GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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Sabiena Stefanaj - page 2

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Tunisia: strage sulla spiaggia

BreakingNews di

I morti sono 38 e tra questi almeno cinque cittadini britannici assieme ad altri cittadini di nazionalità tedesca, belga e francese; i feriti 36, alcuni dei quali in gravi condizioni . Questo il drammatico bilancio dell’assalto di ieri quando due uomini armati hanno sparato nella spiaggia di due resort di lusso a Sousse, nel golfo di Hammamet in Tunisia. Uno degli attentatori è rimasto ucciso, colpito a morte dalla polizia tunisina in uno scontro a fuoco sulla spiaggia e l’altro è stato catturato ad Akouda, a pochi km dal luogo della strage. In serata sono stati eseguiti altri fermi.

L’Assalto
Erano sbarcati sulla spiaggia da un gommone i due attentatori e hanno aperto il fuoco con granate sulla spiaggia. Uno dei due nascondeva il kalashnikov sotto l’ombrellone che teneva sotto braccio. Secondo testimoni oculari, i terroristi avrebbero poi fatto irruzione nella struttura, inseguendo i turisti in fuga fino alla piscina, cercando di evitare di colpire gli inservienti di nazionalità tunisina. L’uomo rimasto ucciso era uno studente, sconosciuto alle forze di polizia, proveniente da Kairouan, città santa dell’Islam dove si trova la moschea più antica del Maghreb. In concomitanza con le stragi di Francia, Kuwait City e Somalia, la strage di Sousse è stata rivendicata dai jihadisti dell’IS, i quali in un comunicato diffuso su twitter in serata hanno dichiarato: “ Un soldato del califfato ha potuto raggiungere l’obiettivo, uccidendo circa 40 persone, per la maggior parte di stati dell’alleanza crociata che combatte lo stato del califfato”.

Una giornata di sangue e di terrore eseguita e collaudata in tre continenti a tre giorni dall’anniversario della proclamazione del cosiddetto “Stato Islamico” avvenuta il 29 giugno di un anno fa. Già martedì, 23 giugno l’IS aveva fatto girare in rete un richiamo alle armi esplicita: “Attaccate cristiani, sciiti, apostati”. Detto fatto. Una strategia del terrore e della visibilità mediatica globale, queste le linee guida atroci dei jihadisti. Rimane da vedere la reazione del mondo musulmano che fa i conti con la vulnerabilità del mondo arabo. La Tunisia, la moderata, colpita per la seconda volta dopo la strage al Museo del Bardo a Tunisi il 18 marzo scorso, teme la messa in ginocchio del primo settore dell’economia nazionale che è il turismo. Ieri ha vinto il terrore; oggi piangiamo i morti e domani? Domani tocca decidere quando dare fine a questo strazio a cominciare dalla Siria.

Un serbo a Tirana…nel senso del premier

ECONOMIA/Energia/EUROPA di

Quando si parla di “ospitalità” albanese, ebbene, le autorità non hanno fatto mancare nulla dal protocollo al capo del governo serbo: Bože pravde , l’inno nazionale serbo è stato eseguito per la prima volta nella Tirana istituzionale, durante una visita ufficiale. Nella sede di rappresentanza del Palazzo delle Brigate i due premier si sono stretti mani diplomatiche senza lasciare nulla al caso con tanto di tricolore serbo issato.
Questa visita è stata preparata nei dettagli e vissuta “seguendo l’esempio della Germania e della Francia dopo la seconda guerra mondiale”, ha detto il premier Rama, facendo riferimento alla distensione auspicata dei rapporti tra i due paesi balcanici, “ sulla scia del desiderio di intensificare i buoni rapporti”.
Vučić ha raggiunto Tiranail 27 maggio scorso, il giorno dopo la conclusione dei lavori del South-East European Cooperation Process, il consiglio di cooperazione regionale, istituito dalla Bulgaria nel 1996 e presieduto dall’Albania quest’anno. Un summit nel quale è stato ribadito e sottolineato la volontà dei paesi balcanici di puntare all’integrazione europea come obiettivo comune. Bulgaria e Romania hanno manifestato il loro appoggio incondizionato.
Una visione d’insieme che è stata rinforzata durante la visita del capo del governo serbo il giorno dopo, sia da questi che dal premier albanese, Edi Rama.
“Qualcuno in Serbia farà rumore per questa mia visita, come immagino succederà a Rama per avermi invitato. Ma il mio dovere è di guardare al futuro, e nel futuro le relazioni fra di noi sono molto importanti… Pensiamo in modo diverso, parliamo in modo diverso. Ma questo non ha a che fare con il fatto di lavorare insieme. Se saremo abbastanza responsabili, saggi e intelligenti, se non penseremo di risolvere i nostri problemi con i conflitti ma con il dialogo, con rapporti sinceri, aperti e onesti, allora sono sicuro che Serbia e Albania avranno un futuro migliore del passato. Alla storia non possiamo sfuggire, ma il nostro sguardo dovrà essere rivolto al futuro, perciò oggi sono qui per porgere al mio collega Rama la mano dell’amicizia.”
Molto più disinvolto e visionario Rama il quale esprime le relazioni diplomatiche future dichiarando “ Delle relazioni tra Francia e Germania si dice che rappresentino l’asse dell’Europa, spero di non mancare di modestia dicendo che gli albanesi e i serbi vogliono trasformare le loro relazioni in un’uguale testimonianza del fatto che da una storia di guerre sanguinose potrebbe nascere l’esempio di un comune successo di pace”.
In questo momento di pragmatismo politico non si poteva lo stesso evitare un richiamo al punto dolente delle relazioni problematiche tra i due paesi, ovvero la questione del Kosovo e della “Grande Albania”. Il virgolettato è d’obbligo stando alla versione albanese della faccenda. “La Grande Albania per noi non è un progetto o un programma. Si tratta di un’idea nutrita da coloro che non vogliono il bene degli albanesi, non la nostra nazione, che non vuole ampliamenti, a scapito di nessuno, ma la convivenza normale. Progettiamo di unirci sulla strada nell’Unione europea. Se noi avessimo visto la bandiera della Grande Serbia sul drone avremo riso, ma questa è una questione di percezione. Penso che la lezione è stata tratta da entrambi”.
Di tenore molto più sostenuto Vučić sullo stesso tema aveva in un primo momento dichiarato “E’ un fatto che non siamo d’accordo sul Kosovo. La Serbia considera il Kosovo come la sua parte e l’Albania la considera indipendente”. La posizione di Rama, più ironico e morbido, si delinea nella sua dichiarazione in merito: “La mia convinzione è che il riconoscimento del Kosovo sarebbe un grande sollievo per la Serbia, ma non voglio entrare più in profondità in questa questione dal momento che qui siamo tra amici e noi rispettiamo tutti gli amici e le loro sensibilità“. Senza paroloni, ma incisivo e serio il premier serbo ha sottolineato “La grande divergenza fra Belgrado e Tirana sullo status del Kosovo non deve essere un ostacolo ai nostri rapporti bilaterali; nonostante questo, ritengo che questa incongruenza non significhi che non possiamo ammorbidire le differenze con il dialogo”.
Nell’affrontare la crisi che si sta consumando nella Repubblica Macedone dopo i fatti di Kumanovo, entrambi i governi si sono voluti mostrare equi distanti con la volontà di non schierarsi con nessuna delle fazioni e facendosi garanti di una stabilità balcanica necessaria.
A dettare questa nuova fase è ovviamente la prospettiva economica degli investimenti esteri e tra i due paesi, nonché la posizione strategica dei Balcani nei corridoi energetici e nella infrastruttura dei trasporti transnazionale.
Nell’ambito dei Tirana Talks – Vienna Economic Forum (nato nel 2004), il giorno dopo, 28 maggio, si è ufficializzato questo riavvicinamento toccando propriamente i progetti futuri. In esclusiva, si fa riferimento all’autostrada Tirana-Belgrado , passando per il Kosovo, funzionale e simbolica. Serbi e albanesi, monitorati dalla Germania e procedendo sotto gli occhi dell’ex ministro degli esteri tedesco Joschka Fischer chiedono fondi esteri e investimenti. Hanno finalmente capito che possono diventare seriamente strategici per se stessi e l’Europa. In un contesto di crisi delle frontiere europee, della crisi profonda, difficilissima in Ucraina e nelle ex repubbliche sovietiche, con conseguenze economiche enormi per tutti, i balcanici provano a elevare le rispettive posizioni, cercando di attrarre investimenti, prestigio e credibilità.
Non è una passeggiata nella storia, si tratta di conflitti secolari, di diatribe territoriali e culturali radicalizzate. Si tratta di Berlino con lo sguardo puntato e, soprattutto gli albanesi, si ricordano bene un altro Berlino, quello del Congresso del 1878, quello degli Imperi ( Austria e Turchia) e delle grandi Potenze europee, quello a conclusione del quale gli albanesi si sono visti negati l’esistenza niente di meno che da Bismarck: “Non esiste alcuna nazione albanese”. Erano altri tempi, ma i Balcani si sono visti fare e disfare nei secoli da altri le loro esistenze. Ad ogni modo, era il mondo di ieri.

