GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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La Francia dei Cedri a un mese dal disastro di Beirut

MEDIO ORIENTE di

E’ passato appena un mese dal 4 agosto 2020, data in cui 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio abbandonate all’interno dell’area portuale di Beirut sono esplose causando un impatto così violento da essere registrato persino dall’isola di Cipro, a circa 240 chilometri dalla capitale del Libano. Il bilancio è disastroso, in termini di vite si contano più di 200 morti e migliaia di feriti, e inoltre, come se non bastasse, l’esplosione dell’area portuale, centro economico della città, ha peggiorato ulteriormente la situazione economica del Paese, ufficialmente in crisi dagli inizi di marzo, quando il premier Diab aveva dichiarato default, ma la cui precarietà ha radici ben più lontane. E da qui nell’arco di questo mese la classe politica ha quindi ceduto alle forti pressioni del popolo libanese, comportando così le dimissioni in blocco del governo alcuni giorni dopo l’esplosione; infatti il 10 agosto lo stesso Hassan Diab, primo ministro in carica da appena sette mesi, ha rassegnato le dimissioni dell’esecutivo di fronte al Presidente Michel Aoun, aggravando ulteriormente l’instabilità del Paese, che oramai non riesce più a garantire ai propri cittadini servizi essenziali come l’alimentazione, una carenza peraltro esacerbata dal disastro che ha distrutto circa l’85% delle scorte nazionali di cereali. Leggi Tutto

Il Presidente Juncker in visita al porto spaziale europeo

Europe di

Nella giornata di venerdì 27 ottobre, il Presidente della Commissione europea Juncker, insieme al Presidente francese Macron, si recheranno in visita presso il Centro spaziale della Guyana, a Kourou. L’infrastruttura unica è nata per garantire all’Europa un accesso autonomo allo spazio, in linea con la strategia spaziale per l’Europa, presentata nell’ottobre del 2016.

La Commissione si sta impegnando nello sviluppo di progetti spaziali su larga scala, come il programma di osservazione della Terra Copernicus e i programmi di navigazione satellitare Galileo e EGNOS, per un investimento complessivo di oltre 12 miliardi di euro nel periodo 2014-2020.

La Strategia spaziale per l’Europa, approvata lo scorso anno, risponde alla crescente concorrenza globale, aumentando il coinvolgimento del settore privato e contribuendo alle principali evoluzioni tecnologiche. I programmi spaziali europei forniscono servizi che sono già diventati indispensabili nella vita di ogni giorno, dai dati che servono per l’utilizzo di apparecchi elettronici, fino alla protezione delle infrastrutture fondamentali, come le centrali elettriche. Inoltre contribuiscono alla gestione delle frontiere, ai controlli marittimi e ambientali, migliorano la risposta in caso di catastrofi naturali e servono nel controllo dei cambiamenti climatici.

Con l’approvazione da parte della Commissione della Strategia spaziale per l’Europa, sono stati previsti una serie di interventi che permetterebbero ai cittadini europei di beneficiare pienamente delle opportunità offerte dallo spazio. Ciò, di fatti, sta permettendo la creazione di un ecosistema ideale per la crescita delle start-up, il cui fine è quello di promuovere il primato dell’Europa nel settore e aumentare la sua quota sui mercati mondiali delle attività spaziali.

Per quanto riguarda i prodotti e i servizi offerti dai programmi spaziali dell’UE, sono disponibili un video e una scheda dettagliata in francese e inglese.
È possibile seguire la visita del Presidente Juncker in Guyana sul portale audiovisivo della Commissione europea.

Trump e l’Europa, prove generali dello scontro?

AMERICHE/EUROPA/POLITICA/SICUREZZA di

Rilevata l’importanza dell’asse Francia-Germania all’interno dell’Unione Europea (https://goo.gl/fU4azs) e quanto dipenderà soprattutto da esso lo sviluppo dell’integrazione in materia di Difesa e Sicurezza, è necessario sottolineare che la relazione tra l’UE e il partner transatlantico continua e continuerà ad influenzare i progressi comunitari in ambito di “hard policies” sia agendo che non agendo.

Lungi dal voler ridurre il rapporto tra NATO e Difesa UE ad una mera compensazione per cui se la NATO difetta, gli alleati europei danno nuovo impulso all’integrazione UE di Difesa e Sicurezza, e viceversa, è, però, da notare come negli ultimi mesi la retorica europea abbia evidenziato la necessità di maggiore integrazione UE proprio a causa di una sopraggiunta inaffidabilità del partner americano (in particolare si rimanda alla dichiarazione della Cancelliera Merkel “The times in which we could rely fully on others — they are somewhat over”, a margine del summit NATO a Bruxelles).

