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Afghanistan oggi: una storia infinita

Medio oriente – Africa di

L’intervento della comunità internazionale in Afghanistan risale al 2001. La premessa alla quale il neo nato movimento talebano guidato dal Mullah Omar si affidò per comunicare la propria esistenza al mondo fu la distruzione delle statue del Buddha a Bamyan nel marzo di quell’anno. Il brivido che percorse il pianeta si trasformò, qualche mese più tardi, a settembre, in un sentimento di concreto timore. Le immagini delle Torre Gemelle che si incrinano e poi si ripiegano su se stesse, prima di crollare e rubare le vite di migliaia di persone, restano tutt’ora scolpite nella mente di chi le ha viste, quasi in diretta quell’11 settembre, o successivamente. Il nome di Osama Bin Laden, anima dell’organizzazione terroristica di matrice integralista Al Qaeda, autrice dell’attentato divenne in quei giorni tragicamente famoso. Troppo il dolore, lo scempio. Troppa la violenza e l’arroganza del nuovo leader che aveva osato sfidare l’Occidente direttamente sul suo territorio. Sulla base delle risoluzioni ONU n. 1368, 1373 e 1386 del 2001 venne intrapresa l’Operazione Enduring Freedom, con l’obiettivo di contrastare il terrorismo internazionale e distruggere la rete di Al Quaeda. In contemporanea il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dispose il dispiegamento nella città di Kabul ed aree limitrofe, della International Security Assistance Force (ISAF), missione di stabilizzazione e sicurezza, diversa e nettamente separata da Enduring Freedom. Da allora ad oggi sono passati ben 15 anni. Il 31 dicembre dello scorso anno la missione ISAF è terminata, trasformandosi nella nuova “Resolute Support” declinata in varie attività di advising e assist finalizzate ad addestrare le truppe locali afghane. Nonostante gli sforzi compiuti durante tutti questi anni dalla Nato per rendere autonomo lo stato afghano nella lotta contro il terrorismo, il quadro che si delinea attualmente conserva ancora, ben evidenti, tracce di profonda instabilità. Le elezioni presidenziali svoltesi nel 2014 per eleggere il sostituto di Karzai, hanno visto fronteggiarsi due avversari, Ashraf Ghani, esponente dell’etnia pashtun, ministro delle finanze durante la presidenza Karzai, con un passato lavorativo presso la banca mondiale e Abdullah Abdullah , tajiko, ex ministro degli Esteri ed ex esponente dell’Alleanza del Nord. Nonostante le innumerevoli accuse di imbrogli perpetrati durante le elezioni, le due parti contendenti si sono poi accordate per riconoscere la vittoria a Ghani, innescando un compromesso che è sfociato nella suddivisione delle varie cariche istituzionali. Il mondo politico afghano risente ancora, infatti – quale retaggio della struttura tribale nella quale l’ organizzazione politico-sociale dell’universo afghano affonda le radici – dell’influenza dei cosiddetti “localpowerbroker”, personalità molto influenti a livello locale che considerano il governo centrale come un’antagonista. Per poter esercitare la propria autorità politica e istituzionale, il governo di Kabul deve necessariamente scendere a patti con loro, cosa che si traduce nelle proliferazione di pratiche clientelari e nepotistiche nell’assegnazione delle varie cariche e nell’avvio sempre più frequente di iniziative volte a reintegrare nella società i combattenti talebani. Tutto questo accade mentre il popolo lotta per garantirsi la sopravvivenza. L’Afghanistan è ancora uno dei Paesi più poveri al mondo. L’economia è sostenuta principalmente dai contributi offerti da finanziatori esteri mentre la maggior parte della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà. La disoccupazione colpisce circa il 35% della comunità afghana nonostante il miglioramento dei sistemi di trasporto e della produzione agricola che negli ultimi dieci anni hanno permesso di garantire ad un ulteriore 10% della popolazione una fonte di sostentamento. L’Afghanistan resta, ignorando i tentativi di conversione effettuati, il primo produttore al mondo di oppio dal quale l’insorgenza trae profitto per finanziare la sua attività. L’analfabetismo è ancora uno dei fenomeno più diffusi, in grado di coinvolgere circa il 70% della popolazione. La formazione scolastica femminile è ancora osteggiata dall’insorgenza talebana che prende di mira proprio le scuole femminili. Tribù e clan conservano rispetto allo stato centrale uno status privilegiato che rende la loro influenza superiore rispetto a quella del governo nazionale. Il codice d’onore del Pashtunwali e le leggi tribali hanno prevalenza sulle leggi scritte nazionali. La situazione femminile, dopo 15 anni di presenza occidentale, è migliorata solo nelle grandi città, mentre nelle campagne le donne continuano a portare il burka e ad essere sottomesse. Oggi, nonostante la fine di Isaf e l’avvio della missione “Resolute Support”, le ANDSF, Forze Speciali Afghane, non sono ancora in grado di mantenere un capillare controllo del territorio in modo autonomo. La loro struttura risulta indebolita da vari fattori, dalle diserzioni, dalla scarsa efficacia dovuta ad addestramenti superficiali, dalle logiche nepotistiche che regolano le assegnazioni dei ruoli e dal fatto che assetti aerei, reti di intelligence e supporto di fuoco dipendono ancora dalle forze di coalizione. Ampie zone del Paese infatti risultano ancora escluse dal controllo esercitato dal governo afghano, in particolare nelle province al confine con il Pakistan dove molto attivo è l’Hakkani Newtwork, termine con il quale viene indicato il gruppo di insurrezionalisti islamici molto vicino ai talebani guidati da Maula Jalaluddin Haqqani insieme al figlio Sirajuddin. Forti della debolezza mostrata dalle Forze Speciali Afghane i Talebani continuano ad attaccare, mentre l’Isis timidamente si affaccia. L’Afghanistan continua a rappresentare una realtà a se, autonoma ed estremamente caratterizzata rispetto alle altre anime che compongono il delicato mosaico denominato Medio Oriente. Per questo la distanza che separa l’Afghanistan dal teatro siro-iracheno, ed il modello statuale dei talebani rispetto a quello dell’Isis, rendono al momento piuttosto difficoltosa la penetrazione dello Stato Islamico all’interno delle complesse dinamiche afghane.

Monia Savioli
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