Mandato di arresto per Becchetti, il patron di Agon Channel

BreakingNews/EUROPA di

La procura della capitale albanese ha emesso un ordine di cattura per Francesco Becchetti, imprenditore romano, nipote dell’ex ras delle discariche Manlio Cerroni, proprietario di Agon Channel, rete televisiva che produce nel paese balcanico e trasmette anche un canale in italiano sul nostro digitale terrestre. Il mandato riguarda anche la madre Liliana Condomitti. Le accuse, per entrambi, sono quelle di riciclaggio e “falso in documentazione”.

Circa un’anno e mezzo fa

Al telefono: ” Guardo la tv, c’è un nuovo canale che ha aperto. A proposito, infatti te lo volevo chiedere: questo è un’italiano, uno che lavorava con l’immondizia, ne sai qualcosa?”, – “No, come si chiama?”,- domando a mia volta incuriosita. “Beh, Agon Channel, ma come si chiama il tipo proprio non mi viene”.

Capita che a casa ci torno in ferie ad agosto 2014 e, finalmente, guardo Agon Chanel: una catapulta catodica che ti getta indietro nei primi anni ’90, quando da bimbi albanesi s’imparava l’italiano con “la televisione”. Tornando alla realtà, “il tipo” un nome ce l’ha, anche ben noto ai media, anche a quelli investigativi: Francesco Becchetti.

Kalivac – Albania

Se si prova a fare una ricerca in rete, sui motori di ricerca, e si digita “Kalivac Albania”, il primo risultato che viene fuori è la pagina di uno studio professionale d’ingegneria idro-elettrica con base a Roma e se si apre la pagina troviamo la scheda lavori per la costruzione di un impianto idro-elettrico, commissionato da Enelpower nel periodo 2000-2001. Il secondo risultato è il sito web della Hydroelectric Beg – Becchetti Energy Group. I sito è aggiornato al 2011 e il progetto viene ancora descritto come “in una joint venture con Deutche Bank” e in conclusione si legge: ” To date, 40% of the works have been completed. The start-up is expected for 2012 – A oggi, il 40% dei lavori è stato completato. L’ avvio è atteso per il 2012″.

Il 2012 giunse, passò e lasciò Kalivac, sud dell’Albania, con uno squarcio di cantieri abbandonati e operai non pagati. Il resto avvenne nelle aule giudiziarie. La BEG aveva ottenuto una concessione trentennale e tanti incentivi dal governo albanese, sempre nel tentativo di attirare investitori stranieri nel paese.  La Enelpower avrebbe dovuto partecipare a costruire e gestire in società l’ impianto da 100 megawatt per un’ investimento di 160milioni di euro. Tutto finisce quasi in un batter d’occhio e il colosso energetico si ritira e Becchetti cita in giudizio Enelpower per “non aver mantenuto gli impegni finanziari alle scadenze previste”. In Italia viene respinta la richiesta di risarcimento di 120 milioni e la BEG si fa concedere una proroga dal governo albanese. Il 2007 vede realizzarsi l’accordo con Deutche Bank che, però, salta anche in questo caso. Il risarcimento viene riconosciuto alla BEG dal tribunale albanese per un ammontare di oltre 20milioni di euro e, forte di questo, Becchetti non esita a citare in giudizio di nuovo Enelpower, sempre in Albania, vedendosi riconosciuti 440milioni di euro.

Agon Channel

La tv di Becchetti “albeggia” ( traduzione della voce “agon”) nel 2013 a Tirana. Recluta stranoti volti televisivi albanesi, paga in euro, propone una formula descritta come “innovativa”, ma che rimanda quasi immediatamente alla tradizione della tv generalista italiana e alla formula sdoganata dei talent show. Il resto è storia: la decisione “epocale” di trasmettere in Italia da Tirana, l’arrivo di star della tv italiana, con un certo diletto per quelle “sulla via del tramonto” professionale in patria, la sovraesposizione dell’immagine dello stesso Becchetti nei media e nei rotocalchi di costume.

Ritorno al futuro

“La procura della capitale albanese ha emesso un ordine di cattura per Francesco Becchetti, imprenditore romano, nipote dell’ex ras delle discariche Manlio Cerroni, proprietario di Agon Channel, rete televisiva che produce nel paese balcanico e trasmette anche un canale in italiano sul nostro digitale terrestre. Il mandato riguarda anche la madre Liliana Condomitti. Le accuse, per entrambi, sono quelle di riciclaggio e “falso in documentazione”. Disposto anche il sequestro delle quote delle sua società. Al centro dell’inchiesta giudiziaria, avviata un anno fa, il progetto per la costruzione di una delle più grandi centrali idroelettriche del paese, mai realizzata”, si legge nei comunicati stampa che fanno girare la notizia poco prima dell’ora di pranzo del 9 giugno 2015.

