GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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La Turchia senza Europa, un nuovo equilibrio in medio oriente

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La decisione delle autorità olandesi di vietare l’ingresso nel Paese ai ministri turchi Fatma Betül Sayan Kaya e Mevlüt Çavusoglu, preceduta da iniziative analoghe delle municipalità tedesche e dell’Esecutivo austriaco, ha innescato una grave crisi tra i due Stati segnata dalla sospensione delle relazioni diplomatiche di alto livello tra l’Aja ed Ankara e dalla chiusura dello spazio aereo turco ai diplomatici dei Paesi Bassi, ampliando così la frattura già esistente tra l’Unione europea e la Turchia filo-islamica di Erdogan.

A provocare questo crescendo di tensione tra il Governo conservatore di Ankara ed i suoi alleati occidentali, sono stati, oltre al recente rifiuto di Germania, Austria e Olanda di ospitare sul proprio territorio nazionale rappresentanti turchi in campagna elettorale per il sì al referendum costituzionale, anche, e soprattutto, la posizione ambigua assunta da Ankara nelle crisi geopolitiche regionali (in particolare nella guerra civile siriana), e la risposta eccessiva e violenta di Erdogan al tentato golpe del 15 luglio scorso, con cui il Presidente turco è riuscito a indebolire ogni contro-potere interno.

La svolta autoritaria guidata dal leader dell’Akp ha prodotto, infatti, un drammatico deterioramento dello Stato di diritto che è stato rilevato anche nell’ultimo Rapporto annuale della Commissione europea sui negoziati di adesione della Turchia all’UE ed ha aumentato le preoccupazioni all’interno di molti Stati membri.

Questi ultimi hanno lanciato un duro monito alla dirigenza politica turca dichiarando che le recenti azioni del Governo di Ankara nel capo dei diritti umani e della libertà di espressione, incluse le valutazioni sulla reintroduzione della pena di morte, la sempre minore indipendenza della magistratura e la discriminazione delle minoranze, sono incompatibili con il desiderio ufficiale dello Stato turco di diventare membro dell’Unione e stanno mettendo a repentaglio i progressi fatti da Ankara nell’ultimo decennio per conformarsi ai criteri di Copenaghen.

In realtà, i negoziati per l’adesione, avviati nel 2005, sono rimasti bloccati, oltre che per la mancata pacificazione del conflitto curdo ed il lento processo di consolidamento della fragile democrazia turca, anche a causa della posizione di Francia, Germania, Austria e Cipro da sempre contrarie all’ingresso di un Paese ad alta densità demografica che avrebbe mutato radicalmente i fondamentali economico- geografici e gli equilibri politici interni al blocco europeo.

Tali ostacoli all’adesione di Ankara all’UE, posti principalmente dall’asse franco-tedesco, mostrano come l’avvicinamento della Turchia all’Europa stia scontando un doppio affaticamento frutto, da un lato, di resistenze e problematiche interne all’UE e dall’altro, di un processo di riforme dello Stato turco che rallenta proporzionalmente alle difficoltà di dialogo con Bruxelles, aggravate sicuramente dal crescente euroscetticismo dell’opinione pubblica turca e dagli avvenimenti delle ultime settimane.

Dopo il comizio negato ed il respingimento dei ministri turchi in Olanda, la crisi diplomatica si è infatti estesa anche ad altri Paesi europei, coinvolgendo la Danimarca, che ha deciso di rimandare la visita del Ministro degli Esteri turco Yildirim in segno di solidarietà con i vicini olandesi, e alla Germania che ha espresso sdegno per le accuse di nazismo pronunciate dal Presidente Erdogan.

Anche a Parigi, dove tutti i canditati all’Eliseo hanno condannato la decisione delle autorità francesi di autorizzare una manifestazione pro-referendum dopo le dichiarazioni inaccettabili del Governo turco, è montata la polemica e la conseguente escalation della tensione tra l’Unione e la Turchia, aggravata anche dalla sentenza della Corte di Giustizia del 14 marzo sulla possibilità di vietare il velo islamico nei luoghi di lavoro all’interno dell’UE.

