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EUROPA - page 28

La sentenza della Corte costituzionale tedesca sulla BCE

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Il 5 maggio la Corte costituzionale tedesca ha emesso una sentenza contro il programma di acquisto di titoli di stato pubblici da parte della Banca Centrale Europea – il Quantitative Easing – ed ha dato tre mesi di tempo alla BCE per giustificare il programma con ragioni economiche. Inoltre, è stato chiesto al governo e al parlamento tedesco di monitorare da più vicino la BCE al fine di farle pressione e far spiegare meglio le ragioni. Tale sentenza, in questo momento di crisi economica, rischia di minare la legittimità delle future decisioni europee in materia di politica monetaria, pur non avendo ad oggetto le misure previste per il Covid.

La sentenza della Corte costituzionale

Nel pieno della crisi da coronavirus, di cui non si conoscono né la durata né la gravità effettiva, la Corte di Karlsruhe afferma di poter decidere sulla legittimità del QE in quanto corte nazionale, e vorrebbe imporre alla BCE di acquistare i titoli dei diversi Stati membri solo in misura limitata e proporzionata. La sentenza emanata dalla Corte costituzionale si riferisce al programma del 2015, il piano di acquisto dei titoli di stato previsto da Mario Draghi per immettere nuovo denaro nell’economia dell’UE. Il “Whatever it takes” dell’allora presidente della BCE per aiutare l’economia europea rischia oggi, nel periodo di maggior bisogno, di essere in qualche modo limitato. La sentenza afferma infatti che la BCE potrà continuare ad acquistare i titoli di Stato, ma dovrà farlo in modo proporzionato e limitato, mentre in questi anni lo ha fatto non restando nei limiti della politica monetaria ma sforando nell’ambito della politica economica, secondo la Corte.

La Corte ha accolto il ricorso di quanti, sia accademici che economisti tedeschi, ritengano che il Quantitative easing possa aver violato il mandato della BCE non rispettando il principio di proporzionalità. I giudici tedeschi credono che i programmi di acquisti di bond contrastino con le competenze della stessa BCE e affermano che le misure prese “non sono coperte dalle competenze europee” e quindi “non dovrebbero avere validità in Germania”. Inoltre, è stato affermato che la Bundesbank non potrà partecipare più al programma di acquisto dei titoli di Stato se non vi sarà un chiarimento della BCE entro tre mesi: “è proibito, dopo un termine di un periodo transitorio di massimo tre mesi, partecipare a decisioni anticostituzionali se il consiglio della BCE con una nuova decisione non chiarirà che con il PSPP – Public Sector Purchase Programme – non proceda a obiettivi di politica monetaria sproporzionati e che abbiano effetti di politica fiscale e di bilancio”.

La Banca Centrale Europea dovrà rispondere entro tre mesi, e se la risposta non sarà convincente la Germania dovrà andare avanti senza partecipare al programma: probabilmente non sarebbe un problema per Berlino, ma si tratterebbe di una frattura politica nel cuore dell’UE.

La reazione della BCE

La banca di Francoforte, unitamente al programma di Draghi, ha sempre fornito commenti, interviste, paper e studi per spiegare i ragionamenti economici dietro le sue politiche. Non sarà quindi difficile fornire ulteriori chiarimenti così come richiesto dalla Corte tedesca. Anche in passato Draghi aveva risposto a molte delle critiche mosse dalla Corte, affermando che i risparmiatori tedeschi avrebbero perso molti più soldi se la BCE avesse tenuto i tassi di interesse più alti, aggravando le varie recessioni.

Ciononostante, la sentenza tedesca è stata un colpo piuttosto duro dal punto di vista politico: la presidente Lagarde ha commentato che “la Bce va avanti imperterrita, è indipendente e risponde al Parlamento europeo”. Poi, ha aggiunto che continuerà a fare tutto il necessario rispettando la giurisdizione e i trattati europei. La BCE ha infatti risposto con un comunicato in cui annuncia di aver preso nota dei rilievi del tribunale tedesco e ricordando che la CGUE ha stabilito la legalità del suo programma di acquisto nel 2018. Dello stesso avviso è il commissario all’economia dell’UE, Paolo Gentiloni, che ha risposto affermando che in Europa il primato della giurisdizione ce l’ha la Corte di Giustizia dell’UE interpretando i trattati, e non le corti nazionali degli Stati membri; inoltre, si considerano l’autonomia e l’indipendenza della BCE come due valori irrinunciabili, pilastro dell’edificio stesso.

Impatto della sentenza

Pur non essendo ancora cambiata la situazione, politicamente questa sentenza è molto importante, soprattutto nella fase che stiamo vivendo. La sentenza non si riferisce al Pandemic Emergency Purchase Programme, il Pepp, programma straordinario da 750 miliardi di euro per l’acquisto di obbligazioni pubbliche e private dei paesi membri dell’eurozona, istituito allo scopo di fornire maggior liquidità agli Stati. Tuttavia, in qualche modo si getta un’ombra anche sul futuro di quest’ultimo programma, anche se trattandosi di una pandemia globale potrebbe essere considerato un programma comunque proporzionato. Inoltre, in molti hanno osservato che se la Germania si sente in qualche modo libera di non rispettare la gerarchia legale europea, è probabile che anche altri paesi inizino a fare lo stesso, soprattutto nei paesi dove ci sono già scontri tra governi locali e Corte di giustizia UE.

In Germania la decisione della corte è stata accolta con entusiasmo, in particolare da politici e giornali conservatori. Fuori dalla Germania invece, il giudizio della Corte sembra essere accolto negativamente quasi all’unanimità: i principali quotidiani economici e finanziari hanno criticato il giudizio sia nel merito che per le conseguenze. Per ora la vicenda sembra essersi chiusa, nelle prossime settimane si potranno invece valutare le reali conseguenze.

Repubblica Ceca e Covid-19: solidarietà e aiuti di Stato

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La diffusione del coronavirus ha colpito tutti gli Stati europei, anche se in modo diverso, intorno ai mesi di febbraio-marzo. La prima reazione di ogni Paese è stata quella di adottare delle misure e gestire lo stato di emergenza senza coordinarsi a livello europeo, mettendo in secondo piano la l’appartenenza all’UE. Col passare delle settimane, l’appartenenza all’UE si è rivelata invece fondamentale, sia in termini di aiuti economici o di allentamento di alcune misure come quella sugli aiuti di Stato, sia in termini di riscoperta dei valori di solidarietà ed unione nella diversità. Tutto questo si traduce nella pratica in importanti aiuti da parte della Repubblica Ceca verso altri paesi, come spedire le mascherine in Italia, ma anche approvando nuovi regimi di garanzia per il paese.

 Solidarietà Praga – Roma

La Repubblica Ceca ha donato 500.000 mascherine all’Italia per sostenere gli operatori sanitari. Il Ministro della Salute Adam Vojtěch (del partito ANO) ha annunciato questa misura durante la conferenza stampa del governo. L’Italia riceverà la spedizione questa settimana, in quanto è uno dei paesi europei più colpiti dal coronavirus, con un totale di 213.013 contagiati e 29.315 deceduti.

