“GIG ECONOMY” COME NUOVO CAPORALATO DIGITALE

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Il 31% dei lavoratori  mpiegati nella gig economy non ha un contratto, a possederlo è solo l’11%. L’Unione Europea ha da poco approvato una direttiva tesa a regolamentare questa nuova forma di lavoro.

L’avvento del digitale ha portato con sé grandi trasformazioni radicai nell’organizzazione del lavoro. Ne è un esempio la così detta “gig economy”. Ma nello specifico cos’è questa gig economy? Stando alla definizione della Treccani la gig economy è: “un modello economico basato sul lavoro a chiamata, occasionale e temporaneo, e non sulle prestazioni lavorative stabili e continuative, caratterizzate da maggiori garanzie contrattuali”. Stando a questa spiegazione questa tipologia di lavoro sembrerebbe rimandare a quelle classiche occupazioni che intraprendono gli studenti durante il proprio tempo libero.

Ma è realmente così? No, non è né un lavoro da tempo libero né un lavoro per arrotondare. Stando a un’indagine condotta dall’INAPP, infatti, il guadagno che 4 persone su 5 ricavano da questo impiego è una fonte di sussistenza essenziale per vivere.

Tuttavia, se volessimo guardare il bicchiere mezzo pieno, potremmo dire che l’avvento di questo modello economico digitale ha portato grandissimi benefici perché è riuscito a diventare fonte di occupazione e, dunque, di dignità per tantissime persone. I numeri infatti ci dicono che, solo in Italia, a lavorare grazie alle piattaforme digitali sono in centinaia di migliaia. Purtroppo “niente è come sembra anche se il sembra a volte è bellissimo”. Perché? Perché di tutte queste centinaia di uomini e donne solo l’11 % ha un contratto da lavoratore dipendente e il 31 % non ha nessun tipo di contratto. Questi cifre dovrebbero metterci  tutti sull’attenti e farci indignare perché ciò che ho scritto in queste ultime righe potrebbe essere parafrasato tranquillamente dalla definizione di caporalato che dà la Tre cani: “Forma illegale di reclutamento e organizzazione della mano d’opera, attraverso intermediarî (caporali) che assumono, per conto dell’imprenditore e percependo una tangente, operai giornalieri, al di fuori dei normali canali di collocamento e senza rispettare le tariffe contrattuali sui minimi salariali”. Quindi per rigore logico si potrebbe dire che in moltissimi casi” gig economy” sia sinonimo di caporalato ma non classico bensì digitale.

Tuttavia, in questo buio, sembrerebbe scorgersi la luce di un faro lontano. Parlo del faro dell’Unione Europea che recentemente, grazie ad una direttiva approvata dalla Commissione e all’esame del Parlamento, ha stabilito che tutti i lavoratori della gig economy, a livello giuridico, debbano essere considerati subordinati. Tutto il contrario di quanto afferma la normativa italiana, secondo la quale questo tipo di impiego è incasellato nella forma contrattuale del lavoro autonomo.

Quindi, qualora il parlamento europeo approvasse questa direttiva, donerebbe a milioni di cittadini europei e non solo italiani la dignità e quindi tutte le garanzie salariali di cui qualsiasi individuo ha il diritto di usufruire. Regalerebbe a una larga parte del popolo di Europa il diritto al poter stare male, al giusto compenso, al giusto orario di lavoro e alla sicurezza. Insomma, permetterebbe a queste milioni di persone di lavorare per i propri bisogni e non solo per  il capitale e quindi il  solo profitto altrui, condizione che fino ad adesso gli era stata negata.

Bookreporter Settembre

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