Filippine, la guerra alla droga di Duterte conta 6000 vittime

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In un rapporto diffuso oggi, Amnesty International ha denunciato che l’ondata di omicidi di polizia scatenati tre anni fa dall’assassina campagna contro la droga del presidente delle Filippine Rodrigo Duterte continua a distruggere vite umane e a devastare intere comunità. L’organizzazione per i diritti umani ha sollecitato le Nazioni Unite ad avviare immediatamente un’indagine sulle gravi violazioni dei diritti umani e sui possibili crimini contro l’umanità commessi nel contesto della “guerra alla droga”.

Le forze di polizia operano nella totale impunità uccidendo persone delle zone più povere delle Filippine i cui nomi compaiono su “liste di sorvegliati” redatte al di fuori di qualsiasi procedura giudiziaria. Il governo filippino ha riconosciuto almeno 6600 uccisioni da parte della polizia ma molte migliaia di altri omicidi commessi da sconosciuti sarebbero probabilmente collegati alle forze di polizia.

Dopo il trasferimento di una serie di alti funzionari di polizia dalla regione metropolitana di Manila, l’epicentro della campagna di omicidi è ora la provincia di Bulacan, nella regione di Luzon centrale. Il presidente Duterte ha più volte difeso la “guerra alla droga” parlando di “criminali” la cui uccisione è “giustificabile”.

Il rapporto odierno aggiorna una precedente ricerca pubblicata da Amnesty International nel gennaio 2017, dalla quale era emerso che la polizia prendeva sistematicamente di mira le persone più povere e indifese del paese mettendo loro addosso le “prove”, assoldando sicari, rubando i beni personali delle persone uccise e falsificando rapporti ufficiali. Amnesty International ha esaminato 20 casi, in cui sono state uccise 27 persone, avvenuti nella provincia di Bulacan tra maggio 2018 e aprile 2019.  

“Essere poveri nelle Filippine di Duterte è molto pericoloso: per finire assassinati basta un’accusa non provata di uso, acquisto o vendita di droga. Ovunque ci siamo recati per svolgere le nostre ricerche abbiamo incontrato gente terrorizzata. La paura è ora penetrata a fondo nel tessuto sociale del paese”, ha dichiarato Nicholas Bequelin, direttore per l’Asia orientale e sudorientale di Amnesty International.

Molti omicidi, lo stesso modello
In ciascuna operazione di polizia esaminata da Amnesty International, la polizia ha citato la stessa giustificazione preconfezionata: una retata di spacciatori in cui si è costretti a ricorrere alla forza letale a causa della reazione armata dei fermati.

Le famiglie delle vittime e i testimoni oculari hanno smentito questa versione dei fatti sostenendo che la vittima non aveva mai avuto un’arma o era troppo povera per possederne una; oppure che essa prima era finita nel nulla e, a cadavere rinvenuto, era stata immediatamente definita uno spacciatore.

Secondo un’esperta della scientifica consultata da Amnesty International, i rapporti ufficiali della polizia non rispettano gli standard minimi di plausibilità: “Sono uno uguale all’altro. Più che rapporti, sembrano dei facsimile”.

In un caso la polizia ha affermato che Jovan Magtanong, 30 anni e padre di tre figli, aveva aperto il fuoco contro gli agenti e che sulla scena del crimine erano stati trovati un sacchetto contenente droga e una pistola calibro 38. I testimoni oculari hanno descritto tutta un’altra scena: quando è stato chiamato alla porta di casa e poi colpito stava dormendo insieme ai suoi bambini, non aveva una pistola e non si drogava da oltre un anno.

Dalle liste dei sorvegliati alle liste della morte
Nella maggior parte dei casi esaminati da Amnesty International, i nomi delle persone uccise erano inclusi in liste di sorvegliati per motivi di droga compilate dalle autorità al di fuori di qualsiasi procedura giudiziaria.

È su queste liste che la polizia si basa per compiere arresti o uccidere. I funzionari locali, sono sotto pressione per mostrare risultati attraverso la raccolta dei nomi di presunti “consumatori”, “spacciatori”, “finanziatori” e “protettori” nella loro zona di competenza. Secondo Amnesty International, queste liste sono illegali, ingiustificabili e inverosimili e costituiscono un’ulteriore prova dell’accanimento del governo contro le comunità povere e marginalizzate.

Gli attivisti per i diritti umani, i funzionari locali e altre persone ascoltate da Amnesty International hanno confermato che non c’è modo per essere tolti da queste liste, che dunque creano un sistema di sorveglianza e rischio permanenti.

“Il governo Duterte ha creato una lotteria mortale in cui le autorità possono manipolare e controllare le liste, a prescindere se le persone elencate siano o meno consumatori o spacciatori. È un sistema ingordo e cinico che premia l’obbedienza cieca e l’assassinio”, ha commentato Bequelin.

Le responsabilità della polizia
L’enorme incremento delle uccisioni illegali nella provincia di Bulacan è stato preceduto da una serie di trasferimenti ai vertici della polizia. Comandanti precedentemente in servizio nella regione metropolitana di Manila, in cui precedentemente si contava il maggior numero di vittime, sono stati promossi a incarichi più elevati nella provincia e in tutta la regione di Luzon centrale.

Uno di loro è l’Alto sovrintendente Chito Bersaluna, capo della polizia della città di Caloocan quando, nell’agosto 2017, venne ucciso il 17enne Kian delos Santos. A seguito dell’attenzione suscitata dal caso, Bersaluna è stato posto per un certo periodo in “congedo amministrativo” e tre suoi sottoposti sono stati condannati.

È giunto il momento di un’indagine delle Nazioni Unite
Con la sola eccezione degli agenti condannati per l’omicidio di Kian delos Santos, le autorità filippine non hanno svolto indagini credibili per processare i responsabili delle uccisioni illegali e delle esecuzioni extragiudiziali nel contesto delle operazioni di contrasto alla droga.

Il nuovo rapporto di Amnesty International va ad aggiungersi alle sempre più numerose prove che le violazioni dei diritti umani commesse durante la “guerra alla droga” costituiscono crimini contro l’umanità.

Finora il governo delle Filippine ha cercato di respingere ogni tentativo di indagare a livello internazionale. Quando, nel febbraio 2018, il Tribunale penale internazionale ha lanciato un esame preliminare della situazione, il presidente Duterte ha subito annunciato che il paese si sarebbe ritirato dallo Statuto del tribunale, cosa poi accaduta nel marzo 2019.

Il rapporto di Amnesty International mette anche in evidenza la clamorosa inadeguatezza dei programmi di riabilitazione e dei trattamenti antidroga. Il contrario di ciò che servirebbe, per ridurre i rischi e i danni associati all’uso di droghe e soprattutto per porre fine all’attuale campagna di violenza e paura.

L’organizzazione per i diritti umani ha chiesto al Consiglio delle Nazioni Unite sui diritti umani di avviare immediatamente un’indagine indipendente, imparziale ed efficace sulle violazioni commesse durante la “guerra alla droga”, inclusi i crimini di diritto internazionale.

Analogamente, Amnesty International chiede all’ufficio della Procuratrice del Tribunale penale internazionale di accelerare l’esame della situazione e aprire una piena e completa indagine.

Bookreporter Settembre

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