“Il Governo ha approvato un altro dono: mezzo milione di mascherine per l’Italia. Sembra che l’Italia abbia già superato il peggio nella lotta contro il coronavirus, ma l’aiuto le serve sempre. Nello stesso tempo ho scritto a Giuseppe Conte una lettera in cui mi inchino davanti al personale sanitario italiano che in quei giorni difficili stava in prima linea”, ha dichiarato il Primo ministro Andrej Babiš.

La Repubblica Ceca ha deciso di donare le mascherine all’Italia proprio ora che il paese si appresta ad entrare nella “fase 2”, con una graduale riapertura delle attività e la possibilità di far visita ai parenti, proprio perché sarà importante preservare il sacrificio fatto finora: sarà necessario mantenere il distanziamento sociale ed indossare la mascherina in luoghi pubblici, così come potenziare l’equipaggiamento del personale sanitario. Le mascherine inviate dal governo di Babiš sono infatti mascherine chirurgiche indirizzate a medici, infermieri, operatori sanitari e così via.

Si tratta di una seconda donazione che fa seguito a quella delle 10.000 tute sanitarie donate lo scorso marzo. L’aiuto di Praga è molto importante anche perché, dopo la questione di marzo, erano sorte nel paese diverse polemiche: sembrava infatti che le autorità ceche avessero sequestrato 110.000 mascherine provenienti dalla Cina e dirette all’Italia. In realtà, la questione è andata diversamente, poiché il carico di mascherine previsto per l’Italia è stato sequestrato in una più ampia indagine delle autorità ceche contro il mercato abusivo di mascherine, per poi aver constatato la provenienza cinese ed essere spedite qualche giorno dopo per l’Italia su un pullman insieme a circa 40 connazionali bloccati nel Paese.

Aiuti di Stato

Il 5 maggio 2020, la Commissione europea ha approvato un regime di garanzia della Repubblica Ceca di circa 5,2 miliardi di euro, corrispondenti a 140 miliardi di corone ceche, per le grandi società con attività di esportazione colpite dall’epidemia di coronavirus. Il regime è stato approvato nell’ambito del quadro temporaneo per gli aiuti di Stato adottato dalla Commissione il 19 marzo e modificato il 3 aprile 2020.

Il governo di Praga ha notificato alla Commissione il regime di garanzia per 5,2 miliardi di euro, che sarà sotto forma di garanzie statali sui prestiti e sarà accessibile alle grandi società le cui esportazioni rappresentano almeno il 20% delle entrate annue delle vendite. Il regime mira a limitare il rischio associato all’emissione di prestiti a quelle società esportatrici che sono maggiormente colpite dall’impatto economico dell’epidemia di coronavirus, garantendo così il proseguimento delle loro attività. La Commissione ha approvato la misura ceca in quanto è in linea con le condizioni stabilite nel quadro temporaneo. In particolare, copre garanzie su investimenti o prestiti di capitale circolante con scadenza e dimensioni limitate; è limitato nel tempo; limita il rischio assunto dallo Stato a un massimo dell’80%; prevede un’adeguata remunerazione delle garanzie; contiene garanzie per garantire che l’aiuto sia effettivamente incanalato dalle banche o da altri istituti finanziari ai beneficiari bisognosi. Il regime sarà gestito dall’agenzia di credito all’esportazione EGAP, che finanzia l’attività generale dei beneficiari facilitando il loro accesso alla liquidità sotto forma di prestiti di capitale circolante e prestiti di investimento.

La vicepresidente esecutiva Margrethe Vestager, responsabile della politica di concorrenza, ha dichiarato: “La misura aiuterà le aziende [esportatrici] a continuare la loro attività durante e dopo l’epidemia di coronavirus. Continuiamo a lavorare in stretta collaborazione con gli Stati membri per trovare soluzioni praticabili per mitigare l’impatto economico dell’epidemia di coronavirus, in linea con le norme dell’UE”.

Coronavirus, le novità in Francia

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Il 2 maggio, dopo un Consiglio dei Ministri straordinario, il Governo francese ha annunciato di voler estendere lo stato d’emergenza sanitaria fino al 24 luglio. Quest’ultimo non si concluderà dunque con il déconfinement programmato dall’11 maggio e paradossalmente, all’occorrenza, potrebbero essere adottare delle misure più restrittive rispetto a quelle già imposte. Nel frattempo, lo stesso piano di déconfinement, dopo esser stato approvato dall’Assemblea Nazionale è stato respinto dal Senato, sebbene i due voti siano simbolici e non abbiano alcun impatto sull’avvio della strategia del governo. In una Francia impegnata a fronteggiare l’emergenza emerge poi un dato che potrebbe riscrivere la cronologia della pandemia: è stato, infatti, accertato un caso di Covid-19 risalente al 27 dicembre, quasi un mese prima del primo contagio ufficiale-24 gennaio- registrato Oltralpe.

 Il nuovo disegno di legge

Dopo un Consiglio dei ministri straordinario, tenuto sabato 2 maggio, il Ministro della sanità Olivier Véran ed il Ministro dell’interno, Christophe Castaner, hanno chiarito il contenuto del Disegno di legge che estende lo stato d’emergenza fino al 24 luglio e specifica le misure che si applicheranno in merito alla quarantena ed all’isolamento delle persone risultate positive. Il testo, che contiene sette articoli, mira a “consolidare il quadro giuridico” e ad ampliarlo per “integrare le questioni del deconfinamento”, che dovrebbe iniziare l’11 maggio. I due ministri hanno pertanto chiarito la strategia nazionale per la prossima fase della gestione del virus, le cui linee principali erano state presentate all’Assemblea nazionale il 28 aprile dal Primo Ministro, Edouard Philippe.