La vicenda giudiziaria dà l’avvio a una nuova fase nei rapporti tra Becchetti e le autorità albanesi. Immediate anche le prese di posizione “pro” e “contro” il personaggio. Berisha ( sì, sì, è lo stesso) tuonava contro il governo Rama, il quale starebbe “facendo di tutto per chiudere il becco a chi lo attacca”. Qualche commentatore più “realista” si pone la questione dell’attendibilità di tale operazione clamorosa contro un’ imprenditore straniero in Albania: e se i fatti smentissero questo zelo della giustizia albanese, “che figura ci fa l’Albania”?

La riforma della giustizia e la lotta alla corruzione è una priorità del governo Rama nel quadro della prospettiva europea. Le elezioni amministrative che si terranno tra due settimane punteranno i riflettori internazionali sul paese e, secondo i suoi oppositori, la reazione contro Becchetti si racchiude in un’azione intimidatoria, che poco ha a che fare con la giustizia.

Fermo restando che la vicenda giudiziaria avrà il suo corso, il pittoresco personaggio dell’imprenditore italiano che offriva “primati”  in qualsiasi settore mettesse mano, che poi sono i soliti ( rifiuti, calcio – anche se inglese e di terza categoria, tv privata), si dilunga in altri capitoli ancora da scrivere.

 

L’Europa apre gli occhi sul Mediterraneo

BreakingNews/Difesa/EUROPA/POLITICA di

La Commissione Europea ha stilato e approvato l’agenda europea sull’immigrazione. Nel documento vengono delineate le misure previste nell’immediato per rispondere alla situazione di crisi nel Mediterraneo e le iniziative da varare negli anni a venire per gestire meglio la migrazione in ogni suo aspetto.

Triton e Poseidon, pur mantenendo la loro missione di controllo delle frontiere via mare dell’UE, vedono le loro funzioni ampliate nelle operazioni di soccorso, con molte similitudini con Mare Nostrum. Si prospetta un sistema di emergenza di quote, per ripartire fra tutti i paesi dell’Unione i profughi che riusciranno a sbarcare sulle nostre coste. Sarà obbligatorio per tutti, eccezion fatta per Italia e Grecia, alle quali viene riconosciuto di “aver fatto già abbastanza” e considerando il fatto che i due paesi rimangono impegnati nelle fasi di soccorso e prima accoglienza.

L’Europa si trova costretta a guardare negli occhi la gravità della situazione creatasi nelle sue frontiere sud. Il primo Vicepresidente Frans Timmermans ha dichiarato: “La tragica perdita di vite umane nel Mediterraneo ha sconvolto tutti gli europei. I nostri cittadini si aspettano che gli Stati membri e le istituzioni dell’UE agiscano per impedire il ripetersi di simili tragedie. Il Consiglio europeo ha dichiarato esplicitamente che occorrono soluzioni europee, basate sulla solidarietà interna e sulla consapevolezza che abbiamo una comune responsabilità nel creare una politica migratoria efficace.” Nel presentare il documento, ha aggiunto -” Per questo la Commissione propone oggi un’agenda che rispecchia i comuni valori europei e dà una risposta ai timori che nutrono i nostri cittadini sia difronte a una sofferenza umana inaccettabile che rispetto all’applicazione inadeguata delle nostre norme comuni e condivise in materia di asilo. Le misure che proponiamo contribuiranno a gestire meglio la migrazione e a rispondere alle legittime aspettative dei nostri cittadini”.

La Commissione ha elencato le azioni immediate da intraprendere subito:

– Triplicare le capacità e i mezzi delle operazioni congiunte di Frontex, Triton e Poseidon, nel 2015 e nel 2016. È stato adottato un bilancio rettificativo per il 2015 che assicura i fondi necessari: un totale di 89 milioni di EUR, comprensivo di 57 milioni per il Fondo Asilo, migrazione e integrazione e 5 milioni per il Fondo Sicurezza interna in finanziamenti di emergenza destinati agli Stati membri in prima linea, mentre entro fine maggio sarà presentato il nuovo piano operativo Triton;

– Proporre per la prima volta l’attivazione del sistema di emergenza previsto all’articolo 78, paragrafo 3, del TFUE per aiutare gli Stati membri interessati da un afflusso improvviso di migranti. Entro la fine di maggio la Commissione proporrà un meccanismo temporaneo di distribuzione nell’UE delle persone con evidente bisogno di protezione internazionale. Entro la fine del 2015 seguirà una proposta di sistema permanente UE di ricollocazione in situazioni emergenziali di afflusso massiccio;

Proporre entro fine maggio un programma di reinsediamento UE per offrire ai rifugiati con evidente bisogno di protezione internazionale in Europa 20 000 posti distribuiti su tutti gli Stati membri, grazie a un finanziamento supplementare di 50 milioni di EUR per il 2015 e il 2016;

Varare un’operazione di politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC) nel Mediterraneo volta a smantellare le reti di trafficanti e contrastare il traffico di migranti, nel rispetto del diritto internazionale.

I quattro pilastri della nuova agenda, in linea con la politica sullìimmigrazione auspicata da J.C. Juncker, Presidente della Commissione Europea, sono i seguenti:

  • Ridurre gli incentivi alla migrazione irregolare, in particolare distaccando funzionari di collegamento europei per la migrazione presso le delegazioni dell’UE nei paesi terzi strategici; modificando la base giuridica di Frontex per potenziarne il ruolo in materia di rimpatrio; varando un nuovo piano d’azione con misure volte a trasformare il traffico di migranti in un’attività ad alto rischio e basso rendimento e affrontando le cause profonde nell’ambito della cooperazione allo sviluppo e dell’assistenza umanitaria.
  • Gestire le frontiere: salvare vite umane e rendere sicure le frontiere esterne, soprattutto rafforzando il ruolo e le capacità di Frontex; contribuendo al consolidamento delle capacità dei paesi terzi di gestire le loro frontiere; intensificando, se e quando necessario, la messa in comune di alcune funzioni di guardia costiera a livello UE.
  • Onorare il dovere morale di proteggere: una politica comune europea di asilo forte. La priorità è garantire l’attuazione piena e coerente del sistema europeo comune di asilo, promuovendo su base sistematica l’identificazione e il rilevamento delle impronte digitali, con tanto di sforzi per ridurne gli abusi rafforzando le disposizioni sul paese di origine sicuro della direttiva procedure; valutando ed eventualmente riesaminando il regolamento Dublino nel 2016.
  • Una nuova politica di migrazione legale: l’obiettivo è che l’Europa, nel suo declino demografico, resti una destinazione allettante per i migranti; bisognerà quindi rimodernare e ristrutturare il sistema Carta blu, ridefinire le priorità delle nostre politiche di integrazione, aumentare al massimo i vantaggi della politica migratoria per le persone e i paesi di origine, anche rendendo meno costosi, più rapidi e più sicuri i trasferimenti delle rimesse.