Neanche dopo 5 mesi dal summit NATO di Bruxelles, il rapporto UE-NATO sembra essere messo alla prova su un dossier scottante, l’Iran. Durante la conferenza stampa del 13 ottobre, il Presidente americano Donald Trump ha annunciato una nuova strategia USA per l’Iran che si fonderà su:

  1. Un lavoro congiunto con gli alleati per lottare contro il ruolo destabilizzante di Teheran.
  2. Un nuovo regime di sanzioni contro il paese.
  3. Nuove azioni per contrastare non più solo la corsa al nucleare, ma la proliferazione missilistica e di armi che possano minacciare la regione, il commercio internazionale e la libertà di navigazione.
  4. Un rinnovato impegno contro ogni possibile percorso iraniano verso il nucleare.

Concludendo, il Presidente Trump ha annunciato che non certificherà più l’effettivo rispetto dell’accordo da parte iraniana presso il Congresso, de facto delegando ad esso la stesura di un nuovo set di requisiti per l’Iran che comprenda anche misure di contro-proliferazione missilistica. Nel caso in cui il Congresso non riuscisse nel suo intento, il Presidente si riserva di “terminare l’accordo”.

Quello che Trump sembra proporre più che una nuova strategia sembra un ritorno all’approccio pre-2015 e in maniera neanche troppo radicale. Le uniche due manovre dichiarate, nuove sanzioni contro le Guardie della Rivoluzione Islamica e la non-certificazione, non implicano l’uscita degli USA dall’accordo. Ci si chiede se, quindi, le discussioni in Congresso siano un pro-forma e il Partito Repubblicano, facendo fallire qualsiasi compromesso, voglia appoggiare il Presidente (che ha criticato aspramente l’Iran Deal) permettendogli, così, di tirare fuori gli Stati Uniti dall’accordo, oppure se, effettivamente, Trump abbia delegato al Congresso la gestione di un dossier così importante come quello dell’accordo iraniano.

Intanto, le reazioni dei leader europei non si sono fatte attendere. Emmanuel Macron, Theresa May e Angela Merkel hanno preso parola congiuntamente con un comunicato stampa che recita:

We stand committed to the JCPoA and its full implementation by all sides. Preserving the JCPoA is in our shared national security interest. […] Therefore, we encourage the US Administration and Congress to consider the implications to the security of the US and its allies before taking any steps that might undermine the JCPoA, such as re-imposing sanctions on Iran lifted under the agreement.”

Simili le parole di Paolo Gentiloni:

L’Italia […] si unisce alla preoccupazione espressa dai Capi di Stato e di Governo di Francia, Germania e Regno Unito per le possibili conseguenze. Preservare l’accordo, unanimemente fatto proprio dal Consiglio di Sicurezza nella Risoluzione 2231, corrisponde a interessi di sicurezza nazionali condivisi.”

Federica Mogherini, Alto rappresentante dell’UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza, in maniera più dura ha dichiarato che:

We cannot afford as the international community to dismantle a nuclear agreement that is working. This deal is not a bilateral agreement […] The international community, and the European Union with it, has clearly indicated that the deal is, and will, continue to be in place.”

Stiamo osservando una cristallizzazione delle posizioni transatlantiche sull’Iran che porterà a risultati incerti per quanto riguarda la tenuta dell’accordo. Quello che è chiaro è che lo scontro sull’accordo iraniano è stato semplicemente ritardato e che, quando sorgerà, avrà delle conseguenze anche sul ruolo della NATO in Europa.

Guarda anche “Sull’Iran, tutti contro Trump – Infografica

Lorenzo Termine

La Francia al bivio, tra Il tecnocrate europeista e La “pasionaria” sovranista

EUROPA di

Dal primo turno delle elezioni presidenziali francesi, che si è svolto domenica 23 aprile, è sembrato emergere un temporaneo rallentamento dell’ascesa di Marine Le Pen, da molti temuta e da altri – ma molti di meno – auspicata.     Si è attestata tra il 21 e il 22% e, considerando la mancanza di alleati e la chiusura, nei suoi confronti, dei concorrenti “caduti” al primo turno, un incremento di consensi tale da portarla alla vittoria al secondo sembra un obiettivo di difficile realizzazione.