Olivier Véran ha sottolineato che non sarà “un semplice passo indietro: dovremo vivere per un po’ con il virus”. Il Ministro ha poi dichiarato che non è il momento di rilassarsi nella lotta contro il virus, in caso contrario “tutti questi sforzi fatti mirabilmente dai francesi sarebbero stati vani”. Inizialmente, il Ministro della Salute ha annunciato che la quarantena sarà obbligatoria per “chiunque entri nel territorio” ma il Palazzo dell’Eliseo ha poi chiarito che questa misura non riguarderà i viaggiatori provenienti dall’Unione Europea, dalla zona Schengen o dal Regno Unito, qualunque sia la loro nazionalità. “Un decreto, su proposta degli scienziati, definirà la durata, le condizioni di accesso ai beni essenziali, il follow-up medico che sarà organizzato” ha aggiunto Véran specificando che la misura riguarderà gli asintomatici, mentre per coloro che sviluppano sintomi, l’isolamento sarà obbligatorio. D’altro canto, saranno imposte misure di isolamento per le persone risultate positive già presenti sul territorio francese, ma il governo non ha adottato misure coercitive in caso di mancato rispetto di tale isolamento. “I francesi continueranno ad essere responsabili; non è necessario introdurre misure nella legge per costringerli a rimanere a casa” ha dichiarato Véran. Lo stesso Edouard Philippe, il 28 aprile aveva spiegato: “Lasceremo la scelta alla persona testata positiva di isolarsi a casa, il che comporterà il confinamento di tutta la casa per quattordici giorni, oppure isolarsi in un luogo messo a sua disposizione, in particolare in hotel requisito”. Il Ministro della Salute ha inoltre annunciato che la tracciabilità dei contatti delle persone risultate positive non verrà effettuata con un’applicazione telefonica. “A partire dall’11 maggio no, non ci sarà alcuna applicazione StopCovid disponibile nel nostro paese e il Primo Ministro è stato molto chiaro: se questo tipo di applicazione dovesse vedere la luce del giorno, ci sarebbe un dibattito specifico in Parlamento , nulla è cambiato da quel punto di vista” ha dichiarato il Ministro distinguendo quattro tipologie di “contact tracing” esercitate dal personale sanitario, dall’assicurazione sanitaria, dalle Agenzie regionali e infine dalla sanità pubblica francese con la direzione generale della sanità.

“L’11 maggio, se le condizioni saranno soddisfatte, la regola generale tornerà ad essere la libertà di movimento e i francesi non dovranno più produrre un certificato per uscire per strada” ha dichiarato il Ministro dell’Interno, Christophe Castaner, confermando altresì la sua intenzione di rendere obbligatoria l’uso delle mascherine nel trasporto pubblico. Per quanto riguarda i negozi, il Ministro ha avvertito che riapriranno solo se verranno rispettate le misure di precauzione: “Stiamo lasciando la scelta binaria tra apertura e chiusura: sarà ora possibile assoggettare l’apertura di uno stabilimento a condizioni specifiche”. Al fine di applicare queste regole, il disegno di legge prevede altresì l’estensione dei poteri di verbalizzazione a diverse categorie di agenti che potrebbero, a partire dall’11 maggio, “riconoscere il mancato rispetto delle norme di emergenza sanitaria e punirlo”. “È un contributo considerevole, è un segno di fiducia. È per darci tutte le possibilità affinché il deconfinamento avvenga nelle migliori condizioni sanitarie possibili” ha precisato Christophe Castaner, appellandosi al “civismo dei francesi”.

Il testo del disegno di legge, dopo l’analisi del Senato e dell’Assemblea Nazionale, passerà all’adozione definitiva prima del fine settimana.

La posizione del Senato e la scoperta di un caso positivo a dicembre

Il 4 maggio, il Senato francese, con una maggioranza di seggi appartenenti ai partiti di destra, non ha convalidato la strategia di deconfinamento del governo con un’astensione “massiccia” da parte dei senatori di Les Républicains (LR) e un voto contrario dei gruppi socialisti e comunisti. Presentato dal Primo Ministro, il piano è stato, invece, approvato il 28 aprile dall’Assemblea Nazionale, a maggioranza di deputati appartenenti a La République en Marche. I due voti all’Assemblea Nazionale ed al Senato rimangono prettamente simbolici e non hanno alcun impatto sull’avvio del déconfinement, ciò che conta è il cambio di atteggiamento da parte del Senato francese: inizialmente conciliante nell’ affrontare l’epidemia, l’istituzione francese ha poi cambiato tono, ponendo persino la minaccia di un rinvio al Consiglio costituzionale se la questione della responsabilità delle autorità locali nella gestione del deconfinamento non fosse risolta.

 

In un quadro già di per sé complesso si aggiunge un ulteriore dato rilevante: è stato infatti accertato un caso di Covid-19 risalente al 27 dicembre, quasi un mese prima del primo contagio ufficiale-24 gennaio-registrato nel territorio francese. Il caso è stato scoperto dall’ospedale Jean-Verdier di Bondy, nella banlieue parigina, dove sono stati riesaminati i tamponi di pazienti ricoverati con polmonite nel mese di dicembre. Sarà, dunque, necessario riscrivere la cronologia dell’epidemia in Francia, primo Paese europeo a dichiarare il ricovero di pazienti Covid 19.

Green recovery, i ministri dell’energia lavorano per una ripresa sostenibile

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Il 28 aprile 2020, i ministri dell’Energia dell’UE si sono incontrati in videoconferenza per discutere sull’impatto della pandemia di Covid-19 nel settore dell’energia, discutendo di come preparare la ripresa. La fase di ricostruzione è un’occasione importante per mettere in atto una transizione verso un’economia verde e sostenibile, un’energia pulita e la neutralità climatica. Condivide la stessa posizione anche Ursula Von der Leyen, che ha ribadito l’importanza di una ripresa economica green, perché ricostruzione economica e tutela ambientale sono tutt’altro che questioni separate.

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Stato di diritto, la Commissione europea avvia una nuova procedura di infrazione contro la Polonia

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La Commissione europea ha avviato una procedura di infrazione nei confronti della Polonia: nel mirino la nuova Legge, entrata in vigore il 14 febbraio, che apporta modifiche al funzionamento del sistema giudiziario. Dopo aver analizzato la legislazione in questione, la Commissione ha concluso che diversi elementi della nuova legge violano il diritto dell’Unione europea. Il governo polacco dovrà rispondere alla lettera di messa in mora entro due mesi.

Background

Lo stato di diritto è uno dei principi e dei valori fondamentali su cui si fonda l’Unione europea, sancito dall’Articolo 2 del Trattato sull’Unione europea (TUE), il cui rispetto è garantito dalla Commissione europea, insieme ad altre istituzioni e agli Stati membri. Il rispetto dello stato di diritto è essenziale per il funzionamento dell’Unione nel suo insieme, in particolare per il mercato interno e per la cooperazione in materia di giustizia, libertà e sicurezza. Inoltre, permette ai giudici nazionali-che sono al contempo anche “giudici dell’UE” – di svolgere il proprio ruolo nel garantire l’applicazione del diritto dell’UE ed interagire correttamente con la Corte di giustizia nel contesto delle procedure pregiudiziali.

Nel 2016 gli eventi in Polonia hanno indotto la Commissione ad aprire un dialogo con il governo polacco sul rispetto dello stato di diritto. Si tratta di un dialogo continuo tra lo Stato membro interessato e la Commissione, che informa regolarmente il Parlamento europeo e il Consiglio.