Ankara, da anni impegnata nelle procedure di ammissione all’Unione, si è ritrovata, quindi, in aperto contrasto con i Paesi europei che fino pochi mesi fa avevano scelto una politica più “morbida” e pragmatica nei confronti dello Stato turco, all’insegna della connivenza e della tacita accettazione del crescente autoritarismo di Erdogan, che permettesse all’Unione, incapace di trovare un’intesa sulla distribuzione equa dei migranti e di sorvegliare i propri confini, di risolvere, o quantomeno arginare, il problema migratorio riducendo il numero di profughi nel Mar Egeo.

È per rispondere a tale esigenza che è stato lungamente discusso, e poi concluso il 18 marzo 2016, l’accordo sulla gestione dei migranti tra Bruxelles ed Ankara, di cui il Governo turco ha già minacciato più volte la sospensione.

Tra i punti d’azione previsti dall’EU-Turkey Statement figurava anche l’accelerazione della tabella di marcia per la liberalizzazione dei visas con l’obiettivo di abolire entro giugno 2016 l’obbligo del visto per i cittadini turchi e favorire così il processo di integrazione di Ankara nell’Unione, che ora, alla luce dei recenti avvenimenti, sembra più una chimera che una reale possibilità.

La diffidenza reciproca e la profonda crisi di fiducia che esiste oggi tra i Paesi dell’Unione ed Ankara, hanno infatti reso l’opzione dell’adesione turca all’Unione europea sempre più impraticabile e determinato un’ulteriore perdita di interesse del Governo dell’Akp nei confronti dell’UE che sta spingendo la Turchia di Erdogan a ricercare ad Est alternative ai suoi alleati occidentali.

Di qui il progressivo rafforzamento dei legami politici, economici e diplomatici tra Mosca ed Ankara, riconducibile, non solo alla comune disillusione nei confronti dell’Europa, che ha deluso le aspettative di rapida inclusione della Turchia e le speranze russe di un rapporto collaborativo e paritario, ma anche alla presenza, in entrambi i Paesi, di movimenti tradizionalisti che tendono verso Est (insistendo sulla natura politica e culturale euroasiatica), nonché al progetto turco di impedire la nascita di un corridoio curdo tra Siria e Turchia (a cui neanche i russi sembrano particolarmente favorevoli) che costituirebbe una barriera enorme alle ambizioni espansionistiche di Ankara.

Per Erdogan, infatti, il separatismo curdo è diventato una minaccia maggiore della sopravvivenza del regime di Bashar al Assad, che fin dalla primavera del 2011 la Turchia aveva combattuto appoggiando prima il Free Syrian Army e poi i gruppi jihadisti.

Il sostegno statunitense alle milizie curde siriane dell’Ypg legate al Pkk, che ha incrinato profondamente le relazioni turco-americane, insieme alla preoccupazione di Teheran per i sommovimenti della minoranza curda iraniana nelle regioni settentrionali e occidentali del Paese, hanno determinato un netto cambiamento della posizione turca nel conflitto siriano che ha portato a uno spostamento degli equilibri diplomatici verso Est.

In questo senso deve essere letto il disgelo con Mosca e l’Iran di Rouhani (alleati di Damasco), ed il cambiamento della posizione di Ankara anche nella questione dei progetti turco-russi sui gasdotti e gli oleodotti diretti al mercato europeo attraverso l’Anatolia.

Il nuovo corso della politica estera turca, fondato su un importante coordinamento con Teheran (con cui permangono comunque divergenze strategiche) ed il Cremlino (che sta approfittando delle tensioni tra Ankara e l’UE per avvicinarsi ulteriormente ad Erdogan), mostra quindi uno slittamento del baricentro geopolitico della Turchia verso Russia, Cina e Iran, indispensabile ad Ankara per trasformarsi in una potenza euroasiatica egemone.

