GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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Accordo nucleare Iran: i dubbi e i sospiri di sollievo

A Vienna, Stati Uniti, Unione Europea, Gran Bretagna, Cina, Russia firmano lo storico accordo con l’Iran. L’utilizzo per scopi civili e non militari dell’uranio arricchito da parte di Teheran fa da contraltare alla fine delle sanzioni e dell’embargo. Le reazioni di Israele e dell’Arabia Saudita, nonché le critiche provenienti dalla stampa statunitense, lasciano perplessità sui futuri sviluppi geopolitici nel Medio Oriente.

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Dopo 16 giorni di negoziati, ieri a Vienna è stata raggiunta la storica intesa tra Usa, Ue, Gran Bretagna Russia e Cina, e l’Iran sul programma nucleare. Un accordo di portata storica, come definito dalle parti in causa. Un’intesa che da una parte punta alla riduzione della produzione di uranio di Teheran per i prossimi 10 anni. Dall’altra, pone fine alle sanzioni e all’embargo per quanto riguarda il commercio. Sebbene ponga, in modo formale, fine a decenni di conflitto con l’Occidente, il cui apice c’è stato durante l’amministrazione di George W. Bush, le reazioni negative da parte di Israele e le contraddizioni con le alleanze di Washington con partner del Medio Oriente, Arabia Saudita su tutti, suonano come un campanello d’allarme per la comunità internazionale.

Prendendo spunto dall’intesa dello scorso 3 aprile, l’accordo messo nero su bianco dal ‘5+1’ consta di quattro punti fondamentale. Il taglio del 98% delle scorte di uranio arricchito. L’utilizzo delle centrifughe ridotto a due terzi. La possibilità, non automatica, degli ispettori di Alea di effettuare ispezioni presso gli impianti nucleari iraniani, dietro il consenso del tribunale arbitrario formato dagli stessi Paesi che hanno sottoscritto l’accordo. La graduale riduzione dell’embargo sulle armi entro i prossimi cinque anni. La risoluzione Onu in materia è prevista la prossima settimana, quando si riunirà il Consiglio di Sicurezza.

Punti che mirano al nocciolo della disputa tra Usa e Iran: l’utilizzo dell’uranio arricchito per usi civili e non militari. Ma che hanno anche l’intento di creare un corridoio diplomatico privilegiato con il più grande Stato sciita del Medio Oriente, capace di sostenere il regime di Assad in Siria o gli Hezbollah in Libano e determinante nella riconquista dei territori nord-occidentali iracheni, finiti sotto l’ombra del Califfato.

In più, questa intesa consente di aprire un vaso di pandora enorme dal punto di vista del commercio. Basti pensare al petrolio. L’Iran è il quarto produttore al mondo e, con la fine dell’embargo, è pronto ad aumentare la produzione di greggio, con una conseguente diminuzione del prezzo al barile sui mercati internazionali. Inoltre, fino agli anni Settanta, l’Europa era il primo mercato estero per Teheran.

Sono questi aspetti geopolitici ed economici a spingere le dichiarazioni entusiaste dei protagonisti dell’accordo di Vienna. Il presidente Usa Obama ha affermato che “grazie all’accordo, la comunità internazionale potrà verificare che l’Iran non sviluppi l’arma atomica. È un accordo che non si basa sulla fiducia ma sulla verifica”. E si è detto pronto a porre il veto, presso il Congresso, nel caso in cui i repubblicani “si opponessero all’attuazione della legge”, ha ammonito il capo della Casa Bianca.

“Penso che questo sia un momento storico: l’accordo non è perfetto ma è il migliore che potevamo raggiungere”, ha affermato il ministro degli Esteri iraniano Zarif. Mentre il presidente Rohani ha incalzato dicendo che “nessuno può dire che l’Iran si è arreso. L’accordo è una vittoria legale, tecnica e politica per l’Iran, che non sarà più considerato una minaccia mondiale”.

Mogherini, Alto Rappresentante dell’Unione Europea, parte attiva dei negoziati, parla di “nuovo capitolo nelle relazioni internazionali”, mentre per il presidente russo Putin “il mondo tira un grosso sospiro di sollievo”.