A causa della mancanza di progressi nel quadro dello Stato di diritto, il 20 dicembre 2017 la Commissione ha avviato per la prima volta la procedura di infrazione prevista dall’Articolo 7 del TUE, presentando una decisione del Consiglio relativa alla determinazione del chiaro rischio di una grave violazione dello stato di diritto da parte della Polonia. Il 2 luglio 2018, la Commissione ha avviato un’altra procedura di infrazione: nel mirino la legge polacca relativa alla Corte suprema, le sue disposizioni in materia di pensionamento ed il loro impatto sull’indipendenza della Corte suprema. Il caso è stato poi deferito alla Corte di giustizia dell’UE, la quale ha emanato un ordine definitivo che impone misure provvisorie per sospendere l’attuazione della legge polacca sulla Corte suprema, confermando integralmente la posizione della Commissione. Il 3 aprile 2019, la Commissione ha avviato un’ulteriore procedura di infrazione basata sulla violazione del principio di indipendenza giudiziaria dei giudici polacchi e la mancanza di garanzie necessarie per proteggere i giudici dal controllo politico. La Commissione ha deferito nuovamente la causa alla Corte di giustizia dell’UE, che ha imposto la sospensione dell’applicazione delle disposizioni nazionali sui poteri della Camera disciplinare della Corte suprema, confermando integralmente la posizione della Commissione come accaduto un anno prima. Questo ordine della Corte si applicherà fino a quando la Corte non avrà pronunciato la sua sentenza definitiva nell’ambito della una nuova procedura di infrazione.

La nuova procedura di infrazione

Lo scorso 20 dicembre in Polonia è emersa una nuova legge che modifica una serie di atti legislativi relativi al funzionamento del sistema giudiziario polacco, entrata in vigore il 14 febbraio.

Il 30 aprile la Commissione europea ha inviato alla Polonia una lettera di messa in mora relativa a questa nuova legge sulla magistratura. Questa risulta, infatti, incompatibile con i requisiti di indipendenza giudiziaria stabiliti dalla Corte di giustizia dell’Unione europea. La Commissione ha osservato che la nuova legislazione amplia la nozione di reato disciplinare e quindi aumenta il numero di casi in cui il contenuto delle decisioni giudiziarie può essere qualificato come reato disciplinare. Di conseguenza, il regime disciplinare può essere utilizzato come sistema di controllo politico del contenuto delle decisioni giudiziarie. La legge in questione viola l’Articolo 19, paragrafo 1, del Trattato sull’Unione europea (TUE) nonché l’Articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che stabilisce il diritto ad un ricorso effettivo dinanzi ad un tribunale indipendente ed imparziale.

La legge polacca risulta altresì incompatibile con il principio del primato del diritto dell’UE e con il funzionamento del meccanismo di pronuncia pregiudiziale. A tal proposito, la Commissione ha constatato che la nuova legge garantisce alla nuova Camera di controllo straordinario e agli affari pubblici della Corte suprema la competenza esclusiva di pronunciarsi su questioni relative all’indipendenza giudiziaria, pertanto, è precluso ai tribunali polacchi di valutare, nel contesto delle cause pendenti, il potere di richiedere una pronuncia pregiudiziale. Ciò impedisce ai tribunali polacchi di adempiere al loro obbligo di applicare il diritto dell’UE.

Infine, la Commissione ha sottolineato che con la nuova legge sono state introdotte disposizioni che impongono ai giudici di divulgare informazioni specifiche sulle loro attività non professionali. Ciò è incompatibile con il diritto al rispetto della vita privata nonché con il diritto alla protezione dei dati personali, sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE e dal Regolamento generale sulla protezione dei dati.

“Il virus non può uccidere la democrazia”, ha affermato Vera Jurova, Commissaria UE alla giustizia, invitando Varsavia ad “affrontare le preoccupazioni” sullo stato di diritto della Commissione Ue. La Polonia ha, infatti, due mesi per rispondere alla lettera di messa in mora. Jurova ha, inoltre, spiegato che sta “monitorando la situazione con attenzione in tutti gli stati membri” ed in particolare in Ungheria. “Sono 20 quelli che hanno adottato lo stato d’emergenza per affrontare la crisi. Riconosciamo che una situazione eccezionale richiede soluzioni eccezionali, ma questo non significa che la costituzione ed il Parlamento debbano essere spenti ed i giornalisti silenziati” ha concluso

Repubblica Ceca, estensione dello Stato di emergenza e dei programmi di supporto

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Con il prolungarsi dell’emergenza da Covid-19 in Repubblica Ceca, è stato necessario estendere di nuovo lo stato di emergenza, inizialmente previsto fino all’11 aprile e poi prorogato per la prima volta al 30 aprile. Il governo di Praga ha richiesto una seconda proroga, al fine di proseguire con la gestione dell’emergenza nell’interesse di tutto il paese e continuare a poter emanare programmi di aiuti, come il “Job Support Programme”. Anche questa volta, non sono mancati dibattiti e scontri tra diverse visioni: Babiš ha proposto una proroga di un mese, fino al 25 maggio; il parlamento ha approvato invece lo stato di emergenza fino al 17 maggio.

La proroga dello stato di emergenza

Lo scorso 24 aprile, il governo ha deciso di presentare una richiesta di proroga dello stato di emergenza in vista della scadenza del 30 aprile, anche a seguito di una sentenza del tribunale municipale di Praga del 23 aprile, che annulla le principali misure anti-epidemiologiche annunciate sulla base della legge sulla protezione della salute pubblica. Affinché il governo mantenga il controllo sullo sviluppo dell’epidemia nelle prossime settimane, deve procedere in conformità con la Crisis Act, che, tuttavia, può essere applicato solo durante uno stato di emergenza. Il primo ministro Babiš, in una riunione di emergenza con i membri del governo, ha elogiato il comportamento dei cittadini cechi durante tutto questo periodo e, in particolar modo, nelle vacanze pasquali. Anzi, fa leva proprio sul buon comportamento dei cittadini per allentare rapidamente le misure annunciate. Tuttavia, non si può ancora dire di aver superato la crisi ed è dunque importante mantenere in vigore parte delle misure prese finora.

Dopo un lungo dibattito in Parlamento, il 28 aprile la Camera dei deputati ha deciso di estendere lo stato di emergenza non fino al 25 ma fino al 17 maggio: la maggior parte dell’opposizione ha rifiutato di prolungare lo stato di emergenza, accusando il gabinetto del primo ministro di agire in modo illegale ed anche caotico, imponendo misure ed allentando restrizioni senza un chiaro ordine. Babiš, per tutta risposta, proporrà nei prossimi giorni un emendamento alla legge sulla protezione della salute pubblica che consentirà di mantenere le misure restrittive sulla base di una decisione del ministero della sanità, anche senza un attivo stato di emergenza.

Programma di supporto al lavoro, ospedali e agenti

Il 27 aprile, il governo ha esteso il programma di supporto al lavoro: i datori di lavoro che hanno dovuto sospendere o limitare le attività a causa dell’epidemia di coronavirus saranno in grado di ottenere rimborsi di pagamento salariale dallo Stato per il periodo che va dal 12 marzo fino alla fine di maggio. Il cosiddetto “programma antivirus” riconosce i costi sostenuti dai datori di lavoro per gli stipendi dei dipendenti, compresi i contributi obbligatori per il periodo in cui non hanno potuto lavorare o in cui sono state limitate le attività dalle misure previste dal governo. Questo strumento è stato approvato il 31 marzo con validità fino al 30 aprile; in vista della sua scadenza, è stato prorogato fino al 31 maggio, giorno fino al quale continueranno le concessioni di aiuti per molte aziende. Sarà compito dei vari datori di lavoro richiedere un rimborso di stipendi per i dipendenti. Il 7% dei lavoratori cechi ha perso il proprio lavoro a causa dell’epidemia da coronavirus, quindi al momento sembra essere fondamentale un programma di supporto come quello approvato.

