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Il braccio di ferro fra Erdogan e i curdi

Medio oriente – Africa di

La vita strappata il 13 marzo scorso a 37 persone dall’ennesimo attentato che ha colpito la capitale turca sembra pesare sul nome del gruppo TAK, sigla che indica i Falconi o le Aquile della Libertà curda. Sul sito del gruppo, nato nel 2004 e considerato come una sorta di braccio armato del PKK, il Partito dei Lavoratori Curdi guidato da Abdullah Ocalan, è apparsa la rivendicazione dell’attentato nella giornata del 16 marzo, a qualche giorno dallo scoppio provocato dall’attentatrice suicida.

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L’obiettivo dichiarato dai Falconi erano le forze di sicurezza governative, non i civili, considerati alla stregua di danni collaterali che potrebbero verificarsi nuovamente in vista dei nuovi attacchi promessi. Mentre le attenzioni del PKK sono rivolte ad obiettivi militari e di polizia turca nella parte sud-est del paese, TAK concentra il suo interesse al cuore della Turchia, ad Ankara, sede del potere politico.

Dal luglio 2015, da quando la tregua che nei precedenti due anni aveva reso “vivibili” i rapporti fra governo turco e minoranza curda è saltata dopo la perdita della maggioranza dell’Akp di Erdogan nelle penultime elezioni di giugno poi invalidate, continua a susseguirsi uno scambio di attentati e vittime. La situazione resa ancora più tesa dal coinvolgimento della forza armata dei Peshmarga curdi nella lotta contro Isis in Siria, si sta progressivamente aggravando.

L’attentato del 16 marzo scorso ha provocato, come reazione da parte del governo turco definito fascista dai Falconi della Libertà curdi, una serie di bombardamenti che hanno colpito il villaggio curdo, Sharanish, situato al confine con la regione autonoma del Kurdistan iracheno, nel quale vivono anche cristiani di confessione caldea e assira, e l’area dei monti Quandil a nord dell’Iraq, zona in cui già dal 2011 la Turchia interveniva con attacchi sporadici e nella quale si concentrano le principali postazioni del PKK. Inoltre ha dettato l’aggravarsi delle repressioni nella regione turca di Dyarbakir ad alta concentrazione curda. In totale sono state bombardate 18 postazioni curde mentre oltre 20.000 poliziotti turchi sono stati impiegati per portare avanti una operazione d’urto contro i militanti curdi di una città al confine fra Iran e Iraq, Yuksekova.

L’annuncio formalizzato da Ankara come rivalsa sul terrorismo dilagante è di 45 militanti uccisi e di due depositi di armi oltre a due lanciarazzi distrutti. In poco più di una manciata di giorni, sono in totale 37 più 45, quindi 82 le vittime, senza contare i feriti, provocati del braccio di ferro che oppone Erdogan ai curdi. Un tragico bilancio al quale vanno ad aggiungersi le integrazioni al reato di terrorismo che il premier turco ha annunciato per includere fra i destinatari del capo d’accusa non solo i militanti ma anche coloro che possono essere considerati sostenitori o simpatizzanti del PKK o dei gruppi collegati. Erdogan continua a osteggiare la minoranza curda per vanificare il suo grande timore, la nascita di una forte alleanza fra i curdi siriani e turchi che, forti della posizione raggiunta già da anni dalla componente irachena costituita in Regione Autonoma – il KRG, Kurdistan Regional Government- potrebbe esigere la costituzione di uno stato autonomo.

Una eventualità che andrebbe a contrapporsi al sogno, più grande del timore, di concretizzare rinascita di un Califfato sotto la sua guida.

 

Monia Savioli

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Monia Savioli
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