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Lo spleen di Pechino

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Per capire cosa sta succedendo in Cina possiamo partire da una notizia grottesca che arriva dal Nord America. L’azienda canadese Vitality Air aveva recentemente lanciato, un po’ per scherzo, un nuovo prodotto: bottigliette riempite con l’aria cristallina delle Rocky Mountains. Nel giro di pochi giorni le scorte sono andate esaurite e tutti gli ordini sono arrivati dalla Cina. Il paese sta infatti vivendo in queste settimane una vera e propria emergenza ambientale, a causa degli elevatissimi livelli di smog e polveri sottili registrati nelle principali città.

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Dopo l’allarme rosso decretato dalle autorità la scorsa settimana, che aveva paralizzato la capitale Pechino con la chiusura di scuole, cantieri ed uffici pubblici, la salute dei cittadini cinesi continua ad essere minacciata. Il problema è determinato dall’enorme consumo di carbone e di altri combustibili fossili che mantiene a regime la crescita economica del gigante asiatico. I gas di scarico delle automobili, nonostante quanto comunemente si creda, contribuiscono solo in parte alla formazione delle nubi maleodoranti che avvolgono Pechino e le altre grandi città delle regioni maggiormente industrializzate. Di fatto, il paese sta vivendo la sua rivoluzione industriale e il carbone, al pari di quanto avveniva in Europa nel XIX secolo, alimenta il motore dello sviluppo. Fatte le debite proporzioni, le ricadute su scala ambientale sono drammatiche e coinvolgono l’intero pianeta.

Dopo Pechino, anche Shanghai è stata avvolta da una spessa cappa di smog, martedì scorso. Nella capitale economica del paese l’indice di qualità dell’aria ha raggiunto il valore 300, considerato “pericoloso” per la salute dell’uomo con possibili ripercussioni a lungo termine. Non molto, in confronto ai valori registrati nella Capitale e nelle città del nord la settimana scorsa, ma comunque sufficiente per spingere le autorità locali a decretare un “allarme giallo” ed intervenire per limitare le attività edilizie e vietare agli studenti di uscire dagli edifici scolastici durante la mattinata.

Le difficoltà sul fronte ambientale che il paese affronta quotidianamente risultano ancora più eclatanti, all’indomani dell’approvazione dell’accordo sul clima della conferenza Cop21 di Parigi, conclusasi la scorsa settimana. Anche la delegazione cinese ha sposato l’accordo, sulla cui reale efficacia si sono spese molte parole in questi giorni, con giudizi spesso distanti. Per i cinesi il documento finale rappresenta un compromesso accettabile tra le esigenze di sviluppo del paese e gli impegni di riduzione dei gas serra nel medio periodo. Certamente la delegazione guidata da Xie Zhenhua ha spinto per una limitazione degli impegni legalmente vincolanti, ma la mancata adesione del paese maggiormente inquinante avrebbe decretato il fallimento del vertice.

Cosa prevede l’accordo di Parigi? In breve, i paesi firmatari si impegnano a raggiungere il picco di emissioni nel più breve tempo possibile, per poi passare ad una decisa riduzione dei gas serra nella seconda metà del secolo. L’obiettivo comune, considerato vitale dagli esperti, è di contenere l’aumento medio delle temperature globali “ben al di sotto” dei due gradi e puntando, se possibile, al limite massimo di 1,5 C. Il progresso del piano sarà monitorato con cadenza quinquennale e, da qui al 2020, si prevede un finanziamento di 100 miliardi di dollari all’anno in favore dei paesi in via di sviluppo per l’implementazione di progetti ambientali. Dopo il 2020 il finanziamento dovrebbe aumentare, in misura ancora da stabilire.

Secondo alcuni osservatori, il limite dei due gradi sarà difficilmente rispettato, ma per la prima volta la Cina e le altre grandi potenze inquinanti del mondo in via di sviluppo hanno deciso di aderire formalmente allo sforzo comune. Il cambio di rotta, secondo Naomi Klein, è determinato anche dal fatto che le condizioni di vita dei cinesi stanno peggiorando in modo sensibile, proprio per via dell’inquinamento, e che anche i figli delle élites del paese cominciano a subirne direttamente gli effetti. Forse non sarà necessario rallentare il treno dello sviluppo industriale, ma una progressiva conversione dal carbone ad altre forme di energia più sostenibili è già oggi una prospettiva ineludibile.

E lo stesso discorso potrebbe valere l’India.

 

Luca Marchesini

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Luca Marchesini
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