Il governo ha inoltre approvato la proposta del ministero della Sanità di cancellare i debiti degli ospedali statali, dal momento che queste istituzioni hanno da tempo avuto problemi a pagare i loro debiti e stanno vivendo un inasprimento maggiore della loro situazione economica. Il governo dedicherà circa 6,6 miliardi di corone ceche dalle riserve di bilancio a loro favore. Inoltre, è stato previsto anche un aumento dei finanziamenti per gli stipendi dei soldati professionisti, dei funzionari doganali e degli agenti di polizia impegnati a gestire l’epidemia di coronavirus nel paese.

Ripartire: la riapertura dei confini

Il Paese sta pian piano riaprendo per tornare alla normalità e già dal 25 maggio potranno riaprire ristoranti e pub. Sarà comunque obbligatorio indossare la mascherina almeno fino alla fine di giugno e vi saranno delle maggiori attenzioni per quanto riguarda il numero di tavoli previsti e di persone ammesse ai locali. Rimangono i divieti per gli eventi pubblici, sportivi e non solo, viste le condizioni di svolgimento che li caratterizza, con un’elevata quantità di persone e senza possibilità di mantenere le distanze.

Un importante cambio di rotta si è visto con la riapertura dei confini: la Repubblica Ceca è stato uno dei primi paesi in Europa a chiudere i confini eppure, vedendo un calo del tasso di contagiati da Covid-19, il 24 aprile è stato deciso dal governo di riaprire i confini del paese. In ogni caso, ciò non toglie l’importanza fondamentale del periodo di isolamento. “Al ritorno, i viaggiatori dovranno presentare la conferma di un test negativo per il coronavirus o saranno costretti a trascorrere 14 giorni in quarantena”, ha affermato il Ministro della salute Vojtěch. Tale misura è stata presa considerando l’alto numero di lavoratori cechi che si spostano oltre confine per il lavoro, alla luce del fatto che la Repubblica Ceca confina con Austria, Slovacchia, Polonia e Germania e sono molte le persone che vivendo al ridosso del confine lavorano in un altro stato.

Déconfinement in Francia: il piano per la ripartenza

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Il 28 aprile, il Primo Ministro francese, Edouard Philippe ha annunciato all’Assemblea Nazionale il piano del Déconfinement, più comunemente noto come Fase 2 nella gestione dell’emergenza dovuta al Covid-19: con 368 voti favorevoli, 100 contrari e 103 astenuti il piano è stato approvato. Il discorso di Philippe, durato circa un’ora, è stato molto dettagliato e l’allentamento delle restrizioni- molto più rapido rispetto al piano italiano-entrerà in vigore a partire dall’11 maggio.

“Convivere con il virus”

 Premettendo che sarà necessario continuare a “convivere con il virus”, il Primo Ministro francese ha annunciato all’Assemblea Nazionale due fasi di déconfinement di tre settimane ciascuna: la prima andrà dall’11 maggio al 2 giugno, poi vi sarà la seconda fase. Il piano prevede anche la divisione della Francia, a partire dal 7 maggio, in aree verdi-con meno contagi accertati e dunque meno restrizioni- e aree rosse-dove resteranno in vigore le attuali limitazioni. Il déconfinement, non sarà, dunque, uniforme. Philippe ha inoltre sottolineato che quella attuale è una situazione in continua evoluzione, quindi il piano potrà essere adattato in base ai dati sui contagi.

Prima di entrare nei dettagli della “strategia nazionale” necessaria per prevenire il “rischio di collasso” dell’economia francese, Philippe ha escluso qualsiasi ritorno immediato alla normalità, dopo sei settimane di severe restrizioni. Il Primo Ministro ha così esortato le imprese a mantenere il telelavoro “ove possibile, almeno nelle prossime tre settimane” oltre ad avvertire che rimarrà l’imperativo di limitare l’uso del trasporto pubblico ed in generale dei contatti. Indossare la mascherina sarà fortemente incoraggiato e sarà obbligatorio in determinate circostanze: nei mezzi di trasporto pubblico, per il personale educativo e per gli studenti a partire dalle scuole medie. Quanto ai commercianti, questi potranno esigere l’uso della mascherina da parte dei clienti. Oltre all’uso della mascherina, il governo intende testare in modo massiccio le persone con sintomi di Covid-19 ed installare delle “brigades” in ciascun dipartimento per identificare i loro contatti ed invitare tutte le persone positive a isolarsi. Il piano di déconfinement prevede infatti che vengano effettuati 100.000 test al giorno il cui costo sarà rimborsato.

Le due fasi di déconfinement

 A partire dall’11 maggio vi sarà la prima fase del déconfinement, con la riapertura della maggior parte delle attività commerciali, librerie, biblioteche e piccoli musei. Continueranno invece a rimanere chiusi i bar, cinema, teatri, ristoranti e grandi musei. Inizierà anche la riapertura, a determinate condizioni, di alcune scuole, in modo “molto graduale” e su base volontaria: in particolare, dall’11 maggio potranno riaprire le scuole materne ed elementari, mentre il 18 maggio vi sarà la possibilità di riapertura delle scuole medie. Anche gli asili nido potranno riaprire l’11 maggio, ma fino a un massimo di dieci bambini per aula e la mascherina sarà obbligatoria per gli insegnanti. Il Primo Ministro ha poi chiarito le condizioni per indossare la mascherina per gli studenti precisando che ne è vietato l’uso per i bambini nella scuola materna, non raccomandato per le scuole elementari ed obbligatorio per gli studenti delle scuole medie. “Decideremo alla fine di maggio se possiamo riaprire i licei, a partire dai licei professionali, all’inizio di giugno” ha affermato Philippe. Ovviamente sarà necessario mantenere la distanza di sicurezza per scongiurare i contagi e chi è entrato in contatto con persone contagiate dovrà restare due settimane in isolamento.

A patto di non essere in un’area rossa o di non dover essere in isolamento, sempre dall’11 maggio sarà possibile spostarsi fino a un raggio di 100 km dalla propria abitazione e per andare oltre serviranno dei permessi speciali. Nelle aree verdi sarà altresì possibile partecipare ad assembramenti di massimo 10 persone. Quanto alla capacità di trasporto pubblico, questa sarà drasticamente ridotta per almeno tre settimane successive all’11 maggio, al fine di rispettare il distanziamento sociale.

Nella seconda fase, dal 2 giugno, salvo nuove decisioni, è prevista la riapertura delle spiagge e la ripresa delle cerimonie religiose, il tutto sempre a determinate condizioni ed evitando il più possibile assembramenti. In questa fase potrebbero anche riaprire bar e ristoranti ed altre strutture ed attività ancora chiuse, così come sarà possibile iniziare a valutare eventuali vacanze estive.