Benché i sondaggi di queste ultime due settimane abbiano, in certe fasi, registrato una crescita di consenso più rapida di quella di Macron, la forbice a favore di quest’ultimo sembra tuttora piuttosto ampia.     Ma le diffuse preoccupazioni in ordine alla sicurezza, alle migrazioni, al terrorismo internazionale, la delusione verso la governance europea rivestono un peso che non deve essere sottovalutato.

E occorre inoltre considerare le incognite legate al disimpegno sulla candidatura Macron da parte di Mélenchon, candidato al primo turno del movimento di sinistra “La France Insoumise”.     A chi andranno quei voti, circa il 20 % ?   La stessa astensione, secondo autorevoli osservatori, giova soprattutto all’appassionata Marine.

La corsa di Macron all’Eliseo ha colto, comunque, una congiuntura favorevole, segnata dal declino dei maggiori partiti e dalla tendenza della classe politica tradizionale a fare quadrato, a tutti i costi, per impedire la vittoria della destra “sovranista” di Marine Le Pen, arrivata, come era prevedibile, al ballottaggio.   L’aspettativa per la vittoria di Macron si è così consolidata, dopo il primo turno.   Già in ambito internazionale, gli ambienti politici cominciano ad interrogarsi sulla possibile reiterazione, negli altri contesti nazionali, di un modello analogo a quello realizzato in Francia dal giovane tecnocrate e outsider e dal suo nuovo movimento denominato “En Marche !”.     Soprattutto in Italia, in cui le incognite su equilibri, alleanze e identità stentano a trovare soluzione, sembra si sia scatenata la caccia per individuare, nel confuso scenario contingente, il possibile “nuovo Macron” !

Il fondatore e leader di “En Marche !” è un tecnocrate, un manager che è stato chiamato, in virtù delle sue competenze e delle qualificate esperienze professionali, a rivestire l’incarico di Ministro dell’Economia nel secondo governo Valls e che ha lasciato il Partito Socialista, ancora maggioritario nel Parlamento uscente, ma in condizioni di rapido declino, come ha dimostrato il risultato di Hamon – e la stessa rinuncia a ricandidarsi del Presidente Hollande, inconsueta nella storia della Quinta Repubblica, dopo un solo mandato – e ha fondato lo scorso anno un nuovo movimento, dall’identità ancora un po’ vaga e incerta, ma in grado di suscitare interesse e fiducia in una parte crescente di elettorato, ormai stanco dello schema di contrapposizione tradizionale socialisti-gollisti, ma spaventato dalla possibile alternativa lepenista.

En Marche! ha assunto una connotazione di centro, centrosinistra, che non disdegna tuttavia il dialogo con il centrodestra, tanto che Fillon, candidato appunto del centrodestra (“Les Républicains”, di matrice gollista) al primo turno, subito dopo si è affrettato ad invitare i suoi elettori a sostenere Macron nel ballottaggio.   E altrettanto ha fatto Hamon, candidato socialista.   Ma i sondaggi registrano anche possibili defezioni, tra gli elettori di Fillon e Hamon, rispetto ai richiami dei due leaders in favore di Macron.   Defezioni tendenti all’astensione, o addirittura all’opzione Le Pen (questo, in misura maggiore, è stato riscontrato nell’area di centrodestra).

La convergenza di Fillon e Hamon su Macron è dovuta soprattutto all’esigenza di arginare le possibilità di vittoria di Marine Le Pen, ma forse si può ritenere agevolata proprio da quella sorta di equidistanza che l’identità non ancora ben delineata, o comunque fuori dagli schemi, del nuovo movimento, fondato dall’ex ministro dell’Economia, sembra evidenziare rispetto alle due forze che fino ad ora si sono contese la guida della Quinta Repubblica.

Macron è un convinto europeista e ritiene che la globalizzazione possa costituire un’opportunità, non una minaccia per l’economia francese.     Intende innovare e moralizzare il confronto politico nel suo paese e superare lo schema destra-sinistra, secondo nuove interpretazioni delle sfide che investono il nostro tempo.     Si pone nell’alveo progressista, ma non appare neppure troppo lontano dalle posizioni neogolliste, tanto che Fillon non ha manifestato un particolare imbarazzo, assicurandogli il proprio sostegno.

