Onu: le ragioni dell’impegno cinese nella promozione della sicurezza interna all’Unione Africana

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Rafforzare la cooperazione tra l’Onu e le organizzazioni regionali e sud-regionali”, è stato questo il tema del discorso tenuto dal ministro degli Esteri cinese Wang Yi in occasione della seduta del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, tenutasi il 19 aprile scorso.

Con queste parole, il ministro di Pechino intendeva far riferimento, principalmente, all’Unione Africana (UA), l’organizzazione internazionale cui fanno parte tutti gli Stati africani, e con cui la Cina, alla fine del 2020, ha concluso un importante accordo di cooperazione.

Nel corso del suo intervento, Wan Yi ha ricordato che quest’anno – precisamente il 27 ottobre prossimo – ricorrerà il 50esimo anniversario del ripristino del seggio del governo di Pechino in seno all’Onu e che, in tale arco temporale, la Cina ha sempre partecipato positivamente all’azione dell’organizzazione, contribuendo e sostenendo gli sforzi regionali e sub-regionali, anche attraverso il Fondo delle Nazioni Unite per la pace e lo sviluppo. Inoltre, citando il partenariato strategico concluso con l’Unione africana, il ministro ha ribadito l’impegno di Pechino nella promozione dell’Agenda 2063 dell’UA e dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile.

Con queste premesse, e nell’intento di stabilizzare i conflitti interni al contenente africano, migliorando, al contempo, le capacità di lotta al terrorismo dell’UA, Wang Yi ha esortato le Nazioni Unite ad assistere l’organizzazione nella creazione di un esercito permanente, e ad affiancare le operazioni di peacekeeping poste in campo dall’Unione africana in chiave antiterrorismo o di stabilizzazione delle zone di conflitto.

La strategia cinese

Per meglio comprendere l’interesse cinese nella promozione della sicurezza interna al continente africano, ed il significato dell’iniziativa del ministro degli Esteri Wang Yi al Consiglio di Sicurezza Onu, occorre tenere presente che, negli ultimi anni, la Repubblica Popolare Cinese ha fortemente investito nei rapporti con i paesi in via di sviluppo, ampliando notevolmente il suo raggio d’azione in Africa in termini di investimenti, aiuti allo sviluppo e diplomazia culturale. Di ciò, è prova la coincidenza temporale tra la pubblicazione da parte di Pechino del libro bianco ad hoc sugli aiuti all’estero e i viaggi in Africa e Sud-Est asiatico svolti dal ministro degli Esteri Wang Yi.

Oggi la Cina si configura come il maggior partner commerciale ed investitore dell’Africa.

Con l’obiettivo di accrescere la sua influenza economica e politica sulla sponda meridionale del Mar Mediterraneo, la diplomazia cinese ha seguito, negli ultimi anni, il famoso invito al go out (la Go Out policy), una serie di misure promosse dal Governo di Pechino per promuovere gli investimenti esteri degli imprenditori cinesi, inquadrando poi i suoi sforzi nella cornice narrativa della nota Belt and Road Initiative (BRI, o Nuove Vie della Seta), cui hanno aderito, in totale, 44 Paesi africani, che rappresentano 1/3 dei firmatari totali.  

Origine dei rapporti sino-africani

Tappa fondamentale per comprendere il “grande balzo” del Dragone in terra africana è il mese di ottobre del 2000, data di istituzione del primo Forum sulla cooperazione Cina-Africa (FOCAC), step cruciale nell’evoluzione dei rapporti economici – e quindi in cui certo senso politici – tra Cina ed Africa. In occasione di quel primo forum FOCAC– poi organizzato con cadenza triennale – venne elaborato un documento in 10 punti in cui si stabilivano gli ambiti e gli aspetti fondamentali delle nuove relazioni sino-africane. Presto il FOCAC, da tavola rotonda per rafforzare le relazioni sino-africane secondo una logica di cooperazione win-win, è diventato l’occasione per Pechino di annunciare massicci piani di finanziamento, confermando il proprio ruolo e la propria influenza nel continente.

Dal primo meeting FOCAC, le relazioni economiche e non tra i due Paesi sono andate consolidandosi, per motivi diversi ma complementari. Da un lato, la volontà di Pechino di estendere la propria influenza globale, favorendo processi di internazionalizzazione delle proprie imprese, e dall’altro i bisogni e le esigenze dell’Africa, un continente ricco di risorse naturali, ma con impellenti necessità di sviluppo, piani infrastrutturali e competenze tecniche.

Al 2018, data dell’ultimo summit FOCAC, la Cina aveva costruito in Africa più di 6.000 chilometri di strade e ferrovie, quasi 20 porti e più di 80 centrali elettriche. Gli investimenti diretti nel continente raggiungevano la cifra di 110 miliardi di dollari USA, con oltre 10.000 imprese cinesi con investimenti sul suolo africano.

L’agenda politica di Pechino

Nonostante gli interessi economici giochino un ruolo fondamentale nel determinare il crescente impegno di Pechino in Africa, a spiegare tale spinta in avanti concorre, tra le altre cose, la volontà cinese di allargare la propria influenza politica all’interno delle organizzazioni internazionali. Rafforzando le sue relazioni diplomatiche attraverso la cooperazione economica, Pechino auspica di poter contare, sempre di più, sul voto dei Paesi africani in sedi importanti come quella dell’Onu. L’importanza strategica dell’Africa consiste non solo nel suo vantaggio numerico, in quanto grande raggruppamento di Stati, ma soprattutto nella loro tendenza a votare “in blocco”.

Il sostegno degli Stati africani all’agenda politica di Pechino nelle sedi multilaterali può dunque assumere un ruolo determinante, capace di spostare l’ago della bilancia nell’atto di decidere questioni delicate e prioritarie per il governo cinese, quali Taiwan o il controllo del Mar Cinese Meridionale.

 

Bookreporter Settembre

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