Egitto aereo caduto: gli effetti socioeconomici
La decisione di Vladimir Putin di interrompere i voli sull’Egitto. La conferma dell’intelligence britannica che il volo 7K9268 caduto il 31 ottobre sia stato fatto esplodere da una bomba. La rivendicazione dello Stato Islamico e l’esultanza sul web di siti vicini al Daesh. L’apertura all’ipotesi attentato fatta dal governo de Il Cairo. L’aereo schiantatosi sul Sinai, nel quale sono morte 224 persone, rischia di destabilizzare le istituzioni e l’economia di un Paese già fragile.
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Già nel corso della scorsa estate, la strategia dei gruppi jihadisti del Sinai, affiliati al Califfato, era chiara: colpire gli obiettivi internazionali presenti in Egitto, in modo da minare l’economia del Paese nordafricano, spinta soprattutto dal turismo.
Come riportato da Il Fatto Quotidiano, infatti, nel 2014 il turismo ha costituito il 14% del Pil egiziano. L’11,6% della popolazione è impiegata in questo settore. Circa 10 milioni di turisti stranieri, di cui 2 milioni russi, hanno visitato le Piramidi o hanno soggiornato in località come Sharm El-Sheik lo scorso anno.
Proprio adesso che inizia l’alta stagione, l’incidente dell’airbus russo rischia di piegare l’economia e di incidere negativamente sulla disoccupazione. In poche parole, dopo la caduta del regime di Mubarak e l’elezione di Morsi, poi arrestato, al Sisi rischia di non poter più tenere a bada una popolazione che, anche a causa delle condizioni di povertà, era stata protagonista della Primavera Araba nel 2011. E forse, come accaduto in un altro incidente aereo nel 1999, la conferma ufficiale da parte dell’autorità egiziane non arriverà mai.
Alla radice di tutto ciò, la messa al bando della Fratellanza Musulmana e l’intervento militare in Libia a difesa del governo di Tobruk hanno provocato la reazione e una duplice strategia di quell’altra parte dell’Islam, quella riconducibile al Daesh.
Sul fronte egiziano, la strategia del Califfato è quella di minare la stabilità del Paese, come già fatto in Siria e Iraq, in modo che esso non sia più un attore che dialoga con l’Occidente, come accaduto durante il regime di Mubarak e come sta accadendo ora.
Per quanto riguarda il contesto geopolitico, l’obiettivo è quello di evitare l’eventuale stabilizzazione della vicina Libia. Il che passa dalla mancata creazione di un governo di unità nazionale, ma anche dall’eliminare un possibile alleato di un eventuale intervento militare sotto l’egida delle Nazioni Unite.
Il plebiscito ottenuto da al Sisi nelle elezioni in corso e lo sfoggio di potere dimostrato dal presidente egiziano in occasione dell’inaugurazione dell’allargamento del Canale di Suez potrebbero diventare un ricordo se il Paese assistesse ad un tracollo sociale ed economico.
Giacomo Pratali
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