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Covid-19, la Repubblica Ceca tra riaperture, aiuti europei e prevenzione

EUROPA di

La Repubblica Ceca, colpita dalla pandemia del Covid-19 già dai primi di marzo, sta attraversando ora una fase molto simile a quella degli altri paesi europei: pianificare le prime riaperture ma continuare a prevenire l’ulteriore diffusione del virus, senza recare eccessivi danni all’economia. Un’impresa non da poco che Praga affronta grazie alle misure di aiuti di Stato approvati dalla Commissione europea e dal prestito della Banca di sviluppo del Consiglio d’Europa, ed inoltre estendendo la “smart quarantine”, provata nella Moravia meridionale, in tutto il paese.

Le ultime misure del governo

In vista di un futuro allentamento delle misure di lockdown ma con la volontà di scongiurare l’ulteriore diffusione del coronavirus, il governo di Praga ha preso molteplici misure. Il ministro della Sanità Vojtech ha annunciato il 21 aprile il lancio di un test su larga scala di persone selezionate in modo casuale in determinate località del Paese. “Stiamo lanciando uno studio unico sull’immunità collettiva. 27.000 persone saranno testate per la presenza di coronavirus. Vogliamo scoprire quanta parte della popolazione ha riscontrato l’infezione e quale immunità hanno i diversi gruppi di età. Di conseguenza, saremo in grado di comprendere meglio la situazione e creare una previsione per lo sviluppo futuro”, ha dichiarato Vojtech su Twitter. Lo studio avrà luogo a Praga, Brno e dintorni, Olomouc e dintorni, Litoměřice, Litovel e Uničov. La partecipazione è volontaria, ma i partecipanti non devono avere alcun sintomo associato al Covid-19, né possono essere stati precedentemente contagiati dal virus.
Inoltre, a partire dal 20 aprile è stato possibile riaprire diverse attività: negozi di artigiani (evitando comunque il diretto contatto con i clienti), rivenditori di automobili e mercati all’aperto. Gli studenti universitari potranno tornare all’università per avere colloqui individuali con i docenti in caso di necessità; si possono celebrare matrimoni (con un massimo di 10 persone come ospiti) e gli atleti professionisti potranno tornare ad allenarsi all’aperto.
Un’altra importante misura riguarda gli aiuti che lo Stato fornisce alla popolazione: i lavoratori autonomi colpiti dalla pandemia riceveranno a maggio un pagamento di 15.000 corone dallo stato, secondo quanto ha dichiarato il Primo Ministro Babiš. “Il governo è anche pronto per i pagamenti a giugno, se necessario”, ha poi aggiunto. Già ad aprile era stata approvata una politica di aiuti, una somma forfettaria di 25.000 corone. Per accedere al pagamento, i richiedenti devono dimostrare di soddisfare due condizioni: essere un lavoratore autonomo; l’attività autonoma del richiedente deve essere la sua attività principale.

L’estensione della Smart Quarantine

Come ulteriore forma di prevenzione, a partire dal 20 aprile, il progetto di “quarantena intelligente” testato sulla regione della Moravia meridionale è stato esteso a tutto il paese. Si tratta di un progetto che prevede di rintracciare tutti i contatti avuti dalle persone che risultano positive al virus nei cinque giorni precedenti al tampone, creando delle mappe per ricostruire i loro movimenti con l’aiuto di banche e operatori di telefonia mobile. Tutti coloro con cui sono entrati in contatto i positivi verranno testati e messi in quarantena per evitare l’ulteriore diffusione del virus. La quarantena intelligente contribuirà all’accelerazione nel processo di identificazione dei nuovi casi di coronavirus, nonché nel processo di riapertura delle attività del Paese. Secondo quanto previsto, tutti i dati dovranno essere definitivamente cancellati dopo che la ricerca è stata completata, ed inoltre solo gli epidemiologi potranno accedere ai dati.

