Nel corso degli ultimi quattro anni, il Burkina Faso è stato interessato da un notevole aumento di attività terroristiche da parte dei movimenti jihadisti regionali e nazionali. I gruppi terroristici trovano il loro maggior centro operativo nella regione del Sahel (“bordo del deserto”), nel nord-est del Paese, dove l’Isis, sconfitto in Iraq e in Siria, ha costruito la sua nuova roccaforte.
L’anno che funge da spartiacque nella storia del fenomeno jihadista in Burkina Faso è il 2014: l’anno del colpo di Stato che rovesciò il Presidente Blaise Compaorè. Infatti, prima di questa data, nonostante la netta preminenza islamica, il Paese africano è stato tradizionalmente immune dalla violenza jihadista in virtù del pluralismo religioso che caratterizzava l’assetto politico e sociale. Dopo il 2014, tuttavia, la complessa transizione politica seguita al colpo di stato, ha notevolmente indebolito l’assetto istituzionale del paese e le già precarie capacità di controllo del territorio, favorendo l’avanzata dei gruppi terroristici nella regione.
Da qui in poi, numerosi sono stati gli attacchi ai membri della comunità cristiana in Burkina Faso e gli attentati nella capitale Ouagadougou sono divenuti sempre più feroci e capillari. Nel gennaio 2016, nell’agosto 2017, nel marzo 2018 e nel giugno 2019, i gruppi jihadisti hanno preso d’assalto obiettivi istituzionali e militari sia nazionali che stranieri (si ricorda l’attacco all’ambasciata francese nel 2018), ma anche civili, come dimostrano gli attacchi a ristoranti ed alberghi notoriamente frequentati da cittadini di origine europea ed asiatica.
È quindi chiaro che il Burkina, come Mauritania, Niger, Mali e Chad, si è ormai trasformato nel centro delle operazioni del Gruppo per la Salvaguardia dell’Islam e dei Musulmani (GSIM), il cartello jihadista nato nel 2017 e che riunisce numerosi gruppi armati salafiti attivi nella regione, tra cui: la brigata sahariana di al-Qaeda nel Maghreb islamico (AQMI), il Fronte di Liberazione di Macina (FLM), ma soprattutto Ansarul Islam. Quest’ultimo è infatti un movimento jihadista nato nel proprio in Burkina Faso nel 2016 ad opera del predicatore Malam Ibrahim Dicko, che mira a trasformare il paese in un emirato governato attraverso un’interpretazione estremista della Shari’a (Legge Islamica). Il gruppo mira quindi a sovvertire l’attuale ordinamento burkinabè portando avanti dure critiche nei confronti delle istituzioni statali, descrivendole come poteri usurpatori che gestiscono la cosa pubblica alimentando il nepotismo e la discriminazione. La loro propaganda ben attecchisce nelle sezioni più povere ed emarginate della società che sono portate a ritenere il gruppo un interlocutore legittimo e, di conseguenza, ad arruolarsi prestando supporto alla causa jihadista. Il recente fenomeno della crescita delle attività terroristiche in Burkina Faso è però legato anche ad altri fattori, in particolare alla deposizione dell’ex presidente Compaorè. Alcune fonti interne ritengono che l’immunità del paese dal fenomeno del terrorismo jihadista era garantita da accordi informali conclusi tra il Presidente ed i miliziani, che in cambio di denaro e della possibilità di stanziarsi nel nord del Paese, si astenevano dal compiere attacchi. Nel 2014, il venir meno di Compaorè dalla scena politica ha portato al decadimento degli accordi e all’avvio di nuovi finanziamenti ai gruppi terroristici da parte dei lealisti dell’ex Presidente, con l’intento di indebolire la nuova leadership. La crescita del fenomeno terroristico degli ultimi anni è però anche legata a doppio filo alla generale instabilità del contesto regionale in lui il Burkina Faso si colloca, dovuta soprattutto alla presenza di una fitta rete jihadista nelle nazioni confinanti.
La ricerca delle modalità volte a contrastare il terrorismo in Burkina Faso deve quindi avere uno sguardo onnicomprensivo, che sappia intervenire in maniera trasversale nel continente africano. A tal fine, nel 2014 è nata la G5 Sahel Joint Force, una missione militare formata dalle forze armate di Burkina Faso, Mali, Mauritania, Niger e Chad, con il supporto dell’Unione Africana, dell’Onu e di alcuni Paesi come Francia, Italia e Stati Uniti. L’obiettivo è il coordinamento tra questi Paesi a livello regionale soprattutto nell’ambito della difesa, della messa in sicurezza dei confini e della lotta al terrorismo. Al G5 si affiancano diverse missioni volte alla neutralizzazione del fenomeno jihadista, quali: l’Opération Barkhane francese, la missione ONU MINUSMA (United Nations Multidimensional Integrated Stabilization Mission in Mali) e la missione europea EUCAP SAHEL MALI, estesa al territorio del Burkina Faso. A causa della complessità del fenomeno, una efficace attività di contrasto all’avanzata jihadista non può però esaurirsi in missioni internazionali, ma deve operare all’interno delle nazioni stesse, promuovendo inclusività sociale e governance efficienti con l’obiettivo di ricostruire un filo diretto nel rapporto tra le istituzioni nazionali e la società civile.