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Ue, migranti: retromarcia sulle quote e l’Italia tace

EUROPA di

Scende da 40mila a 32mila il numero dei migranti, sbarcati quest’anno in Italia e Grecia, da ricollocare. Il provvedimento sarà in vigore da ottobre. I duri scontri del vertice sull’immigrazione del 26 giugno scorso lasciano lo spazio ad una tacita rassegnazione di Roma.

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Passo indietro sul fronte delle quote di migranti da redistribuire tra i Paesi dell’Unione Europea. Nella riunione tra i 28 membri di Bruxelles del 20 luglio, è stato deciso che il numero di migranti totali da accogliere saranno 32mila e non 40mila come previsto dalla proposta della Commissione Europea del 26 giugno. A questi, si devono aggiungere le 20mila persone, siriani ed eritrei, provenienti dai campi profughi.

La dura trattativa della nottata tra il 25 e 26 giugno appare un lontano ricordo. La presa di posizione del presidente del Consiglio Ue Tusk contrapposta alla reprimenda del presidente della Commissione Juncker al termine dei negoziati di un mese fa assomigliano ad un teatrino. Così come le tanto attese quote, proclamate all’epoca come “obbligatorie”, altro non sono che “volontarie”.

Mancano dunque circa 20mila migranti da ricollocare rispetto a quanto prefigurato a giugno. Intanto, da ottobre, circa 32mila persone giunte in Italia e Grecia saranno ricollocate in altri Paesi. Oltre agli annunciati no delle sempre più antieuropeiste Austria e Ungheria, stupisce il sì parziale dell’Irlanda, esentata secondo i trattati europei assieme a Gran Bretagna e Danimarca, all’accoglienza di 600 persone. In vetta, invece, troviamo la Germania con circa 10mila, la Francia con quasi 7000, l’Olanda con circa 2000.

Sul fronte ricollocamento dei profughi, le cifre appaiono diverse perché diverso, in senso positivo, è stato l’atteggiamento degli Stati membri Ue. Oltre ad Italia, Germania e Francia, spiccano a sorpresa la Gran Bretagna, l’Austria e la Spagna, oltre anche alla presenza di Paesi non-Ue come Svizzera e Norvegia.

A parte la suddivisione dei 20mila profughi, il resto del quadro resta opaco. Oltre all’accordo al ribasso, i 28 Paesi membri non si sono pronunciati sulle quote previste per il 2016, delle quali si riparlerà a fine 2015. L’accoglienza tiepida, ma “positiva dell’Italia”, secondo le parole del ministro degli Interni Alfano, stonano con i toni duri espressi nell’incontro di un mese fa dal primo ministro Renzi: “Se non siete d’accordo sulla distribuzione dei 40 mila migranti, non siete degni di chiamarvi Europa. Se volete la volontarietà, tenetevela”. A cosa è dovuto questo cambio di atteggiamento da parte di Roma?
Giacomo Pratali

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Ue, relazione sulle rinnovabili: promossi gli Stati membri

BreakingNews di

Entro il 2014 è stata raggiunta la quota del 15,3. Il 20% entro il 2020 sembra essere alla portata.

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“La relazione indica ancora una volta che l’Europa crede nelle energie rinnovabili e che le energie rinnovabili fanno bene all’Europa”, è quanto dichiarato da Miguel Arias Cañete, Commissario responsabile per l’Azione per il clima e l’energia, a seguito della pubblicazione dei dati sulle energie rinnovabili in Europa. Numeri ottimistici, che pongono i Paesi Ue al 15,3% lordo delle energie rinnovabili entro il 2014 e ad un passo dal 20% (10% per i trasporti) programmato per il 2020 e deciso nel 2009.

“L’Europa può vantare tre volte più energia rinnovabile pro capite che qualunque altra parte del mondo e più di un milione di persone che lavorano nel settore delle energie rinnovabili, il cui valore supera i 130 miliardi di EUR all’anno. Ogni anno esportiamo energie rinnovabili per un valore di 35 miliardi di EUR”, ribadisce il rappresentante dell’Unione Europea.

In più, questi dati ecologici vanno, secondo l’Ue, di pari passo con il realismo economico. Gli obiettivi del 2020 sono infatti diventati un traino per i Paesi del Vecchio Continente, spinti ad investire di più sulle rinnovabili per rilanciare le proprie industrie e, di conseguenza, a collaborare tra loro e con gli Stati non-Ue.