Aiuti dall’Europa

La Commissione europea ha approvato un regime di aiuti di Stato per la Repubblica ceca fino a 1 miliardo di CZK (circa 37 milioni di euro). Il Paese ha notificato alla Commissione, sotto il Temporary Framework, uno schema per sostenere gli investimenti delle piccole e medie imprese nella produzione di prodotti rilevanti per l’epidemia di coronavirus; lo schema iniziale prevede un budget di 300 miliardi di corone ceche, approssimativamente 11 milioni di euro, per poi poter essere incrementato fino a 37 milioni di euro. Il sostegno pubblico avverrà attraverso delle sovvenzioni dirette: coprirà il 50% dei costi ammissibili che le aziende devono sostenere per produrre i prodotti ora fondamentali. L’obiettivo è proprio migliorare e accelerare la produzione per contrastare la diffusione del coronavirus e curare chi è già stato contagiato attraverso ventilatori, indumenti, attrezzature protettive e strumenti diagnostici. Nell’ambito del regime, i progetti di investimento saranno completati entro sei mesi dalla data di concessione dell’aiuto. L’approvazione della Commissione è dovuta alla vitale importanza che ricoprono gli aiuti per il paese, essenziali al raggiungimento di un obiettivo di comune interesse; inoltre, il regime è necessario, appropriato e proporzionato per combattere la crisi sanitaria.
Infine, la Banca di sviluppo del Consiglio d’Europa, ha approvato un prestito di 300 milioni di euro alla Repubblica Ceca per finanziare le spese sanitarie per combattere la diffusione e l’impatto della pandemia. Si tratta del primo prestito del governo con questa banca, supporterà il governo ceco nel proseguire i suoi sforzi per mitigare la diffusione e le conseguenze del Covid-19 coprendo il 90% del costo totale richiesto a breve termine. Consentirà l’acquisizione di materiale e attrezzature mediche, inclusi test, ventilatori e respiratori, nonché dispositivi di protezione per il personale in prima linea. Il prestito può anche coprire la riabilitazione e la conversione di spazi, unità mediche e ospedali per soddisfare le attuali esigenze di assistenza sanitaria di emergenza.

Repubblica Ceca, scontro tra Governo e Parlamento per lo Stato di emergenza

EUROPA di

L’emergenza del virus Covid-19, diffuso in tutto il mondo, ha comportato l’adozione di misure anche in Repubblica Ceca, dove sin da subito sono stati presi importanti provvedimenti. Attualmente, lo stato di emergenza, e le misure che questo comporta, è stato prolungato dall’11 al 30 aprile, non senza discussioni tra Parlamento e Governo. In una riunione straordinaria di giovedì 9 aprile, i ministri hanno inoltre discusso di vari cambiamenti nelle misure di emergenza già annunciati e hanno anche approvato l’assistenza finanziaria a istituzioni culturali statali e non statali. Hanno infine deciso di rafforzare il coinvolgimento dell’esercito ceco nell’affrontare la pandemia di coronavirus, con altri 2.000 soldati.

La richiesta del Governo

Il 7 aprile scorso, Il primo ministro Andrej Babiš ha chiesto alla Camera dei deputati di prorogare di un mese lo stato di emergenza sull’epidemia di coronavirus. Lo Stato di emergenza è stato infatti dichiarato il 12 marzo e può avere durata massima di un mese. Nell’esporre la sua richiesta, il Primo ministro ha affermato “non voglio che le libertà siano limitate un secondo in più di quanto sia assolutamente necessario”; ha sottolineato i pilastri su cui è stata costruita l’UE, come la libera circolazione delle persone, e ha riconosciuto che la democrazia differisce dalla dittatura per la sua cura per ogni singola vita umana. Nel suo discorso, ha riconosciuto l’imprevedibilità della situazione in cui ci si trova e l’impossibilità di promettere ai parlamentari di prolungare lo Stato di emergenza per l’ultima volta, pur considerando l’essenziale aspetto della ripresa economica. “Oltre a fermare l’epidemia, il nostro compito fondamentale è far funzionare l’economia. Soprattutto dobbiamo sopravvivere nei primi mesi che potrebbero essere difficili” ha affermato Babiš. Le sue azioni hanno come obiettivo il controllo dell’epidemia, evitando di sovraccaricare il sistema sanitario attraverso l’isolamento dei positivi al Covid, tenendo sotto controllo la diffusione.

