GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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Ucraina, Kiev: almeno un morto e 90 feriti

BreakingNews/EUROPA di

Almeno un morto e circa 90 feriti, soprattutto poliziotti e volontari della Guardia Nazionale Ucraina, dopo una serie di ordigni fatti esplodere nella piazza antistante al Parlamento di Kiev da parte di manifestanti della destra nazionalista, in particolare riconducibili al partito Svoboda. La protesta è divampata a seguito dell’approvazione della prima bozza della riforma costituzionale sul decentramento istituzionale che, in linea con gli accordi di Minsk 2, prevede lo statuto speciale per le regioni di Donetsk e Lugansk.

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Un ritorno alle proteste di piazza nella capitale, dunque, ad un anno e mezzo dagli scontri di Maidan. Se gli accordi di Minsk 2 finora non erano stati rispettati per il susseguirsi degli scontri nel Donbass e il continuo rimbalzo di accuse tra Kiev e Mosca, adesso sono i gruppi nazisti a non volere cedere sul piano delle autonomie. La stessa parte politica che, negli ultimi mesi, ha visto arruolare il maggiore numero di volontari tra le brigate che combattono contro i separatisti filorussi.

Oltre alla questione dei jihadisti loro alleati in questa guerra civile, oltre alla crisi economica ucraina ormai endemica testimoniata da un debito pubblico fuori controllo, si pone il problema della collocazione nella società civile di alcuni soggetti politici sorti in difesa dei confini ucraini. La questione, infatti, non è più solo porre fine al conflitto interno al Paese e a quello internazionale che coinvolge Nato e Russia, ma il ritorno alla normalità di uno Stato che rischia di rimanere irrimediabilmente segnato al proprio interno: la destra nazista e miliziani islamisti potrebbero costituire un problema reale a due passi dall’Europa.
Giacomo Pratali

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Ucraina: 7 morti e 15 feriti nelle ultime 24 ore

EUROPA di

Tra le vittime ci sono ribelli filorussi, civili e un soldato dell’esercito. Nella giornata di domenica altri 7 militari separatisti sono rimasti uccisi in un attentato.

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Altre 7 morti e almeno 15 feriti tra lunedì 25 e martedì 26 maggio nel Donbass. Questo il bilancio degli scontri che continuano nell’est dell’Ucraina. Tra le vittime ci sono 4 miliziani, 2 civili (a seguito dei bombardamenti contro l’impianto siderurgico di Avdiyivka) e 1 soldato. A riportare le cifre sono stati Andrii Lisenko, Portavoce dell’esercito di Kiev, ed Eduard Basurin, Viceministro della Difesa di Donetsk.

Ma la tregua sancita dagli accordi di Minsk di febbraio continua a scricchiolare. Domenica 24 maggio, infatti, 7 soldati separatisti sono rimasti uccisi a seguito di un attentato sull’autostrada Lugansk-Perevalsk. Tra questi, Alexiei Mozgovoi, Comandante della ‘Brigata Fantasma’ e tra i più influenti leader del fronte filorusso. Le accuse sono ricadute fin da subito sul governo ucraino, ma Kiev ha risposto che l’omicidio sarebbe avvenuto dopo un regolamento di conti interno tra i ribelli.
Giacomo Pratali

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Ucraina: soldati russi catturati “erano armati, ma non avevano ordine di sparare”

EUROPA di

L’Osce rende noti i dettagli della missione dei militari di Mosca, sorpresi a combattere con i ribelli del Donbass. Nonostante la quotidiana inosservanza del cessate il fuoco, la guerra civile appare in una fase di stallo. Mentre la Casa Bianca e il Cremlino fanno prove di disgelo, il prossimo inverno appare decisivo per le sorti del conflitto.

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“Erano armati, ma non avevano l’ordine di sparare. Uno di loro ha detto di avere ricevuto ordini dalla sua unità militare di andare in Ucraina”. È quanto comunicato dall’Osce dopo che, lunedì 18 maggio, due soldati russi erano stati catturati sul suolo ucraino mentre combattevano a fianco delle milizie filorusse. Dopo l’arrivo dei convogli militari lo scorso inverno, intercettati dai satelliti Usa, questa è la conferma definitiva di un’ingerenza esterna nella guerra civile nel Donbass. Un’ingerenza che fa seguito al video, risalente al gennaio 2015, in cui un soldato americano è stato filmato tra le fila dell’esercito di Kiev.

Ma la crisi in Ucraina, tuttavia, sembra essere ancora in fase di stallo. Malgrado i continui scontri, soprattutto nei pressi dell’aeroporto di Donetsk e attorno alla città portuale di Mariupol, confermino la fallacia del cessate il fuoco decretato dagli accordi di Minsk di febbraio. La vera resa dei conti sembra essere rinviata al prossimo inverno, quando tornerà in gioco la questione delle forniture di gas da parte di Mosca.

La guerra fredda che ne consegue ha intanto dato i primi, timidi segnali di disgelo. Gli incontri di metà maggio tra il segretario di Stato Usa Kerry e il presidente Putin, la prima visita ufficiale sul suolo russo dall’inizio della crisi ucraina, mostrano la volontà di dialogo tra le due parti.

Oltre ad avere parlato del caso Siria, della possibile vendita dei missili russi S-300 all’Iran e del conflitto in corso in Yemen, il futuro dell’Ucraina è stato al centro del dialogo intercorso tra le due amministrazioni. Gli Stati Uniti vogliono entrare a tutti gli effetti nel tavolo delle trattative composto da Russia, Ucraina, Francia e Germania, che ha portato al Protocollo di Minsk di febbraio.

Nell’incontro con il ministro degli Affari Esteri Lavrov, Kerry si è dimostrato concorde nell’evidenziare che, il rispetto di tali accordi, dovrebbe portare alla fine del conflitto civile nel Donbass. Ma altrettanto evidente è stato l’imbarazzo sulla volontà di Kiev di riprendersi manu militari Donetsk, nonché sulle sanzioni economiche imposte a Mosca.

La presenza, in questo caso ufficiale, delle truppe militari statunitense nella base Nato di Javorov (vicina al confine con la Polonia) è motivo di frizioni con la Russia. Qui, da aprile, sono in corso l’addestramento di quasi 1000 milizie dell’esercito ucraino. Ed è proprio questo punto a frenare una vera e totale distensione tra Washington e Mosca.

Se a questo, aggiungiamo le continue dichiarazioni antirusse del presidente ucraino Poroshenko e del premier Yatseniuk, vediamo che la definizione di questa crisi geopolitica appare distante. Da una parte, Kiev accusa il Cremlino di avere mire antioccidentali e chiede aiuti economici e militari a Stati Uniti ed Unione Europea. Dall’altra parte, Mosca non intende rinunciare alle regioni russofone in territorio ucraino (Donetsk, Lugansk e la Crimea), che considera la risposta allo schieramento di forze e armamenti militari Nato negli Stati un tempo facenti parte del Patto di Varsavia.
Giacomo Pratali

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Giacomo Pratali
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