Subito dopo l’esposizione delle misure previste dall’agenda sull’immigrazione, paesi come Regno Unito, Irlanda e Danimarca, noti nelle loro politiche migratorie molto rigide, si sono chiamati fuori dal quadro concreto degli aiuti e delle quote da ripartire, creando un contesto parallelo nel cuore dell’Unione. Sarà il summit dei leader europei di giugno che deciderà sulle quote e in quell’occasione verrà discussa e definita la poszione di tutti.

A richiamare alle loro responsabilità i governi dell’Unione è stata anche l’Alta rappresentante/Vicepresidente Federica Mogherini la quale ha dichiarato: “È un’agenda audace quella con cui l’Unione europea ha voluto dimostrare di essere pronta ad affrontare la situazione disperata di coloro che fuggono guerre, persecuzioni e povertà. La migrazione è responsabilità condivisa di tutti gli Stati membri e tutti gli Stati membri sono chiamati ora a raccogliere questa sfida storica. Una sfida che non è solo europea, è globale: con l’agenda confermiamo e ampliamo la cooperazione con i paesi di origine e transito per salvare vite umane, combattere le reti di trafficanti e proteggere coloro che sono nel bisogno” e ha aggiunto ” Sappiamo tutti che una risposta reale, a lungo termine sarà possibile soltanto se affrontiamo le cause profonde, che vanno dalla povertà all’instabilità dovute alle guerre, fino alla crisi in Libano e in Siria. Come Unione europea, siamo impegnati e determinati a cooperare con la comunità internazionale”.

Alla eventualità di intervenire in Libia, cuore dell’instabilità e del traffico dei migranti nel Mediterraneo, la Mogherini ha dichiarato che non ci saranno boots on the ground, ma ci si affiderà a operazioni mirate di intelligence che i governi degli stati membri dovranno condividere il più possibile.

Sabiena Stefanaj

 

Elezioni UK: vincitori, vinti e affari futuri

ECONOMIA/EUROPA/POLITICA/Varie di

“Hanging on in quite desperation is the english way – Sopravvivere in una quieta disperazione è il modo all’inglese”, così cantavano i mitici Pink Floyd nel lontano 1972, versi che descrivono alla lettera l’attuale situazione emotiva dei laburisti inglesi nel post voto popolare del 7 maggio scorso. Il Regno Unito rimane decisamente conservatore e spiazza ogni previsione di “sfida all’ultimo voto”. Hanno vinto i Tories.

Circa 11 milioni e 300 mila voti per 331 seggi su 650, ovvero 24 in più rispetto al 2010, sono una conferma piena al mandato di Cameron. Quelli che hanno determinato la vittoria dei Tories e la disfatta dei Lab sono stati i cosiddetti swing voters, ovvero coloro che cambiano schieramento politico e che decidono per temi, argomenti o vantaggi volta per volta. Nel sistema elettorale inglese uninominale questo atteggiamento è decisivo alla conta finale. In definitiva, i conservatori sono cresciuti del 0,7% e i laburisti del 1,5% rispetto al 2010, quindi chi ha deciso vincitori e sconfitti sono stati i voti raccolti dalle altre formazioni politiche “secondarie” quali UKIP con il 12,6% e soprattutto l’ SNP di Nicola Sturgeon con il loro 4,6%. I scozzessi hanno spazzato via i laburisti guadagnando 56 seggi su 59 previsti per loro in Parlamento. Il linguaggio empatico, indipendentista e molto più di sinistra dei laburisti ha premiato. Non pervenuti i lib-dem di Nick Clegg fermi a soli 8 seggi, 49 in meno rispetto al 2010, crollo clamoroso.

Come funziona il sistema elettorale inglese del “first-past-the post”?

I parlamentari britannici vengono eletti attraverso il sistema dell’uninominale maggioritario secco. I partiti si contendono 650 collegi su tutto il territorio ed in ognuno di essi a vincere, ovvero a guadagnarsi un seggio in Parlamento è il candidato che prende più voti. Gli elettori possono esprimere una sola preferenza e a governare è il partito che si è aggiudicato il maggior numero di parlamentari. Sistema imperfetto : Il candidato deve assicurarsi solo la maggioranza semplice ed è possibile quindi che la maggioranza di persone in quel collegio abbia in realtà votato anche per altri candidati. Succede che un partito che in molti collegi non arrivi primo, possa aggiudicarsi, sì un gran numero di voti, ma conquistare pochi seggi. E’ successo a UKIP proprio in questa tornata elettorale. Allo stesso modo, il partito che alla fine forma il governo potrebbe in realtà aver ricevuto meno voti del suo rivale. Ogni collegio, inoltre, è diverso, a cominciare dal numero di elettori che lo compongono: un candidato che vince in un piccolo collegio può quindi aver ottenuto molti meno voti di uno che ha invece perso in un collegio molto imponente, ad esempio i grandi centri urbani, le città. Esattamente quello che è successo ai laburisti, vincenti nelle città più importanti, ma perdendo nei centri non urbani.

I britannici votano la promessa dell’economia e il ridimensionamento del tasso di disoccupazione, mentre penalizzano la “speranza”, l’equità e l’attenzione alle classe lavoratrici, tanto proclamata dai candidati del Partito Laburista in campagna elettorale. Votano un Cameron pragmatico e penalizzano un timido Miliband, troppo impacciato, troppo serioso, troppo “senza polso”, almeno nell’immaginario mediatico rappresentato.

Votano anche un probabile futuro fuori dall’Europa?

David Cameron ha dichiarato all’indomani del voto, “Possiamo fare della Gran Bretagna un luogo dove il buon vivere è alla portata di chiunque abbia voglia di lavorare e fare le cose in modo giusto”,- e ha aggiunto, “ però, si, ci sarà un referendum sul nostro futuro in Europa”. Il Brexit, questa volontà degli inglesi di ufficializzare le distanze dal continente politico, potrebbe prendere forma nel 2017, probabile anno del referendum. Jean-Claude Juncker ha definito “non negoziabili i fondamenti dell’Unione, come la libera circolazione di persone”, punto debole fisso dei rapporti con Londra. Centro nevralgico della finanza europea, la City significa troppo per l’UE e di certo non sarà una passeggiata affrontare un eventuale ricorso per separazione. I negoziati in corso per il TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partenership) che vedono il Regno Unito protagonista saranno decisivi in questo di mediazioni tra USA e UE.