Il voto in Parlamento

Vista la scadenza il 12 aprile, è stata richiesta la proroga dello Stato di emergenza fino all’11 maggio. In una sessione di emergenza di sette ore, il 7 aprile i parlamentari cechi hanno discusso di queste misure, ma hanno approvato un’estensione dello stato di emergenza fino alla fine di aprile, anziché approvare la data dell’11 maggio proposta dal governo. Novanta dei 101 parlamentari presenti hanno votato a favore dell’estensione dello stato di emergenza fino al 30 aprile. I parlamentari dei TOP 09 (partito liberal-conservatore), STAN (sindaci e indipendenti) e Tricolor (partito euroscettico e conservatore) erano contrari a prolungare lo stato di emergenza, in gran parte a causa della mancanza di un piano chiaro presentato dal governo per le prossime settimane, e hanno proposto una proroga di sole due settimane. “Nessuno di noi ha un piano dettagliato con punti A, B, C o D, su come possiamo gestire l’epidemia, perché la situazione è in continua evoluzione”, ha affermato il ministro dell’Interno Hamáček, in difesa su questo punto. Di diverso avviso sono stati il Partito Pirata, il Partito Comunista e l’SPD di estrema destra, che hanno suggerito la fine del mese.
I 101 deputati presenti hanno quindi votato separatamente su ciascuna proposta; 36 hanno votato a favore della proroga di 14 giorni, 48 a favore della proroga di 30 giorni del governo e 84 a favore della scadenza del 30 aprile. Nella votazione finale sull’opzione più popolare, l’estensione fino al 30 aprile è passata di 90 voti a 5. Sulla base di quanto votato in Parlamento, il governo ceco ha approvato, nella riunione del 9 aprile, l’estensione dello Stato di emergenza fino al 30 aprile 2020.

Le prime misure allentate

Lo stato di emergenza consente alle attuali misure, imposte per affrontare l’epidemia di coronavirus, di rimanere in vigore, dando al governo il diritto di limitare gli spostamenti e i viaggi, così come la libertà di movimento e di decidere sulla chiusura delle imprese. Inoltre, consente al governo di riuscire ad ottenere tutto ciò che è necessario per gestire la crisi sanitaria in modo più rapido e semplice, evitando le normali procedure come i contratti di appalto soliti, usati per le forniture di servizi. Babiš ha voluto comunque sottolineare che in alcun modo lo stato di emergenza verrà utilizzato per tornare ad uno Stato onnipotente nel senso dei pieni poteri, rassicurando la popolazione che le misure verranno revocate al più presto.
Infatti, nonostante il prolungarsi dello Stato di emergenza, le norme anti-coronavirus del governo hanno iniziato ad essere allentate, a partire dalla scorsa settimana con l’apertura di alcuni negozi e impianti sportivi. Il ministro della sanità ceco, Adam Vojtěch, ha dichiarato che ulteriori misure sarebbero state allentate e che sarebbero stati riaperti altri negozi dopo le vacanze di Pasqua. Tuttavia, il tutto è accompagnato da norme igieniche più rigorose che devono essere osservate in tutti i negozi aperti. In aggiunta, il governo consente di compiere attività di sport all’aria aperta, come la corsa o il ciclismo, purché si compiano in solitaria. Dal 14 aprile infine, i cittadini cechi e stranieri con residenza permanente o temporanea di oltre 90 giorni possono di nuovo di viaggiare all’estero, in casi necessari e chiaramente giustificati, come lavoro, salute e visite mediche o assistere membri della famiglia in difficoltà. Tuttavia, a causa della diffusione del virus, i confini rimangono chiusi e i cittadini stranieri non possono entrare nel paese: per chi torna a casa dopo un periodo all’estero è previsto l’isolamento per 14 giorni ed è ancora obbligatorio l’uso di mascherine negli spazi pubblici.

Alluvioni in Somalia: quasi mezzo milione di persone colpite, aumenta il rischio di malnutrizione ed epidemie