Il coro, però, non è stato unanime presso tutta la comunità internazionale. Come prevedibile, la reazione di Israele non si è fatta attendere: “ È un errore di portata storica – ha tuonato il presidente Netanyahu al telefono con Obama-. Questo accordo minaccia la sicurezza di Israele e il mondo intero. Quanto avete concordato con l’Iran gli consentirà di avere armi nucleari entro 10-15 anni se rispetteranno l’accordo. Altrimenti, anche in minor tempo”. Mentre un funzionario del governo dell’Arabia Saudita denuncia la possibilità che l’Iran possa “devastare la regione”.

Le contraddizioni in seno all’accordo, come la contemporanea alleanza degli Stati Uniti con la coalizione saudita nello Yemen contro gli Houtii (fazione sciita appoggiata da Teheran), portano dietro di sè una strategia di ben più ampio respiro. La chance data dagli Stati Uniti e i suoi alleati più che all’Iran è diretta alla società civile iraniana. L’apertura verso l’esterno e un’auspicabile e sempre più progressiva responsabilizzazione della classe politica dirigente, potrebbe portare al ritorno al dialogo e alla distensione tra gli sciiti e i sunniti del Medio Oriente. Questo nuovo equilibrio potrebbe essere un’arma efficace contro l’espansionismo dello Stato Islamico.

I critici sull’accordo non mancano, come detto. Negli Stati Uniti, aldilà del Partito Repubblicano, è stata parte della stampa stessa a sollevare ben più di un’ombra. Sul Wall Street Journal, ad esempio, l’editoriale di Bret Stephens tuona dicendo che “l’accordo fa acqua da tutte le parti” e che difficilmente la politica estera iraniana cambierà. Anzi, l’intesa di Vienna potrebbe rivelarsi un boomerang per gli Stati Uniti.

Giacomo Pratali

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Yemen: sì del governo alla tregua

Medio oriente – Africa di

Il Presidente accoglie le richieste dell’Onu. La pace con il movimento Houtii è comunque legata ad alcune garanzie. Sono più di un milione i profughi dopo tre mesi di conflitto.

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Il governo yemenita ha comunicato il proprio assenso alla tregua chiesta dalle Nazioni Unite. Una pace provvisoria, su cui sembra concordare la parte antagonista alla coalizione saudita che da tre mesi sta bombardando il Paese, il movimento Houtii. Una decisione che, come ammesso da un portavoce dell’esecutivo, sarà vincolata rispetto ad alcune garanzie.

Due in particolare. La prima è il rilascio dei prigionieri, in special modo del Ministro della Difesa, da parte degli Houtii. La seconda, invece, è che lo stesso movimento d’ispirazione sciita lasci le quattro province occupate.

Una squarcio di sereno, dunque, in un contesto geopolitico caldo come quello dello Yemen. Dalle stesse Nazioni Unite, così come da molte organizzazioni non governative, sono arrivate continue denunce sugli orrori a cui è stata sottoposta la popolazione yemenita.

I numeri parlano chiaro. Più di 1500 morti tra i civili, oltre un milione di profughi. E gli stessi centri d’accoglienza presi di mira dai caccia della coalizione sunnita guidata dall’Arabia Saudita e sostenuta dagli Stati Uniti. Ecco, quindi, che la tregua, seppure flebile, appare indispensabile per portare aiuto agli sfollati, creando corridoi umanitari.

 

Giacomo Pratali

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Yemen: la coalizione saudita prende di mira i civili

Medio oriente – Africa di

I morti dall’inizio dei bombardamenti sunniti sono in constante crescita. Nonostante questo, gli sciiti Houti tentano a tutti i costi di conquistare Aden. Un intervento della comunità internazionale, in special modo degli Usa, è necessario affinché questa strage, che sta prendendo di mira anche i campi profughi, cessi.

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Si fa sempre più cruento il conflitto nello Yemen. Da una parte, i ribelli Houti continuano la loro avanzata verso il centro di Aden. Dall’altra, la coalizione sunnita, guidata dall’Arabia Saudita e supportata dagli Stati Uniti, ha preso di mira Sanaa, roccaforte sciita.

I numeri sono impietosi. Oltre 200 morti (74 bambini) e almeno 1300 feriti dall’inizio del conflitto due settimane fa. Cifre di uno scontro recente tra ribelli locali ed aviazione saudita, cifre che diventano drammatiche se pensiamo che la guerra civile tra sciiti ed esercito regolare degli anni Duemila ha portato quasi 13mila persone a vivere nei campi profughi. Gli stessi campi profughi colpiti dai bombardamenti aerei dei sunniti.