Elezioni UK: vincitori, vinti e affari futuri

Europe di

“Hanging on in quite desperation is the english way – Sopravvivere in una quieta disperazione è il modo all’inglese”, così cantavano i mitici Pink Floyd nel lontano 1972, versi che descrivono alla lettera l’attuale situazione emotiva dei laburisti inglesi nel post voto popolare del 7 maggio scorso. Il Regno Unito rimane decisamente conservatore e spiazza ogni previsione di “sfida all’ultimo voto”. Hanno vinto i Tories.

Circa 11 milioni e 300 mila voti per 331 seggi su 650, ovvero 24 in più rispetto al 2010, sono una conferma piena al mandato di Cameron. Quelli che hanno determinato la vittoria dei Tories e la disfatta dei Lab sono stati i cosiddetti swing voters, ovvero coloro che cambiano schieramento politico e che decidono per temi, argomenti o vantaggi volta per volta. Nel sistema elettorale inglese uninominale questo atteggiamento è decisivo alla conta finale. In definitiva, i conservatori sono cresciuti del 0,7% e i laburisti del 1,5% rispetto al 2010, quindi chi ha deciso vincitori e sconfitti sono stati i voti raccolti dalle altre formazioni politiche “secondarie” quali UKIP con il 12,6% e soprattutto l’ SNP di Nicola Sturgeon con il loro 4,6%. I scozzessi hanno spazzato via i laburisti guadagnando 56 seggi su 59 previsti per loro in Parlamento. Il linguaggio empatico, indipendentista e molto più di sinistra dei laburisti ha premiato. Non pervenuti i lib-dem di Nick Clegg fermi a soli 8 seggi, 49 in meno rispetto al 2010, crollo clamoroso.

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Come funziona il sistema elettorale inglese del “first-past-the post”?

I parlamentari britannici vengono eletti attraverso il sistema dell’uninominale maggioritario secco. I partiti si contendono 650 collegi su tutto il territorio ed in ognuno di essi a vincere, ovvero a guadagnarsi un seggio in Parlamento è il candidato che prende più voti. Gli elettori possono esprimere una sola preferenza e a governare è il partito che si è aggiudicato il maggior numero di parlamentari. Sistema imperfetto : Il candidato deve assicurarsi solo la maggioranza semplice ed è possibile quindi che la maggioranza di persone in quel collegio abbia in realtà votato anche per altri candidati. Succede che un partito che in molti collegi non arrivi primo, possa aggiudicarsi, sì un gran numero di voti, ma conquistare pochi seggi. E’ successo a UKIP proprio in questa tornata elettorale. Allo stesso modo, il partito che alla fine forma il governo potrebbe in realtà aver ricevuto meno voti del suo rivale. Ogni collegio, inoltre, è diverso, a cominciare dal numero di elettori che lo compongono: un candidato che vince in un piccolo collegio può quindi aver ottenuto molti meno voti di uno che ha invece perso in un collegio molto imponente, ad esempio i grandi centri urbani, le città. Esattamente quello che è successo ai laburisti, vincenti nelle città più importanti, ma perdendo nei centri non urbani.

I britannici votano la promessa dell’economia e il ridimensionamento del tasso di disoccupazione, mentre penalizzano la “speranza”, l’equità e l’attenzione alle classe lavoratrici, tanto proclamata dai candidati del Partito Laburista in campagna elettorale. Votano un Cameron pragmatico e penalizzano un timido Miliband, troppo impacciato, troppo serioso, troppo “senza polso”, almeno nell’immaginario mediatico rappresentato.

Votano anche un probabile futuro fuori dall’Europa?

David Cameron ha dichiarato all’indomani del voto, “Possiamo fare della Gran Bretagna un luogo dove il buon vivere è alla portata di chiunque abbia voglia di lavorare e fare le cose in modo giusto”,- e ha aggiunto, “ però, si, ci sarà un referendum sul nostro futuro in Europa”. Il Brexit, questa volontà degli inglesi di ufficializzare le distanze dal continente politico, potrebbe prendere forma nel 2017, probabile anno del referendum. Jean-Claude Juncker ha definito “non negoziabili i fondamenti dell’Unione, come la libera circolazione di persone”, punto debole fisso dei rapporti con Londra. Centro nevralgico della finanza europea, la City significa troppo per l’UE e di certo non sarà una passeggiata affrontare un eventuale ricorso per separazione. I negoziati in corso per il TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partenership) che vedono il Regno Unito protagonista saranno decisivi in questo di mediazioni tra USA e UE.

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Sabiena Stefanaj

Tories o Lab? Il Regno Unito all’ultimo dilemma

EUROPA/POLITICA di

Due giorni al voto per i cittadini del Regno Unito e il mistero s’infittisce. Mai come a questo giro di elezioni generali si è raggiunto tale grado di imprevedibilità. Votare o non votare Tory? Votare o non votare Labour? A proposito, ci risiamo con i testardi scozzesi!

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Quinta potenza economica mondiale, il Regno si interroga sulle priorità che la politica dovrà inserire e affrontare nella prossima agenda quinquiennale. Al civico 10 di Downing Street continuerà ad avere le chiavi il conservatore Cameron o il laburista Miliband? Una cosa è certa, sta per finire l’era del monopolio di governo anche a Londra. I due leader dovranno provvedere ad alleanze estese per poter garantire la governabilità. Quasi una “normalità” per il resto d’Europa, Germania in primis con un modello di alleanze che “funziona” e Italia con qualche “problemino” in più, ma totalmente una novità per i britannici i quali si vedono alternare i governi laburisti o conservatori dal lontano 1922. Una simile situazione era venuta a crearsi già nel 2010 con i Lib Dem di Nick Clegg, con i quali Cameron mise su la coalizione.

Sistema elettorale e composizione del Parlamento

First past the post- così è chiamato il sistema maggioritario uninominale a norma del quale il territorio del Regno Unito è diviso in 650 circoscrizioni elettorali. La suddivisione delle circoscrizioni è divisa in questo modo: 523 in Inghilterra; 59 in Scozia; 40 in Galles; 18 in Irlanda del Nord. Da ciascuna circoscrizione verrà espresso un rappresentante da mandare alla Camera dei Comuni che assieme alla Camera dei Lord, composta da membri nominati, andrà a comporre il futuro Parlamento. La maggioranza assoluta è quantificata in 326 seggi. Un numero però improbabile da raggiungere da entrambi i partiti.

David Cameron ha dalla sua il cosiddetto” establishment” anche e soprattutto per la ripresa veloce del Regno Unito nell’economia dopo il fermo imposto dalla crisi globale. Culla del capitalismo liberale, il Regno Unito ha dato un forte segnale di rilancio, ma i frutti di questa ripresa, ad oggi, si segnalano a livello macro, la classe media deve ancora attendere le future buste paga per poterla verificare su di se.