AFRICA di

Save the Children denuncia il peggioramento di una situazione umanitaria già fragile. Le persone colpite dall’alluvione in Somalia sono 427.000 e di queste 175.000, già sfollate l’anno scorso a causa della siccità e della fame, sono state costrette a spostarsi nuovamente. Tra le famiglie colpite dall’alluvione sono già alti i tassi di malnutrizione a causa di una siccità di due anni, che ha devastato le colture e ucciso il bestiame. Inoltre, circa 2.000 contadini lungo il fiume Juba hanno perso campi, sistemi di irrigazione e attrezzatura agricola: le comunità già afflitte da una grave insicurezza alimentare ora affrontano una accresciuta difficoltà nell’accesso al cibo, aumentando i rischi di malnutrizione e di malattie quali diarrea acuta e colera. Sono 5.4 milioni le persone che, in Somalia, sono in condizioni di bisogno; di queste 2.7 milioni richiedono assistenza salva-vita urgente e Save the Children sta dando tutto il proprio aiuto. A causare le alluvioni è lo straripamento dei due maggiori fiumi della Somalia e le piogge che, a una settimana dal loro inizio, non accennano a diminuire. Con le piogge pesanti negli altopiani etiopi che, secondo le previsioni, proseguiranno, il fiume Shebelle potrebbe continuare a causare caos. Molti dei luoghi maggiormente colpiti dalla recente siccità nel Corno d’Africa stanno vivendo gli allagamenti, incluso il Kenya, dove oltre 100 persone sono rimaste ferite. Save the children è presente in Somaliland da più di una decina di anni e collabora con il personale locale e fornisce assistenza, training, finanziamenti e l’equipaggiamento necessario. L’assistenza consiste nel sostegno alle strutture sanitare e la creazione di progetti di sviluppo. Inoltre, hanno unità sanitarie mobili con cui raggiungono i luoghi più remoti. Arrivano con l’ambulanza e si occupano dei casi più gravi trasportandoli in ospedale. Per conoscere meglio la situazione, la redazione di European Affairs Megazine ha intervistato il Dottor Filippo Ungaro.

EA: Benvenuto dottor ungaro dobbiamo parlare ancora una volta di emergenza, parliamo dell’emergenza alluvioni in Somalia. Più di 427 mila sono le persone colpite, che cosa sta succedendo laggiù?

FU: Si purtroppo quasi mezzo milione di persone sono state costrette da allagamenti terribili, catastrofici, a spostarsi. Sono state colpite, appunto, da queste piogge torrenziali che hanno colpito la Somalia. Oltretutto la Somalia è un paese molto povero, viene definito uno stato fallito perché è uno stato molto fragile e con fragilità enormi dove paradossalmente tantissime persone soffrono, continuano a soffrire e soffrivano per una siccità dovuta ai cambiamenti climatici micidiali. Siamo di fronte a una situazione terribile. I nostri operatori dal campo ci riferiscono di famiglie che si sono lamentate per tutto il corso della notte chiedendo aiuto, si sono bloccate dentro le proprie case con bambini sopra gli armadi per cercare di ripararsi dall’alluvione, dall’allagamento. In alcuni casi l’acqua ha invaso completamente le case arrivando a mezzo metro, un metro di altezza.

EA: Tra l’altro bisogna descrivere quella che è la situazione idrogeologica del territorio, il terreno in Somalia è molto secco e poco permeabile. Per cui queste piogge creano immediatamente dei grandi fiumi velocissimi che scorrono distruggendo tutto quello che incontrano. Abbiamo testimonianze che ci sono giunte nei giorni scorsi sia dal nord, dove appunto 450 mila persone circa sono state sfollate e di cui anche voi avete riscontrato che 420 mila erano già sfollate delle alluvioni precedenti, ma anche dal sud la situazione non è migliore dato che sono state riscontrate 130 mila sfollati. Che cosa è necessario chiedere, qual è l’appello di Save the Children all’opinione pubblica internazionale?

FU: C’è senz’altro bisogno di maggiore supporto, la risposta alla crisi umanitaria in Somalia è finanziata soltanto per il 18%. È una quota del tutto insufficiente naturalmente. Save the Children, come altre organizzazioni umanitarie, sta cercando di fare il massimo. Noi come Save the Children abbiamo distribuito decine di migliaia di sacchi di sabbia, stiamo fornendo acqua potabile, stiamo cercando di intervenire in qualche modo anche sul sistema fognario ma tutto questo ovviamente non basta. Parliamo di un paese dove oltre 5 milioni di persone sono in condizione di estremo bisogno, dove c’è un livello di malnutrizione altissimo, soprattutto infantile, e quando un bambino è malnutrito è molto debole, quindi è soggetto a ogni tipo di malattia o epidemia. Chiaramente con l’alluvione, l’allagamento, il sistema fognario viene ancor più messo a rischio e a repentaglio. Il diffondersi di malattie e il rischio del diffondersi di malattie è molto alto. Quindi c’è bisogno sicuramente di maggior supporto e, come diceva lei prima, io sono stato in Somaliland, che fa parte della Somalia anche se si è dichiarata indipendente l’anno scorso, parliamo veramente di un terreno assolutamente arido e secco dove la vegetazione non esiste o quasi e quindi è assolutamente insufficiente per mantenere il terreno, per riuscire ad assorbire l’acqua che ancora una volta, anche in questo caso, viene causato dai cambiamenti climatici. Tutti questi fenomeni sono causati dai cambiamenti climatici. Quindi nel breve periodo c’è bisogno rispondere alla crisi umanitaria con un maggiore finanziamento nel lungo periodo bisogna pensare a uno sviluppo sostenibile. Appunto a uno sviluppo sostenibile adeguato.

