Non solo in rete, ma anche nel quotidiano dovremmo imparare a difenderci. Precisiamo immediatamente che per la redazione di questo articolo non sono stati violati i dati personali di nessuno.
L’immagine è una delle tantissime reperibili in rete che pubblicizza gli adesivi con cui si porta a conoscenza dell’intera umanità la composizione di un nucleo familiare, animali compresi. Ma ci rendiamo conto veramente di quali sono i rischi? Da che corriamo e che facciamo correre alle persone che più dovremmo proteggere?
Iniziamo prendendo lo spunto da una notizia di cronaca: una banda fortunatamente sgominata si era specializzata nell’individuare auto di lusso fiori da locali, teatri, parcheggi a pagamento. Con una semplice telefonata indicando la targa e pagando con una PostePay, ottenevano il nome del proprietario e, ovviamente l’indirizzo. Tutti gli elementi per avere almeno due ore, se non di più, per svaligiare appartamenti che bastava accertarsi fossero vuoti.
Guardando la nostra foto del titolo adesso proviamo a descrivere una non improbabile trama. Anzi, proviamo due? E troppe ne potrebbe creare la fantasia di uno sceneggiatore o di un ladro.
Scena uno: “Ciao Lara, sono un amico di papà Marco e mamma Lea, loro sono al giardino e ci aspettano con il tuo fratellino Paolo e Zoe. Prendiamo un gelato prima di andare?” Già avete indovinato chi potrebbe essere l’assassino?
Scena due: “Signora Giovanna, sono Giuseppe, un amico di suo figlio Marco. Mi ha chiamato perché sa che oggi non lavoro e né lui né la moglie Lea possono lasciare l’ufficio. Suo nipote Paolo ha avuto un piccolo incidente, ma niente di grave, è al pronto soccorso dell’ospedale di Vigata (lontano da casa della nonna), e mi hanno chiesto di portargli 300,00 euro per pagare l’ambulanza. Mi hanno detto di chiederli a lei. Posso passare velocemente sotto casa vostra? Così faccio anche una carezza a Zoe, la cagnolina che conosco benissimo. Faccia stare tranquilla Lara all’asilo, il fratellino sta benissimo.”
E’ già successo, non pensiamo che molti nonni siano scafati al punto giusto o abbiano il buon senso di telefonare ai loro figli che, peraltro, proprio in quel momento realmente non possono rispondere o lasciare il posto di lavoro.
Non possiamo invocare il nostro diritto alla privacy se siamo noi stessi i primi responsabili nel mettere a disposizione di tutti i nostri dati, e non parliamo di quelli che, presi dalle mode del momento, lanciamo in rete senza essere assolutamente consapevoli di ciò che stiamo facendo.
E quando si parla di dati in rete, non ci limitiamo solo alle decine di fotografie, immagini di scuole frequentate dai figli, portoni di abitazioni dove viviamo, la macchina nuova e tutto ciò che ci passa in mente. Questo fenomeno lo potremmo combattere, con l’attenzione e il rispetto della nostra sicurezza; ma la cosa importante è apparire, condividere, farsi vedere, avere followers. L’esatto contrario di ciò che viceversa servirebbe a tutelare la privacy, invocata e mai difesa.
In rete noi mettiamo i dati della navigazione sul nostro cellulare o sul computer, che possono dire a chi gestisce gli algoritmi di profilazione se preferiamo la carne o il pesce, o i siti di quali partiti e movimenti visitiamo più spesso, per farci avere maggiori informazioni o dati nel momento delle elezioni. E limitiamoci a fare un breve accenno alla pubblicità, alle società di marketing, di studio dei comportamenti del consumatore.
La nuova normativa europea sulla privacy, il cosiddetto GDPR, dovrebbe essere un freno e un limite alle loro attività, obbligandole a una maggiore diligenza e cura nella protezione dei dati in loro possesso, dato che l’impalcatura del sistema ruoterebbe intorno alla figura dell’”Interessato”, vale a dire il legittimo proprietario dei dati. Ma è inutile tutto inutile perché, con un semplice click sul mouse o toccando la tastiera dello smartphone, si accetta di proseguire la navigazione su un sito e, contemporaneamente, prestiamo il consenso a devine di forme indiscriminate di trattamento dati. Non ci si crederebbe, invece basterebbe soffermarsi una volta a leggere le presunte informative che troviamo sui siti per scoprire che non solo non sono conformi a quanto previsto dalle vigenti normative, ma che con quel semplice click diamo l’autorizzazione anche ai trattamenti più invasivi quali,. Appunto, la profilazione dei dati, ma anche la cessione ad aziende situate ovunque, senza più possibilità di recupero del dato e neppure poterlo controllare.
Tropo spesso sentiamo dire che “siamo controllati”; “tanto se vogliono sanno già tutto”; “la privacy non esiste”. Frasi fatte che denotano solo la mancanza della cultura di protezione del dato, e della nostra stessa sicurezza.
Purtroppo come sempre avviene, ed anche questa è frase fatta e luogo comune, ce ne accorgiamo solo quando è troppo tardi. Vale a dire per le aziende quando artrivrà una sanzione da parte del Garante; per le persone normali quando i loro dati saranno utilizzati per perpetrare a loro danno una truffa. Sperando che si limitino solo a quella.
Il dato che, in questi contesti e nelle situazioni sopra delineate, sembra passare in secondo piano, è che gli autori di reati, anche gravi, trovano il complice ideale, vale a dire il basista, nella loro stessa vittima, che gli mette in mano tutte le possibili informazioni per lavorare a colpo sicuro.