Mentre sono in corso le consultazioni presso il Consiglio di Sicurezza Onu, è necessario una ricomposizione del conflitto a livello internazionale. Nel giorno di Pasqua, i dirigenti Houti si sono detti pronti a trattare la pace se la coalizione sunnita cesserà il forcing via terra e via mare. Di contro, il re saudita Salman ha aperto, a parole, al cessate il fuoco. Frasi subito smentite dai fatti.

Il ministro della Difesa del Pakistan Asif ha riferito, ai media internazionali, che l’Arabia Saudita ha fatto esplicita richiesta di aiuti militari. Mentre è Riyad stessa ad appoggiare l’esercito regolare yemenita nel tentativo di frenare l’avanzata sciita presso Aden.

Il ruolo decisivo è ancora una volta degli Stati Uniti. Lo Yemen è sì incontrollabile e simile al caso Afghanistan. Tuttavia, questa guerra, non più solo civile, potrebbe rilanciare le ambizioni sunnite su tutta l’area mediorientale e dare benzina all’offensiva dello Stato Islamico in Siria, Iraq, Libia e Nigeria. Infine, non è accettabile che questa palese “violazione dei diritti internazionali e delle leggi di guerra”, citando il rappresentante Ue Mogherini e il segretario generale Ban-Ki Moon, sia in atto con il rumoroso silenzio-consenso di Washington.

Giacomo Pratali

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Usa, tra l’accordo sul nucleare con l’Iran e i possibili retroscena

Medio oriente – Africa di

Raggiunto l’accordo tra i Paesi “5+1” e l’Iran. Stabiliti i punti base. Le sanzioni contro Teheran saranno revocate. L’intesa con lo Stato sciita sembra, però, stonare con la contemporanea offensiva di alcuni Stati sunniti nello Yemen. Sembra perché questo quadro geopolitico caotico va a vantaggio degli Stati Uniti.

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Giovedì 2 aprile Usa, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna e Germania hanno trovato l’intesa storica sul nucleare con l’Iran, il quale vede cessare l’embargo impostogli. I parametri di base sono da stabilire entro il 30 giugno, ma i punti dell’accordo sono chiari. L’attività di Teheran sarà tenuta sotto controllo per i prossimi dieci anni (prorogabili a 25), periodo entro il quale dovranno essere ridotte a 6 mila (75%) le centrifughe in azione. Le riserve di uranio già presenti saranno portate all’estero o diluite. Infine, il capitolo delle sanzioni finanziarie e petrolifere: Stati Uniti ed Europa le revocheranno dopo la verifica dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica.

Se Obama parla di più sicurezza “per il nostro Paese e i nostri alleati”, dello stesso tenore sono le dichiarazione del rappresentante Ue Mogherini (“Questo accordo garantisce che l’Iran non svilupperà il nucleare”) e del ministro degli Esteri di Teheran (“Abbiamo trovato le soluzioni per i parametri chiave”).

Ma se l’accordo è senz’altro un cambio radicale dopo anni di rapporti freddi tra Stati Uniti e Iran, lo stesso non si può dire per altri Paesi. Il presidente israeliano Netanyahu attacca parlando di “errore storico” a favore di un Paese che sta commettendo “atroci azioni in Siria, Iraq, Libano e Yemen”.

Ed è proprio il caso Yemen a stonare con questa intesa. In queste ultime ore, infatti, la coalizione sunnita guidata dall’Arabia Saudita, con il consenso e il conseguente l’appoggio logistico degli Stati Uniti, sta sferrando una massiccia offensiva militare contro i ribelli sciiti Houti, sostenuti dallo stesso Iran.

Questo sembra andare nella direzione opposta rispetto all’accordo sul nucleare, così alla collaborazione nella lotta allo Stato Islamico in Siria e Iraq. Ma è solo apparenza. L’obiettivo degli Stati Uniti in Medio Oriente, come riportato nel rapporto della National Security americana di febbraio, è quello di non fare emergere nessun attore geopolitico di primo piano in quest’area. E, al tempo stesso, non prendere parte in maniera attiva alle azioni militari: vedi i casi già citati in Yemen, Iraq e Siria. Un obiettivo finora raggiunto.

Giacomo Pratali

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Giacomo Pratali
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