Ed Miliband, dopo aver vinto al fratello David la leadership del Partito Laburista, Ed “il nerd” o Ed “il rosso” per i conservatori, sta guadagnando punti nei sondaggi in maniera decisiva e costante. Partito sfavorito all’inizio della campagna elettorale, ha saputo giocare molto sull’immagine, puntando all’autoironia, valore aggiunto come sempre nell’animo inglese.

I Lib Dem di Nick Clegg, voto di protesta nel 2010, oggi hanno perso la loro genuinità e vengono visti come parte del sistema. Lo Ukip di Nigel Farage, dopo l’exploit delle elezioni europee di un anno fa rimane l’anima indomata del panorama politico britanico, ma la sua portata antieuropeista e populista non si prevede possa essere determinante il 7 maggio prossimo. Infine troviamo  verdi che, con l’aiuto delle spinte da sinistra, puntano a qualche seggio.

Chi confonde le acque di tories e lab è l’SNP, il Partito Nazionale Scozzese con a capo il Primo Ministro donna, Nicola Sturgeon. Dopo aver perso il referendum sull’indipendenza della Scozia dal Regno Unito a settembre 2014 la popolarità della Sturgeon non è che aumentata. Una ventata di parole “di sinistra” e di grinta che fanno  la differenza. Escludendo ogni punto d’incontro con Cameron, si presume che l’SNP possa coalizzarsi con i laburisti di Miliband in caso di vittoria di questi, ma solo due giorni fa, lo stesso Miliband ha negato questa possibilità. Partendo dal presupposto che nessuno dei leader ha mai parlato o reso esplicite le possibili alleanze, pare inverosimile la chiusura totale della possibilità di alleanze tra questi due partiti.

Battaglia di seggi, battaglia di news. Lo schieramento dei grandi quotidiani, The Guardian e Financial Times in testa, rispettivamente per i laburisti e i conservatori è altrettanto un aspetto fondamentale. Il potere mediatico anglosassone determina più di una manciata di voti e si svolge ad altissimi livelli. Una copertura invidiabile dell’argomento su tutti i fronti, la City della finanza, le città operaie, le periferie del Regno vengono battute come in un trekking mainstream delle intenzioni di voto.

In sintonia con le ventate dal basso nel mondo occidentale, anche nel Regno Unito si continua ad auspicare una politica inclusiva con pressioni dal basso e sopratutto dai “giovani disillusi”, vedendo in questi il veicolo tramite il quale attingere a una nuova politica, più vera, più reale, più tangibile, fuori dall’establishment.

Europa: Should I stay or should I go?

Pochissima Europa in questa campagna elettorale da tutte le forze politiche coinvolte. David Cameron, in caso di vittoria indirà un referendum se rimanere o meno nell’UE. Miliband non lo farà. Stranota la posizione dell’UKIP, altre invece sono le priorità del SNP. Non è un mistero lo scetticismo britannico nei confronti dell’Europa unita, ma in caso di vittoria di Cameron e di eventuale uscita del Regno Unito dall’UE a indebolirsi sarà quest’ultima,  in caso contrario con presumibile rafforzamento del SNP a dover fare i conti con l’indebolimento interno sarà lo stesso Regno Unito.

Appuntamento, il 7 maggio dalle 7.00, Greenwich Mean Time.

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Sabiena Stefanaj

Cell terror in Italy desintegrated

BreakingNews @en/Europe di

Due to a 10-year investigation which had began following a probe into illegal immigration, italian counter-terror police arrested 18 people Friday, suspected of links with Al Qaida. A terror cell that was organizing a bomb plot against the Vatican, investigators said.

The arrested are afghan and pakistani nationals, including Osama Bin Laden’s bodyguards and a spiritual leader of a minor muslim community in Sardinia.

By all of the arrested there are also some suspected of involvment in the October 2009 bombing of the Meena Bazaar in Peshawar, Pakistan, that caused the death of 100 people and more than 200 injured.

Those arrested are also suspected to be involved in a fall down design of the Pakistani government, police said.

Italian prosecutor Mauro Mura stated in a press conference in Cagliari (Sardinia) that the terror suspected, were planning an attac at the Vatican in 2010, and a suicide bomber had arranged to land in Rome. Matter of fact, the plot went no further and the suicide bomber left Italy without explication, prosecutor Mura said.

The authorities told that this operation has included the investigation on 7 italian provinces “targeting an alleged organisation dedicated to transnational criminal activities inspired by al-Qaida and other radical organisations pursuing armed struggle against the west and insurrection against the current government of Pakistan”.

Recordings indicate that the involved used to talk “ironically” about the pope, Benedict XVI and were trying to rise  jihad in the whole Italy. An unidentified imam who used to perform in Brescia and Bergamo, northern Italy, is believed to be another key leader of the terror cell.

“There was evidence that the 2009 Peshawar attack was substantially planned and financed from Olbia, Sardinia, and that Italy-based militants had taken part in it”, Mario Carta, an officer in the anti-terrorism unit behind the investigation, said.

Another weighty aspect of the terror cell involvement is the international funds deliver in Pakistan from Italy, avoiding the italian currency controls, as once happened when € 55258,00 were sent on a flight from Rome to Islamabad.

“From what it appears, this concerns a hypothesis that dates from 2010 which didn’t occur,” Federico Lombardi, the Vatican spokesman, said in a statement. “It has therefore no relevance today and no reason for particular concern.”

Back in the day, Pope Benedict XVI was facing resentment due to a 2006 speech when he only paraphrased a Byzantine emperor who characterised some of the teachings of the prophet Muhammad as “evil and inhuman”.

The Charlie Hebdoe’s offices terror attac and the ones at a Copenhagen’s speech debate and at a cafe in Sydney had raised a heavy climate all across Europe and counter terror police operations are becoming much more persevering in these days.

Europa e migranti all’ultima spiaggia

EUROPA di

“Senza speranza non è la realtà, ma il sapere che, nel simbolo fantastico o matematico, si appropria della realtà e così la perpetua” – da “Dialettica dell’Illuminismo”, T. Adorno-M. Horkheimer.

Di Chi parliamo quando parliamo di questi morti? Di Cosa parliamo quando parliamo di frontiere? Che fare? Come farlo?

Un mare di morti e di domande nei quali affoghiamo parole, sensi di colpa, fascismi latenti, xenofobie, xenofilie, valori laici o cristiani, realpolitik, analisi e cattedre che si scornano negli editoriali, emoticon con lacrimuccia nei commenti social, etc.