EA: riprendendo anche quello che abbiamo detto prima, non solo l’emergenza immediata per la tragedia dei villaggi spazzati via, delle famiglie bloccate, dei feriti ma siccome queste alluvioni hanno colpito anche le colture che erano pronte per essere vendute, ci sarà anche nel medio termine il pericolo di una crisi economica e soprattutto alimentare o no?

FU: Assolutamente, assolutamente. Questo pericolo già c’era prima con la siccità per cui le colture erano messe in pericolo e anche l’allevamento. Perché l’economia della Somalia è basata intanto su un’economia di sussistenza che si regge soprattutto sull’allevamento del bestiame. Quindi le persone, le famiglie, già avevano perso a causa della siccità moltissimi capi di bestiame. Questa alluvione non fa altro che peggiorare le cose. La conta degli animali persi a seguito di questa alluvione ancora non è cominciata ma siamo certi che sarà drammatica. Inoltre, si unisce al fatto della perdita dei raccolti. Questo porterà a dei livelli di crisi economica e a livelli di necessità e di bisogno di assistenza umanitaria da parte della popolazione in Somalia molto ma molto alta, direi drammatica.

Vi sono altre testimonianze come quella di Jalafay Isak, membro del team di risposta all’emergenza di Save the Children operativo a Belet Weyne (la città più colpita), che racconta: “Durante la notte si sentiva il pianto ininterrotto delle famiglie che chiedevano aiuto: bloccate dentro alle case, coi bambini sopra agli armadi o sulle più alte superfici disponibili, avevano la paura costante di essere spazzate via dal fiume. Hanno provato a scappare, ma questo richiedeva di guadare l’acqua lì dove arrivava fino al petto ed era troppo pericoloso”. Questo è il racconto di chi ha assistito alle terrificanti scene di cui sono protagoniste famiglie intente a cercare la salvezza poiché il fiume Shebelle è esondato. L’esondazione ha colpito anche l’ufficio di Save the Children e lo staff è stato personalmente colpito dalla crisi, però continuano a rispondere ai bisogni della comunità. Gli agricoltori hanno perso le colture destinate al commercio, quasi pronte per essere raccolte, mentre le rudimentali rete fognarie sono state spazzate via. Alcune scuole sono state allagate e chiuse e il rischio di epidemie di colera è alto. A questo proposito Save the Children ha condotto di recente una campagna di vaccinazione per prevenire il colera in alcune delle aree più difficilmente raggiungibili della Somalia meridionale, già colpite dalla siccità e che, di conseguenza, pativano la mancanza di condizioni igienico-sanitarie adeguate. L’organizzazione inoltre ha distribuito 12.000 sacchi di sabbia questa settimana e sta fornendo acqua potabile sicura a 7.000 nuclei familiari. Poi sta preparando 90 latrine d’emergenza per far fronte alla mancanza di servizi sanitari e prevenire lo scoppio di epidemie nell’area. Poiché gli allagamenti potrebbero impiegare settimane a ritirarsi sono necessarie barche a motore per raggiungere le persone che si trovano in luoghi isolati. Il presidente somalo ha chiesto supporto urgente all’Unione Africana, la quale ha risposto schierando membri dell’esercito, tuttavia molte aree restano tagliate fuori.