Di fronte a tale situazione geopolitica di spostamento a oriente del potere economico e politico, emerge con sempre maggior evidenza la crisi del progetto europeo e la progressiva marginalizzazione dell’Europa che, invece, ha sempre cercato nella Turchia un alleato chiave nella lotta al terrorismo e nella gestione della crisi migratoria.

La riconciliazione turco-russa e l’inasprimento dei rapporti tra Ankara e Bruxelles mostrano, al contrario, una Turchia sempre più lontana dalla NATO e un Erdogan più propenso a portare avanti una politica interna ed estera indipendente dall’Occidente che potrebbe condurre all’affossamento dei negoziati con l’Unione, alla trasformazione della Turchia in una Repubblica presidenziale senza pesi e contrappesi sul modello russo e a un importante cambiamento degli equilibri geopolitici nel Vicino e Medio Oriente a vantaggio delle grandi potenze asiatiche.

 

Marta Panaiotti

 

Consiglio Europeo prende posizione sul traffico di migranti

EUROPA di

In seguito alla riunione con il primo ministro Davutoğlu, i capi di Stato e di governo dell’UE hanno affrontato la situazione in materia di migrazione, in particolare per quanto concerne la rotta dei Balcani occidentali. Hanno accolto con favore la discussione avuta con il primo ministro turco sulle relazioni UE-Turchia e sui progressi compiuti nell’attuazione del piano d’azione comune, di cui in questi giorni abbiamo parlato su europeanaffairs.media.

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La Turchia ha confermato il suo impegno ad attuare l’accordo bilaterale greco-turco in materia di riammissione al fine di accettare il rapido ritorno di tutti i migranti non bisognosi di protezione internazionale che hanno compiuto la traversata dalla Turchia alla Grecia e di riaccogliere tutti i migranti irregolari fermati nelle acque turche.

I capi di Stato e di governo hanno convenuto che sono necessarie iniziative coraggiose per chiudere le rotte del traffico di esseri umani, smantellare il modello di attività dei trafficanti, proteggere le nostre frontiere esterne e porre fine alla crisi migratoria in Europa. Secondo i politici europei, occorrerà in particolare spezzare proprio il legame che esiste tra la traversata in mare e l’insediamento in Europa.

Per questo è stata sottolineata l’importanza dell’attività della NATO nel mar Egeo, diventata ormai già operativa. Anche i membri non UE della NATO sobo stati invitati a sostenere attivamente queste iniziative.

Tra gli ulteriori e nuovi obiettivi prefissati dal Consiglio spiccano quello di far rientrare, a spese dell’UE, tutti i nuovi migranti irregolari che hanno compiuto la traversata dalla Turchia alle isole greche e far sì che, per ogni siriano che la Turchia riammette dalle isole greche, un altro siriano sia reinsediato dalla Turchia negli Stati membri dell’UE, secondo quanto previsto dagli accordi esistenti.

Il presidente del Consiglio europeo porterà avanti dette proposte e definirà i dettagli con la parte turca prima della prossima riunione dell’alto consesso politico.

I capi di Stato e di governo dell’UE hanno inoltre discusso con il primo ministro turco in merito alla situazione dei media in Turchia ed hanno inoltre ricordato che il Consiglio europeo, nella riunione del 18 e 19 febbraio, ha deciso di ripristinare una situazione in cui tutti i membri dello spazio Schengen applichino appieno il codice frontiere Schengen, tenendo conto al contempo delle specificità delle frontiere marittime, e di porre fine ad un atteggiamento sinora rivelatosi permissivo.

Secondo i politici europei, inoltre, i flussi irregolari di migranti lungo la rotta dei Balcani occidentali si sarebbero fortunatamente esauriti.