CHI? – Piu di 1000 morti in una settimana nel nostro Mediterraneo, il numero rimane impreciso. Impreciso perché, oggi, quelle persone sono un “dato tragico”. Sono circa vent’anni di sbarchi e più di 20mila morti nel tentativo di raggiungere le frontiere europee. Questo non basterà mai a fermare chi non ha nulla da perdere. “Dalle coste libiche sono pronti a partire circa 1milione di migranti”, sostiene oggi l’ONU, “ prevalentemente profughi siriani, i quali dovranno essere accolti in Europa nei prossimi 5 anni”. A fronte anche degli esibizionisti che giocano con certi istinti primari di sopravvivenza delle masse, modello Katie Hopkins nel Regno Unito, viene da riprendere le parole del Presidente della Croce Rossa Italiana: “Dove sono finiti gli appelli tipo Bring Back Our Girls?”, ha detto durante la conferenza stampa tenutasi ieri, a Catania, dove si accoglievano i 28 superstiti della strage del Canale di Sicilia. “Che senso hanno oggi gli appelli quando tocca salvare persone che fuggono da situazioni insostenibili come quelle?!”.

Frontiere – Si continua a parlare di “emergenza” sbarchi da anni, il che va a costituire un ossimoro data la costanza del fenomeno. Non si tratta più di emergenza, ma di flussi migratori stimati ogni anno. Un continente di persone che si muove in continuazione. Nel Mediterraneo si è cercato di far fronte a queste situazioni prima con Mare Nostrum e in seguito con Triton. Ma quali sono le differenze tra le due missioni che oggi si mettono a confronto?

Mare Nostrum era l’operazione italiana avviata il 18 ottobre 2013 all’indomani della strage di Lampedusa del 3 ottobre nella quale naufragarono 366 persone. La missione italiana vedeva impegnati Marina Militare, Guardia Costiera, Aeronautica, Guardia di Finanza. In particolare, la Marina partecipava con una nave anfibia (dotata di capacità ospedaliere e grandi spazi per accogliere i naufraghi), 2 corvette, 2 pattugliatori, due elicotteri, 3 aerei. Le navi d’altura si potevano spingere fino a ridosso delle coste libiche per soccorrere. Mare Nostrum si è conclusa il 31 ottobre 2014, accompagnando Triton fino alla fine dell’anno.

I numeri: 160mila persone soccorse; 366 scafisti consegnati alla giustizia; costo: 9,5milioni di euro al mese;

Triton è ufficialmente partita il 1 novembre 2014 ed è una missione europea, non più italiana. Dispiegata da Frontex, l’Agenzia Europea delle Frontiere, il suo mandato non è più soccorrere, ma operare il controllo delle frontiere, che è la mission istituzionale dell’Agenzia. Anche se, in caso di necessità, si operano interventi di ricerca e soccorso (Sar), per rispondere al suo mandato, le navi di Frontex si mantengono in un’area entro 30 miglia dalle coste italiane, senza spingersi a Sud verso le coste libiche, come accadeva con i pattugliamenti di Mare Nostrum. Il budget mensile è di 2,9 milioni di euro, molto inferiore a Mare Nostrum, ma i mezzi impiegati sono due aerei, un elicottero, tre navi d’altura, quattro motovedette. A oggi, Triton ha salvato 6000 migranti.

Il conto non è matematicamente ostico da fare e sono comprensibili le polemiche sorte già da qualche mese e prevedibile la proposta del Primo Ministro Renzi di “ raddoppiare Triton”.

Che fare? Come farlo? – Lunedì, 20 aprile, la Commissione dell’UE si è accordata con i Ministri degli Esteri e degli Interni dell’Unione su dieci punti d’azione per far fronte al traffico di migranti via mare. Un azione prettamente di contrasto articolata come segue:

 1. L’Unione europea rafforzerà le operazioni di pattugliamento marittimo nel Mediterraneo, chiamateTritonPoseidon, con un aumento dei fondi e delle risorse. L’Ue estenderà inoltre il proprio raggio d’azione per pattugliare una più ampia area del Mediterraneo;  L’Ue farà “uno sforzo sistematico per confiscare e distruggere le imbarcazioni usate dai trafficanti”, utilizzando come modello l’operazione dell’Unione europea Atalanta contro la pirateria, in corso al largo delle coste della Somalia. 3. Le agenzie dell’Unione europea l’Ufficio europeo di polizia (Europol), l’Agenzia europea per la gestione delle frontiere esterne degli Stati membri (Frontex), l’Unità europea che si occupa della cooperazione tra autorità nazionali nella lotta contro la criminalità (Eurojust) e l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (Easo) si incontreranno regolarmente per raccogliere informazioni sul modus operandi dei trafficanti, tracciare i loro fondi e agevolare le indagini sulle loro attività; 4. L’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (Easo) dispiegherà squadre operative in Italia e in Grecia per l’elaborazione congiunta delle procedure per la concessione d’asilo; 5. I governi degli stati membri prenderanno le impronte digitali di tutti i migranti; 6. L’Unione europea considererà opzioni per “un meccanismo di ricollocazione d’emergenza per migranti; 7. La Commissione europea lancerà un progetto volontario pilota sul reinsediamento dei rifugiati nell’Unione europea; 8. L’Unione europea istituirà un nuovo programma per il rapido rimpatrio dei migranti “irregolari”, coordinato dall’agenzia dell’Ue Frontex; 9. L’Unione europea si impegnerà con i Paesi confinanti e la Libia attraverso uno sforzo congiunto della Commissione e del Servizio europeo per l’azione esterna; 10. L’Unione europea dispiegherà funzionari di collegamento dell’immigrazione all’estero per raccogliere informazioni di intelligence sui flussi migratori e per rafforzare il ruolo delle delegazioni dell’Unione.

Il piano accordato ha suscitato considerazioni delle più disparate nel mondo politico e mediatico: dal Ministro dell’Interno italiano, Alfano che sostiene l’eventualità  di “ bombardare i barconi” e ancora “se l’ONU ce lo dice, andremo in guerra in Libia” alle proteste infuocate dei sindaci che chiedono “piu risorse per la ricollocazione dei profughi in arrivo”. Matteo Renzi, ha chiesto a Donald Tusk, Presidente del Consiglio Europeo una sessione straordinaria per discutere le misure da intraprendere e che oggi dovrà esporre la posizione dell’Italia, la più unitaria possibile.

In conclusione, c’’è chi da giorni sproloquia su eventuali “blocchi navali”, ignorandone il funzionamento pratico molto particolare.  Cosa si rischia nell’attuarlo in caso di navi stracolmi di migranti lo si potrebbe spiegare con un esempio facile-facile: il 28 marzo 1997, quando migravano gli albanesi, una motovedetta stracarica di uomini,donne e bambini fu speronata da una corvetta della Marina Militare, la Sibilla, in un tentativo di harassment (misure cinematiche di disturbo). Risultato: 81 morti e 27 i dispersi a tutt’oggi nel Canale d’Otranto.