Vigerà invece il prolungamento della sospensione delle principali manifestazioni sportive. Pertanto, il campionato di calcio non riprenderà prima di settembre, così come il campionato nazionale di rugby. Gli sport individuali potranno invece riprendere gradualmente le loro attività.

“Do appuntamenti i francesi per la fine di maggio, per valutare le condizioni in cui organizzeremo una nuova fase di deconfinamento, e in particolare prenderemo decisioni sull’organizzazione di bar, ristoranti, vacanze” ha concluso il Primo Ministro.

L’approvazione dell’Assemblea Nazionale

Il processo di approvazione da parte dell’Assemblea Nazionale del piano presentato da Philippe era stato considerato “a rischio” dai “macronisti”, poiché il metodo utilizzato dall’esecutivo aveva attirato critiche nei giorni precedenti Tuttavia, il piano è riuscito ad ottenere l’approvazione della maggioranza dell’aula parlamentare con 368 voti favorevoli, 100 contrari e 103 astensioni, principalmente grazie ai voti dei gruppi di La République en Marche (LRM) e Mouvement démocrate (MoDem), che detengono la maggioranza assoluta. “Tutela della salute, lavoro, trasporti pubblici, negozi, scuole: ora è fissato il quadro chiaro” ha detto il capo dei deputati macronisti, Gilles Le Gendre. Tra i 297 membri eletti del suo gruppo, 289 hanno votato a favore del piano. Tra i contrari la deputata Martine Wonner ha dichiarato “Mi rammarico per l’assenza di qualsiasi strategia terapeutica (…) volta al trattamento precoce delle persone sottoposte a test per Covid. La deputata di LRM ha ritenuto il piano del governo “carente” e “impreciso”. Prima del voto Wonner aveva denunciato – insieme a molti colleghi – il termine troppo breve concesso ai deputati prima di esprimere la loro opinione. Il governo ha, infatti, deciso, dopo varie procrastinazioni, di organizzare la votazione subito dopo il dibattito sulla strategia adottata dall’esecutivo dall’11 maggio. “Nel contesto attuale, un voto contrario del nostro gruppo dovrebbe essere considerato come un segno di sfiducia per l’attenzione del governo” queste le parole di Olivia Grégoire, compagna di partito di Wonner.

 

Industria, Ricerca ed Energia: la Commissione ITRE al Parlamento europeo

EUROPA di

La Commissione ITRE – Industria, Ricerca ed Energia – è una delle 20 commissioni interne al Parlamento europeo e fa parte di quelle permanenti: formata da un gruppo di eurodeputati, ha un ruolo fondamentale nella procedura legislativa ordinaria. La Commissione ITRE ha come Presidente Cristian-Silviu Buşoi, ed è composta da 72 membri che riflettono la composizione del Parlamento nel suo insieme. Tra i deputati italiani vi sono, tra gli altri, la Vicepresidente di Commissione Patrizia Toia, i deputati Carlo Calenda, Aldo Patriciello, Ignazio Corrao e la deputata Isabella Tovaglieri come membri effettivi, ed anche Simona Bonafè e Matteo Adinolfi come membri sostituti.

Il lavoro della Commissione

Trattandosi di una commissione permanente, tra i compiti dell’ITRE vi è l’approvazione delle relazioni di carattere legislativo, la presentazione di emendamenti da sottoporre all’aula, la nomina dei membri delle squadre indicate di negoziare la legislazione dell’UE con il Consiglio, l’approvazione delle relazioni di iniziativa, l’organizzazione di audizioni con esperti e il controllo dell’operato degli organismi dell’UE. Inoltre, la Commissione nomina solitamente un rapporteur che fa delle raccomandazioni alla Commissione e presenta la relazione in assemblea plenaria. Il lavoro delle Commissioni nel Parlamento è fondamentale, poiché la maggior parte della funzione legislativa del Parlamento si svolge proprio all’interno di queste.
La Commissione ITRE si occupa dell’industria, energia e ricerca, ed è responsabile di molteplici settori: la politica industriale dell’Unione e l’applicazione di nuove tecnologie, comprese le misure relative alle PMI; la politica di ricerca e innovazione dell’Unione, nonché la diffusione e lo sfruttamento dei risultati della ricerca; la politica spaziale europea; le attività del Centro comune di ricerca, del Consiglio europeo della ricerca, dell’Istituto europeo di innovazione e tecnologia e dell’Istituto per i materiali e le misure di riferimento; misure dell’Unione relative alla politica energetica, anche nel contesto del funzionamento del mercato interno dell’energia; ciò che riguarda il trattato EURATOM e la sua Agenzia di approvvigionamento; sicurezza nucleare, disattivazione e rifiuti smaltimento nel settore nucleare; la società dell’informazione, la tecnologia dell’informazione e le reti e i servizi di comunicazione, comprese le tecnologie e gli aspetti di sicurezza e la creazione e lo sviluppo di reti transeuropee nel settore delle telecomunicazioni.

Le priorità

Il rapporto delle attività 2014-2019 sintetizza al meglio le attività portate avanti dall’ITRE negli ultimi anni, e fa comprendere l’indirizzo che si sta seguendo ora e si seguirà in futuro. In particolare, il primo obiettivo è quello di contribuire a dare una nuova spinta per l’occupazione, la crescita e gli investimenti, il tutto attraverso il progetto dell’economia circolare e il quadro finanziario pluriennale di 2021-2027. La seconda priorità è creare un mercato unico digitale connesso, migliorando l’accesso ai beni e servizi digitali per consumatori e imprese, creando condizioni favorevoli alla crescita e condizioni di parità per reti digitali e servizi innovativi, massimizzando il potenziale di crescita dell’economia digitale. La terza priorità è creare un’unione energetica resiliente con una politica lungimirante sul cambiamento climatico, attraverso la sicurezza energetica, un mercato europeo dell’energia pienamente integrato, l’efficienza energetica che contribuisce alla moderazione della domanda, la decarbonizzazione dell’economia, investimenti in ricerca, innovazione e competitività. Il quarto obiettivo è garantire un mercato interno più profondo ed equo, con una forte base industriale, così come la quinta priorità è la garanzia di una più giusta Unione economica e monetaria.