Ecco i risultati prodotti dalle direttive europee nel campo delle rinnovabili:
• circa 326 milioni di tonnellate lorde di emissioni di CO2 evitate nel 2012 e 388 milioni di tonnellate nel 2013,
• una riduzione della domanda di combustibili fossili in Europa pari a 116 mtep nel 2013.
Inoltre per quanto riguarda la sicurezza dell’approvvigionamento energetico nell’Unione:
• sul totale di combustibili fossili il cui uso è stato evitato nel 2013, il 30% è dovuto alla sostituzione del gas naturale con fonti rinnovabili
• quasi la metà degli Stati membri ha ridotto il consumo interno lordo di gas naturale di almeno il 7%.
Giacomo Pratali

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Immigrazione: l’Ue muove i primi, ma incerti passi

EUROPA di

La vera partita tra gli Stati membri si gioca attorno alle quote di redistribuzione dei rifugiati siriani ed eritrei. Le altre nuove misure, tra cui l’allargamento del raggio d’azione di Frontex, potrebbero essere il primo passo verso una europeizzazione della questione migratoria.

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L’emergenza immigrazione nel Mediterraneo è divenuta un punto fisso dell’agenda Ue nell’ultimo mese. Per la prima volta, la questione viene trattata a livello comunitario. L’allargamento del raggio di competenza e l’istituzione di una nuova base logistica a Catania stanno portando Frontex, e di conseguenza le operazioni Triton e Poseidon Sea, sugli stessi livelli di Mare Nostrum. La vera partita tra gli Stati Membri, però, ruota attorno alla ricollocazione delle persone sbarcate sulle coste italiane e greche quest’anno.

Oltre 30000 sono stati i migranti sbarcati in Italia fino ad ora. La stessa cifra raggiunta, a sorpresa, dalla Grecia, divenuta meta privilegiata per siriani (la maggioranza) e iracheni che, passando attraverso la Turchia, non passano per la Libia, ma optano per la più sicura rotta verso le isole greche del Mar Egeo (Mitilene, Chios, Leros, Samos) situate a pochi chilometri dalle coste dall’Anatolia.

La ricetta proposta dal collegio dei commissari europei consta di vari punti. Quello più importante riguarda la redistribuzione dei profughi siriani ed eritrei sbarcati dopo il 15 aprile 2015. Anche se da Bruxelles non parlano di questione di “quote, ma di solidarietà minima”, il 15 e 26 giugno, prima il Consiglio dei Ministri Ue, poi il vertice dei leader, saranno le due date decisive per avvallare questa ricollocazione.

Nella proposta di legge, dei 40 mila profughi siriani ed eritrei totali (24mila sbarcati in Italia, 16 in Grecia) 8763 rifugiati dovrebbero spettare alla Germania, 6752 alla Francia e 4288 alla Spagna. Gli altri 20 Paesi si accollerebbero la restante parte. Gran Bretagna, Irlanda e Danimarca non sono state previste in quanto contrarie. Mentre Parigi e Madrid, scettici su questo provvedimento, dovrebbero, secondo fonti europee, comunque accettare.

Gli altri punti riguardano l’introduzione dell’obbligo delle impronte digitali per tutti i migranti. La lotta al reinsediamento di 20mila campi profughi. L’istituzione di un ufficio dell’Unione Europea in Niger che valuti in loco le richieste d’asilo politico. Il nuovo piano Frontex, come detto prima.

Ma è il nodo quote che lascia perplessi. Se il caso greco ha raggiunto numeri impressionanti solo nel 2015, l’Italia ha visto, dopo le Primavere Arabe e la caduta di Gheddafi nel 2011, un progressivo aumento degli sbarchi sulle coste meridionali. Nel 2014, infatti, ben 170 mila sono stati gli sbarchi. Numeri destinati ad aumentare se le stime del Ministero degli Interni italiano, 200 mila arrivi entro il 2015, dovessero essere confermate.

Se andiamo al dato del 2014, possiamo osservare che solo il 7% dei migranti sarebbe preso in considerazione. Nel 2015, invece, circa 41mila siriani ed eritrei rappresenterebbero circa il 31%. Numeri risibili rispetto alla realtà dei fatti.

La ricerca di un piano strutturale da parte dell’Europa cozza con il numeri messi in campo. Sebbene l’intervento diretto nel contesto africano e l’allargamento e l’aumento dei fondi a Frontex vadano nella giusta direzione, quello che manca è una visione comune sulla questione migratoria. Una visione comune che viene meno perché, in apparenza, il problema sembra solo per Italia e Grecia.

Nella realtà dei fatti, il problema è europeo. Perchè non solo per i siriani Roma e Atene sono luoghi di passaggio. Da tempo, ormai, la maggioranza dei migranti di tutte le nazionalità ambiscono a raggiungere Germania, Norvegia e Svezia per due fattori. Il primo è perché sono i tra i Paesi europei più sviluppati e con una maggiore qualità della vita. Il secondo, non meno importante, è perché molti parenti e amici dei nuovi arrivati, essendosi stabiliti lì da molti anni, costituiscono un punto d’appoggio per iniziare una nuova vita.

Questo punto, unito alla fitta immigrazione proveniente dai confini dell’Europa orientale, dovrebbero fare riflettere sulla necessità di non limitare la ricollocazione ai soli rifugiati siriani ed eritrei.

Giacomo Pratali

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Giacomo Pratali
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