Non solo, ma Santanchè e Salvini, i più “attivi” in questi giorni, dimenticano (?) che per i fatti avvenuti tra il 2008 e i 2011, quando governavano i rispettivi partiti e quando con Gheddaffi ci si accordava, l’Italia è stata condannata da Strasburgo per respingimenti illegittimi verso la Libia.

Più ripasso del Diritto Internazionale Marittimo, della Carta dei Diritti dell’Uomo e meno partite a Risiko per chi alza il tiro della polemica sterile

Occhi sull’Albania…coi piedi per terra

EUROPA di

Un paese come l’Albania capita di vederlo in modalità “ruota panoramica”. A ogni latitudine l’angolatura della visuale cambia, a momenti si allarga, a tratti si restringe fino a quasi toccare terra e si riprende da capo. Ogni centimetro di altezza, di curvatura offre all’occhio mille piccoli mondi che si ripetono a ogni giro. Come su una ruota, per l’appunto, passata l’euforia iniziale, lo stupore e la curiosità, arriva il momento di tornare coi piedi per terra.

E’ la sensazione che si prova quando si punta l’occhio sulla situazione politica e sociale del paese. Una geografia delle attitudini alla vita stracolma di varietà.

Quel che cattura l’attenzione negli ultimi tempi è un mix di elezioni amministrative alle porte, previste per il 21 giugno prossimo, le trattative in corso sul processo d’integrazione europea e i problemi interni, che poi sono i problemi veri, quelli che non si possono ne delegare, ne trascurare, ne oscurare.

 

Elezioni amministrative 2015

Previste per il 21 giugno prossimo costituiscono un test fondamentale per la stabilità politica del paese. Come a ogni girone elettorale nell’era pluralista, sono l’esame da passare agli occhi del mondo che osserva. Puntualmente, quel che si realizza è una ferocia guerra delle posizioni. La coalizione di centro-sinistra tra il Partito Socialista del Premier Edi Rama con l’LSI (Movimento Socialista per l’Integrazione) del Capo del Parlamento Ilir Meta deve vedersela con la storica coalizione di centrodestra capitanata dal Partito Democratico. Le rispettive alleanze hanno già espresso i candidati sindaci anche per le circoscrizioni più rilevanti. A breve dovrebbero rivelare anche i nomi più attesi, i candidati per il Comune di Tirana.

 

Solleciti dall’UE

A tal proposito giunge tempestiva la postilla dei parlamentari europei che rimettono l’accento su alcuni punti salienti in merito al processo d’integrazione europea dell’Albania.

Con 51 voti a favore, 3 contrari e 4 astenuti, la Commissione Esteri del Parlamento Europeo ha votato su una proposta di risoluzione, approvandola con larga maggioranza.

“ Una collaborazione efficace tra i partiti politici in Albania è indispensabile per permettere che la democrazia, la società e l’economia siano sviluppate in modo sostenibile”, si legge nel testo approvato.

A fronte di 192 emendamenti, l’approvazione della risoluzione va a mettere il dito su un aspetto tangibile e acuto della politica albanese, la polarizzazione della politica nel paese che rischia di “compromettere ulteriori sforzi nel processo d’integrazione”. I deputati europei sollecitano la realizzazione delle condizioni poste all’Albania per poter andare avanti, ovvero la riforma della Pubblica Amministrazione; la lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata; il rafforzamento del sistema giudiziario; la tutela dei diritti umani. Non da ultimo, l’appunto sul pluralismo e l’indipendenza del neo-potere mediatico, il quale abbraccia le emittenti pubbliche e private.

La risoluzione dovrebbe essere definitivamente approvata a fine aprile in occasione della seduta plenaria del Parlamento Europeo.

 

Le parole chiave

Si evince che “Lotta alla Corruzione e al crimine organizzato”, Politica e Giustizia costituiscono i capitoli dove dovrebbe trovare svolgimento il tema sulla situazione attuale albanese. Parole chiave che uniscono partiti politici e società civile, ma fino a che punto?

Il mondo politico albanese è stato trascinato negli ultimi mesi in un altro scandalo che si è rivelato un boomerang per tanti. Dopo l’arresto del Governatore della Banca Nazionale, Fullani, che ormai risale all’estate scorsa, l’ultimo giro di vite nella politica albanese lo ha sollevato il deputato socialista Tom Doshi. Questi ha dichiarato di essere a conoscenza di prove che dovrebbero incriminare il Presidente della Camera dei Deputati, Ilir Meta con l’accusa di aver commissionato l’omicidio dello stesso Doshi. Il depuato socialista ha dichiarato anche che l’attentatore, tal Durim Bami “non se l’è sentita di farlo fuori e glielo ha confessato”, mentre veniva registrato. Doshi ha quindi portato a conoscenza del Premier Rama, del Ministro dell’Interno Saimir Tahiri e l’allora Capo della Polizia, Artan Didi, il video in questione. Anche lo stesso Meta ha potuto assistere alla proiezione dei questo video.

La vicenda ha travolto la politica albanese e l’opinione pubblica. Il deputato Doshi è stato espulso dal Partito Socialista su richiesta espressa del Premier, nonostante il noto rapporto di amicizia tra i due.

Una vicenda inquietante, tutta da verificare, per la quale è stata avviata inchiesta della Magistratura. Vicenda degna di un romanzo di Ellroy, con protagonisti veri e un’audience di circa tre milioni di cittadini albanesi che attendono chiarezza.

In questo scenario di grande fermento, si delinea il profilo dell’Albania lanciata verso il futuro. Un paese che comincia a ottenere visibilità nei media internazionali, soprattutto quelli italiani, dove viene descritta con toni euforici. Molto spesso, però si dimentica che si sta descrivendo Tirana, la capitale dei grandi cambiamenti e non il resto del paese. Si ritorna a parlare dell’Albania delle opportunità, nuova frontiera per chi vuole investire, dimenticando che i primi a investire nei rocamboleschi anni ’90 furono  imprese soprattutto italiane, alcune delle quali sparirono nel nulla in pochi anni. I tempi sono cambiati, USA e UE tengono il punto, Edi Rama piace a tv e stampa, gira il mondo in cerca di investimenti esteri “perché in Albania ci sono buone possibilità”, un moto che si sente in Occidente e in Oriente. Tutto bene fino a quando non si pensa ad alcune peculiarità del mondo del lavoro in Albania, anche la “trascurabile” assenza dei sindacati. Scommettiamo che a qualcuno potrebbe far gola? E scommettiamo che questo qualcuno non sia la medicina che serve al piccolo paese dalle grandi possibilità?

European Affairs continuerà a monitorare l’area dei Balcani e l’Albania in particolare, perché crediamo che la stabilità del paese possa e debba essere uno snodo importante anche per il futuro politico dell’UE. D’altronde, cruciale questa parte del mondo, lo è sempre stata.

 

Sabiena Stafanaij

Sabiena Stefanaj
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