Affinché tale situazione possa perdurare è necessario intervenire secondo le seguenti linee:

  • stare al fianco della Grecia in questo momento difficile e fare tutto il possibile per contribuire a gestire la situazione che si è venuta a creare in seguito a tali sviluppi. Si tratta di una responsabilità collettiva dell’UE che richiede una mobilitazione rapida ed efficiente di tutti gli strumenti e le risorse dell’UE disponibili, nonché dei contributi degli Stati membri;
  • fornire una risposta immediata ed efficace alla situazione umanitaria estremamente difficile in rapida evoluzione sul terreno. La Commissione, in stretta collaborazione con la Grecia, gli altri Stati membri e le organizzazioni non governative, fornirà urgentemente un sostegno di emergenza sulla base di una valutazione, effettuata dalla Commissione e dalla Grecia, delle necessità e di un piano di emergenza e di risposta. In questo contesto, i capi di Stato o di governo accolgono con favore la proposta della Commissione sulla fornitura di sostegno di emergenza all’interno dell’UE ed esortano il Consiglio ad adottarla prima del Consiglio europeo di marzo, ampliando in tale modo la gamma di strumenti finanziari utilizzabili, e invitano l’autorità di bilancio ad adottare le eventuali misure di follow-up necessarie;
  • fornire ulteriore assistenza alla Grecia nella gestione delle frontiere esterne, comprese quelle con l’ex Repubblica jugoslava di Macedonia e l’Albania, e garantire il corretto funzionamento dei punti di crisi, con il 100% di identificazioni, registrazioni e controlli di sicurezza, e la messa a disposizione di sufficienti capacità di accoglienza. Frontex lancerà al più presto un’ulteriore richiesta di agenti distaccati nazionali e tutti gli Stati membri dovrebbero rispondere in maniera esaustiva entro il 1º aprile. Europol schiererà rapidamente gli agenti distaccati in tutti i punti di crisi al fine di potenziare i controlli di sicurezza e sostenere le autorità greche nella lotta contro i trafficanti;
  • aiutare la Grecia ad assicurare il ritorno generale, su larga scala e accelerato in Turchia di tutti i migranti irregolari che non necessitano di protezione internazionale, in base all’accordo di riammissione Grecia-Turchia e, dal 1º giugno, all’accordo di riammissione UE-Turchia;
  • accelerare in maniera significativa l’attuazione della ricollocazione al fine di alleviare il pesante onere che grava attualmente sulla Grecia. L’EASO lancerà un’ulteriore richiesta di consulenze nazionali per sostenere il sistema di asilo greco e tutti gli Stati membri dovrebbero rispondere in maniera rapida ed esaustiva. Gli Stati membri sono altresì invitati a fornire con urgenza ulteriori posti di ricollocazione. La Commissione riferirà mensilmente al Consiglio in merito all’attuazione degli impegni in materia di ricollocazione;
  • continuare a cooperare strettamente con i paesi dei Balcani occidentali non appartenenti all’UE e fornire la necessaria assistenza;
  • attuare gli impegni di reinsediamento esistenti e proseguire i lavori su un programma volontario credibile di ammissione umanitaria con la Turchia;
  • adottare immediatamente tutte le misure necessarie in relazione all’eventuale apertura di nuove rotte e intensificare la lotta contro i trafficanti;
  • portare avanti, in via prioritaria, tutti gli elementi della tabella di marcia della Commissione sul “ritorno a Schengen”, in modo da porre fine ai controlli temporanei alle frontiere interne e ripristinare il normale funzionamento dello spazio Schengen prima della fine dell’anno.
    Il presente documento non fissa nuovi impegni per gli Stati membri per quanto concerne la ricollocazione e il reinsediamento.

Si tratta di misure urgenti che devono essere adottate nel contesto dell’attuale situazione sul terreno e dovrebbero essere oggetto di costante valutazione. Il Consiglio europeo ritornerà sul fascicolo della migrazione in tutti i suoi aspetti in occasione del Consiglio europeo di marzo per consolidare ulteriormente l’attuazione congiunta europea della nostra strategia globale in materia di migrazione.

 

Domenico Martinelli

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Domenico Martinelli
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