La risposta al Coronavirus

In questo ultimo periodo, il coronavirus è diventato argomento centrale anche nell’agenda dell’ITRE: il Presidente del Parlamento europeo ha annunciato una serie di misure per contenere la diffusione dell’epidemia e salvaguardare le attività principali del Parlamento, che vengono ridotte ma mantenute nelle loro parti essenziali. Nell’ambito dell’ITRE, il 15 aprile la Commissione ha approvato una comunicazione sul ruolo dei test per un’efficace strategia di uscita coordinata tra loro, e gli scienziati del Centro comune di ricerca hanno sviluppato criteri di prestazione dei test per migliorare l’accuratezza complessiva dei test COVID-19. Il 17 aprile, il Parlamento ha adottato una risoluzione sulla crisi COVID-19, chiedendo un approccio coordinato post-lockdown nell’UE, compresi anche test su larga scala. Il 24 aprile, la Commissione europea ha discusso con la commissaria per l’innovazione, la ricerca, la cultura, l’istruzione e la gioventù Mariya Gabriel e la commissaria per il mercato interno Thierry Breton sulla strada da seguire per le proposte del Parlamento. Molto importante è la piattaforma europea di dati COVID-19, lanciata per consentire la raccolta e la condivisione dei dati di ricerca disponibili. I ricercatori saranno in grado di archiviare, condividere e analizzare un’ampia varietà di risultati sul coronavirus. Infine, la Commissione europea, in stretta collaborazione con gli Stati membri dell’UE, ospiterà, con il patrocinio della Gabriel, il primo hackathon paneuropeo sul Covid-19, per collegare la società civile, gli innovatori, i partner e gli investitori da tutta Europa e oltre, al fine di sviluppare soluzioni innovative per le sfide legate al coronavirus.

Il Consiglio europeo del 23 aprile: risultati e nodi da sciogliere

EUROPA di

Il 23 aprile, il tanto atteso Consiglio europeo- l’organo dell’Unione europea che riunisce i capi di Stato e di Governo dei 27 Paesi membri- ha accettato le proposte studiate dall’Eurogruppo, cioè dai ministri dell’economia e delle finanze dei Paesi che aderiscono all’Eurozona. L’Eurogruppo aveva studiato quattro tipi di strumenti per contrastare le conseguenze dovute dalla pandemia da coronavirus e tutti sono stati accettati dal Consiglio europeo riunito virtualmente. Il quarto strumento, il più importante data la portata dei finanziamenti coinvolti, è il cosiddetto Recovery Fund, di cui è stata delineata la cornice, ma il 6 maggio spetterà alla Commissione europea presentare una proposta per dettagliarlo, avviando il negoziato vero e proprio. L’accordo definitivo è stato dunque rimandato a giugno e restano vari punti in sospeso.

I risultati del vertice

Il Consiglio europeo ha, dunque, dato il via libera alle proposte elaborate dall’Eurogruppo, vale a dire la linea di credito agevolata del MES per le spese sanitarie, la cassa di integrazione europea (100 miliardi del Fondo Sure per integrare le casse integrazioni nazionali) ed un ampio intervento della Banca europea degli investimenti (BEI). Il pacchetto iniziale ha un valore di 540 miliardi di euro- ivi compresi i 240 miliardi del nuovo MES, calcolati come se tutti i Paesi membri ne facessero richiesta- e l’intenzione espressa dal Consiglio è di garantirne l’operatività a partire da giugno.

I Capi di Stato e di Governo dei Paesi membri dell’UE, inoltre, hanno discusso della creazione di un Fondo europeo per la ripresa, affidando alla Commissione europea il compito di presentare una proposta scritta ed elaborata circa i fondi da utilizzare per coprire le spese del Recovery Fund. Si tratta di un fondo considerato quasi un Piano Marshall, in quanto, oltre alle misure adottate nelle scorse settimane dalla Banca Centrale Europea (BCE), rappresenterà una delle principali misure europee di sostegno agli stati membri per mitigare gli effetti economici provocati dalla crisi sanitaria.

 

Già alla vigilia del vertice era chiaro che il Consiglio europeo si sarebbe posto solo come un punto di partenza da cui iniziare a costruire il fondo della ripresa. Non è stato diffuso un documento finale con le conclusioni raggiunte- come accade spesso- e l’accordo tra i leader è stato sintetizzato in una dichiarazione del Presidente del Consiglio europeo. Nella sua dichiarazione finale, Charles Michel, ha spiegato che gli Stati membri hanno convenuto di lavorare per la creazione del Recovery Fund, descritto come “necessario ed urgente”, due aggettivi inseriti con la sollecitazione del Presidente del Consiglio italiano, Giuseppe Conte.

Dal suo canto, la Presidente della Banca Centrale Europea, Christine Lagarde, ha incalzato i leader, avvertendo che il PIL europeo sta calando del 15%, dunque urge avere un piano, un Recovery Fund immediato, forte e flessibile. A fronte di questa caduta libera del PIL europeo, ogni governo dovrà riaggiornare i propri dati di finanza pubblica, mutati a causa della pandemia da coronavirus: in particolare diminuirà il PIL ed il deficit invece aumenterà così come il debito.

I nodi da sciogliere

Chi privilegia una visione ottimistica, considera i risultati conseguiti dal Consiglio europeo molto positivi, dato che fino a poche settimane fa regnava la frattura tra i Paesi dell’Europa meridionale e quelli dell’Europa settentrionale e questi ultimi si opponevano alla creazione di un Fondo di ripresa europeo. A tal proposito, occorre sottolineare che la frattura non è stata superata del tutto e gli Stati dell’Europa meridionale, Italia in primis, hanno fretta nel trovare una soluzione comune concreta, avendo un minor margine fiscale e necessitando di un aiuto immediato. Chi, viceversa, è più critico, si concentra invece sull’assenza di dettagli e sulla presenza di incognite nel compromesso trovato dai leader europei in seno al Consiglio. In particolare, non è stato trovato un accordo su come finanziare il fondo, sulla sua entità, sullo strumento per versare i soldi agli stati – prestiti o sussidi – e sui relativi tempi e modalità. Su questi punti dovrà rispondere la Commissione Europea, che presenterà il proprio piano il 6 maggio.

Con riguardo alla modalità di finanziamento del Fondo, la soluzione che attualmente risulta più probabile è l’aumento significativo del contributo di ciascuno stato al bilancio pluriennale dell’UE. La stessa Presidente della Commissione europea ha parlato della necessità di raddoppiare il contributo degli Stati membri per alcuni anni, fino ad arrivare al 2% del PIL nazionale, a partire dall’1,16% attuale. L’entità del fondo dipenderà oltre che da un compromesso sul bilancio dell’UE, altresì sulla possibilità di usare i soldi come garanzia per emettere titoli di stato. L’approvazione di quest’ultima proposta al Consiglio sembrava certa, ma nella dichiarazione di Michel e nelle interviste ai 27 leader non ve ne è alcuna traccia.

La trattativa più cruciale ruota e ruoterà sulla modalità di versamento agli Stati: Francia, Italia, Spagna e Portogallo spingono affinché il Fondo comprenda sussidi senza l’obbligo di restituzione; i Paesi del Nord preferiscono invece che il Fondo emetta dei prestiti, per evitare che l’Unione Europea sia costretta a fare debito. La Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, senza indicare con precisione quale sarà l’ammontare del Recovery Fund, ha suggerito di ripartire il Fondo sia in prestiti (che, pertanto, dovranno essere restituiti) che in aiuti (a fondo perduto), aggiungendo che gli stati dovranno accordarsi su quale equilibrio trovare tra le due misure.

