mohammed Hassan al Taishi.

La Repubblica Ceca nei negoziati europei, il bilaterale con l’Italia e la posizione di Visegrad

EUROPA di

Nella settimana chiave per il futuro dell’Unione europea, fondamentali sono stati gli incontri bilaterali tra paesi, i veri momenti di negoziazione dell’accordo sul Recovery Fund. Per questo motivo, il 20 luglio Il Sottosegretario agli Esteri, Ivan Scalfarotto, ha avuto un colloquio in videoconferenza con il Viceministro degli esteri della Repubblica ceca, Chmelař. Nello stesso momento, il premier Babis giocava la partita più importante, quella a Bruxelles, facendo squadra con i paesi Visegrad.

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Flaminia Maturilli
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