Tra siccità e alluvioni

Recentemente la Somalia ha dovuto affrontare il problema della siccità, questo ha resto il terreno ulteriormente secco e poco permeabile. La siccità in Africa Orientale ha messo in ginocchio paesi già colpiti da guerre, crisi politiche e scontri etnici, ciò ha generato crisi umanitarie profonde in paesi come il Sud Sudan, l’Etiopia, l’Eritrea, il Burundi, il Kenya e, appunto, la Somalia. Di conseguenza in questi paesi vi sono Insicurezza alimentare acuta (l’impossibilità di consumare cibo adeguato mette direttamente in pericolo le vite e i mezzi di sostentamento delle persone) e Fame Cronica (una situazione nella quale una persona non è in grado di consumare cibo sufficiente a mantenere uno stile di vita normale e attivo per un periodo prolungato) che rappresentano una piaga per milioni di persone nel mondo. A livello mondiale le situazioni di conflitto rimangono il fattore principale alla base della grave insicurezza alimentare in 18 paesi, 15 dei quali in Africa e Medio Oriente. Mentre I disastri climatici hanno provocato crisi alimentari in 23 paesi, due terzi dei quali in Africa. Conflitti, disastri climatici e altri fattori spesso contribuiscono a crisi complesse che hanno ripercussioni devastanti e durature sui mezzi di sostentamento delle persone. Per secoli, le popolazioni dell’Africa Orientale hanno dovuto affrontare fenomeni di questo tipo con una cadenza di cinque o sei anni. Recentemente, però, si è assistito a un’accelerazione di questa periodicità a causa del surriscaldamento globale. L’aumento delle temperature ha portato a un progressivo inaridimento delle fonti idriche con un conseguente calo della produzione agricola e un impoverimento dei pascoli. Il caldo e le eccessive distanze per procurarsi l’acqua mettono a repentaglio vite umane e bestiame. Bradfield Lyon, professore associato al Climate Change Institute della University of Maine, ha detto che, nella regione dell’Africa Orientale, l’insicurezza alimentare è cronica per cui anche i cambiamenti climatici possono avere impatti enormi. In Africa la frequenza delle siccità si sta intensificando fin dagli anni Novanta. Secondo gli studi di Lyon, ciò è dovuto in parte agli effetti del ciclo di El Niño e La Niña, i periodici fenomeni di riscaldamento e raffreddamento delle acque del Pacifico. I cambiamenti climatici esasperano questi effetti, spingendo verso l’alto le temperature e causando aridità. In più, la presenza delle milizie islamiste di al Shabaab non permette alle organizzazioni umanitarie di raggiungere le regioni più bisognose e operare al meglio contro la crisi. I fenomeni ambientali ormai hanno conseguenze anche sulle migrazioni. I grandi eventi meteorologici estremi in passato hanno portato a notevoli spostamenti di popolazione e i cambiamenti nell’incidenza amplificheranno le sfide umanitarie e i rischi di tali spostamenti. Questo perché molti gruppi vulnerabili non dispongono delle risorse per poter migrare e poter evitare gli impatti dei cambiamenti climatici ma anche perché gli stessi migranti possono essere vulnerabili agli impatti dei cambiamenti climatici nelle aree di destinazione, in particolare nei centri urbani dei paesi in via di sviluppo. Inoltre, alcuni dei fattori che aumentano il rischio di conflitti violenti all’interno degli Stati sono sensibili ai cambiamenti climatici (ad esempio bassi redditi pro-capite, contrazione economica e istituzioni statali incoerenti). Occorre pensare poi che le persone che vivono in luoghi colpiti da violenti conflitti sono particolarmente vulnerabili ai cambiamenti climatici. Ad esempio, il maggior afflusso di somali in Kenya (altro paese che oggi è profondamente colpito dai problemi delle alluvioni) nel 2012 e nel 2013 è stato motivato tanto dalla siccità e dalla carestia che hanno colpito la Somalia quanto dalle azioni di Al Shabaab e dei gruppi armati.

Per questi motivi è importante l’operato delle organizzazioni umanitarie che ogni giorno affrontano queste e altre problematiche ed è ancora più importante sostenerle. Ciò è legato al fatto che se non è presente una rete di assistenza che possa attivarsi per rispondere all’emergenza, il fenomeno si intensifica. Occorre ricordare che se non si affronta la crisi, si ha una tragedia. Tragedia che pagano donne, uomini e bambini.

Rainer Maria Baratti
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