Con riguardo all’ammontare probabile del fondo, nelle interviste successive al Consiglio europeo, la Von der Leyen ha spiegato che questo avrà una capacità in “migliaia di miliardi”, e non in “miliardi”. Il timore di alcuni è che le “migliaia di miliardi” evocati dalla Presidente della Commissione si riferiscano a qualche centinaio di miliardi prelevati dal budget europeo, che arrivano a qualche migliaia soltanto grazie agli ulteriori contributi degli stati membri. Probabilmente il Presidente francese, Emmanuel Macron, si riferiva a questo meccanismo, quando durante il Consiglio ha chiesto agli altri leader di non stanziare soldi “finti”, e nella conferenza stampa dopo la riunione ha auspicato il versamento di sussidi “veri”.

Molte questioni rimangono dunque aperte e nei prossimi giorni spetterà alla Commissione cercare di trovare un accordo negoziando con i Governi degli Stati membri.

 

 

 

Covid-19, la Repubblica Ceca tra riaperture, aiuti europei e prevenzione

EUROPA di

La Repubblica Ceca, colpita dalla pandemia del Covid-19 già dai primi di marzo, sta attraversando ora una fase molto simile a quella degli altri paesi europei: pianificare le prime riaperture ma continuare a prevenire l’ulteriore diffusione del virus, senza recare eccessivi danni all’economia. Un’impresa non da poco che Praga affronta grazie alle misure di aiuti di Stato approvati dalla Commissione europea e dal prestito della Banca di sviluppo del Consiglio d’Europa, ed inoltre estendendo la “smart quarantine”, provata nella Moravia meridionale, in tutto il paese.

Le ultime misure del governo

In vista di un futuro allentamento delle misure di lockdown ma con la volontà di scongiurare l’ulteriore diffusione del coronavirus, il governo di Praga ha preso molteplici misure. Il ministro della Sanità Vojtech ha annunciato il 21 aprile il lancio di un test su larga scala di persone selezionate in modo casuale in determinate località del Paese. “Stiamo lanciando uno studio unico sull’immunità collettiva. 27.000 persone saranno testate per la presenza di coronavirus. Vogliamo scoprire quanta parte della popolazione ha riscontrato l’infezione e quale immunità hanno i diversi gruppi di età. Di conseguenza, saremo in grado di comprendere meglio la situazione e creare una previsione per lo sviluppo futuro”, ha dichiarato Vojtech su Twitter. Lo studio avrà luogo a Praga, Brno e dintorni, Olomouc e dintorni, Litoměřice, Litovel e Uničov. La partecipazione è volontaria, ma i partecipanti non devono avere alcun sintomo associato al Covid-19, né possono essere stati precedentemente contagiati dal virus.
Inoltre, a partire dal 20 aprile è stato possibile riaprire diverse attività: negozi di artigiani (evitando comunque il diretto contatto con i clienti), rivenditori di automobili e mercati all’aperto. Gli studenti universitari potranno tornare all’università per avere colloqui individuali con i docenti in caso di necessità; si possono celebrare matrimoni (con un massimo di 10 persone come ospiti) e gli atleti professionisti potranno tornare ad allenarsi all’aperto.
Un’altra importante misura riguarda gli aiuti che lo Stato fornisce alla popolazione: i lavoratori autonomi colpiti dalla pandemia riceveranno a maggio un pagamento di 15.000 corone dallo stato, secondo quanto ha dichiarato il Primo Ministro Babiš. “Il governo è anche pronto per i pagamenti a giugno, se necessario”, ha poi aggiunto. Già ad aprile era stata approvata una politica di aiuti, una somma forfettaria di 25.000 corone. Per accedere al pagamento, i richiedenti devono dimostrare di soddisfare due condizioni: essere un lavoratore autonomo; l’attività autonoma del richiedente deve essere la sua attività principale.

L’estensione della Smart Quarantine

Come ulteriore forma di prevenzione, a partire dal 20 aprile, il progetto di “quarantena intelligente” testato sulla regione della Moravia meridionale è stato esteso a tutto il paese. Si tratta di un progetto che prevede di rintracciare tutti i contatti avuti dalle persone che risultano positive al virus nei cinque giorni precedenti al tampone, creando delle mappe per ricostruire i loro movimenti con l’aiuto di banche e operatori di telefonia mobile. Tutti coloro con cui sono entrati in contatto i positivi verranno testati e messi in quarantena per evitare l’ulteriore diffusione del virus. La quarantena intelligente contribuirà all’accelerazione nel processo di identificazione dei nuovi casi di coronavirus, nonché nel processo di riapertura delle attività del Paese. Secondo quanto previsto, tutti i dati dovranno essere definitivamente cancellati dopo che la ricerca è stata completata, ed inoltre solo gli epidemiologi potranno accedere ai dati.

Aiuti dall’Europa

La Commissione europea ha approvato un regime di aiuti di Stato per la Repubblica ceca fino a 1 miliardo di CZK (circa 37 milioni di euro). Il Paese ha notificato alla Commissione, sotto il Temporary Framework, uno schema per sostenere gli investimenti delle piccole e medie imprese nella produzione di prodotti rilevanti per l’epidemia di coronavirus; lo schema iniziale prevede un budget di 300 miliardi di corone ceche, approssimativamente 11 milioni di euro, per poi poter essere incrementato fino a 37 milioni di euro. Il sostegno pubblico avverrà attraverso delle sovvenzioni dirette: coprirà il 50% dei costi ammissibili che le aziende devono sostenere per produrre i prodotti ora fondamentali. L’obiettivo è proprio migliorare e accelerare la produzione per contrastare la diffusione del coronavirus e curare chi è già stato contagiato attraverso ventilatori, indumenti, attrezzature protettive e strumenti diagnostici. Nell’ambito del regime, i progetti di investimento saranno completati entro sei mesi dalla data di concessione dell’aiuto. L’approvazione della Commissione è dovuta alla vitale importanza che ricoprono gli aiuti per il paese, essenziali al raggiungimento di un obiettivo di comune interesse; inoltre, il regime è necessario, appropriato e proporzionato per combattere la crisi sanitaria.
Infine, la Banca di sviluppo del Consiglio d’Europa, ha approvato un prestito di 300 milioni di euro alla Repubblica Ceca per finanziare le spese sanitarie per combattere la diffusione e l’impatto della pandemia. Si tratta del primo prestito del governo con questa banca, supporterà il governo ceco nel proseguire i suoi sforzi per mitigare la diffusione e le conseguenze del Covid-19 coprendo il 90% del costo totale richiesto a breve termine. Consentirà l’acquisizione di materiale e attrezzature mediche, inclusi test, ventilatori e respiratori, nonché dispositivi di protezione per il personale in prima linea. Il prestito può anche coprire la riabilitazione e la conversione di spazi, unità mediche e ospedali per soddisfare le attuali esigenze di assistenza sanitaria di emergenza.

Flaminia Maturilli
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