Che possa essere questo, forte proprio di tale pragmatismo post ideologico, il segreto del successo conseguito dall’ex banchiere ed ex ispettore delle finanze, già consigliere di Hollande e ministro socialista e rappresentare quindi la ricetta per affrontare la crisi dei partiti tradizionali di governo anche in altri paesi d’Europa, arginando, con realismo e concretezza, scevra di tentazioni demagogiche, la crescita dei cosiddetti populismi antieuropei e sovranisti ?   Fenomeni questi, efficaci quando assecondano e stimolano paure e diffidenze diffuse nell’opinione pubblica, ma più carenti nella progettualità e nell’individuazione di soluzioni alternative alle politiche che contestano.

La ricetta Macron, considerando l’appoggio incassato dal repubblicano Fillon e dal socialista Hamon, dovrebbe ritenersi orientata, in caso di vittoria nelle presidenziali, a privilegiare comunque il dialogo con quelli che sono stati finora i due maggiori partiti, o comunque con uno dei due.   Questo dialogo si renderà necessario, perché difficilmente il “giovane” movimento di Macron, anche a seguito dell’eventuale elezione alla Presidenza del suo leader, potrà ottenere, nelle successive elezioni legislative di giugno, una maggioranza autosufficiente nell’Assemblea Nazionale.

Il sistema semipresidenziale vigente nella Quinta Repubblica francese richiede la creazione di un rapporto fiduciario tra l’Assemblea Nazionale e il Governo, costituito da un Primo Ministro e dai ministri che saranno nominati dal nuovo Presidente.   Sempre nell’ipotesi di elezione di Macron alla Presidenza, il suo movimento, pur traendo certamente un sensibile beneficio da questa vittoria nelle elezioni dell’Assemblea Nazionale, potrebbe scontare, in quell’occasione, lo scarso radicamento territoriale dovuto al suo recentissimo esordio sulla scena politica.

Parlamentari uscenti e dirigenti di lungo corso dei due partiti che si sono, per oltre mezzo secolo, contesi il governo della Quinta Repubblica potrebbero dare filo da torcere, nei singoli collegi, ai neofiti seguaci di Macron e riscattare, in quella fase, l’insuccesso dei rispettivi candidati – Fillon e Hamon – alla Presidenza.

Dunque, in questa prospettiva, Macron, per evitare il rischio di una sostanziale ingovernabilità, dovrebbe sviluppare affinità e convergenze con i partiti tradizionali, finalizzate non soltanto all’esigenza di contrastare l’estrema destra lepenista, ma anche ad una condivisione programmatica, senza la quale non si può realizzare una coalizione di governo. Difficile poi prevedere, al momento, se le convergenze dovranno ricercarsi con i repubblicani o con i socialisti, o forse con entrambi, nell’eventuale prospettiva di Grande Coalizione che potrebbe costituire, peraltro, la direttrice della politica europea dei prossimi anni, spostandosi gradualmente il confronto, dallo schema popolari-socialisti a quello sovranisti-europeisti (potrebbe essere il caso della Germania, dopo le prossime elezioni politiche, forse anche dell’Italia,… chissà !?…ipotesi “futuribili”, indotte tuttavia da una evidente crisi di rappresentatività delle “categorie” politiche cui da tempo ci eravamo assuefatti).

Ancor più critico apparirebbe il quadro, in caso di vittoria, nel ballottaggio, di Marine Le Pen, perché poi, nelle elezioni legislative, potrebbe ottenere ancor meno seggi parlamentari.   Un partito isolato, come il Front National, non è molto competitivo, con il sistema a doppio turno e avrebbe ancor meno possibilità di quelle di Macron di ottenere una maggioranza nell’Assemblea Nazionale, anzi, in genere stenta ad ottenere una sia pur minima rappresentanza.   Con l’elezione della sua leader alla Presidenza della Repubblica si verificherebbe forse un effetto trascinamento, ma difficilmente potrebbe conseguire una forza parlamentare, in grado di reggere da sola le sorti del governo.   Ne potrebbe derivare il ricorso alla “coabitazione” tra la nuova Presidente e un Primo Ministro del tutto eterogeneo e politicamente ostile, con riflessi assai problematici, per la navigazione governativa.

Un quadro, dunque, incerto, per il futuro istituzionale di questa grande potenza europea, un futuro che ora è affidato alla scelta del popolo sovrano che si pronuncerà domenica 7 maggio.

Alessandro Forlani

Alessandro Forlani
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