Alluvioni in Somalia: quasi mezzo milione di persone colpite, aumenta il rischio di malnutrizione ed epidemie

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Save the Children denuncia il peggioramento di una situazione umanitaria già fragile. Le persone colpite dall’alluvione in Somalia sono 427.000 e di queste 175.000, già sfollate l’anno scorso a causa della siccità e della fame, sono state costrette a spostarsi nuovamente. Tra le famiglie colpite dall’alluvione sono già alti i tassi di malnutrizione a causa di una siccità di due anni, che ha devastato le colture e ucciso il bestiame. Inoltre, circa 2.000 contadini lungo il fiume Juba hanno perso campi, sistemi di irrigazione e attrezzatura agricola: le comunità già afflitte da una grave insicurezza alimentare ora affrontano una accresciuta difficoltà nell’accesso al cibo, aumentando i rischi di malnutrizione e di malattie quali diarrea acuta e colera. Sono 5.4 milioni le persone che, in Somalia, sono in condizioni di bisogno; di queste 2.7 milioni richiedono assistenza salva-vita urgente e Save the Children sta dando tutto il proprio aiuto. A causare le alluvioni è lo straripamento dei due maggiori fiumi della Somalia e le piogge che, a una settimana dal loro inizio, non accennano a diminuire. Con le piogge pesanti negli altopiani etiopi che, secondo le previsioni, proseguiranno, il fiume Shebelle potrebbe continuare a causare caos. Molti dei luoghi maggiormente colpiti dalla recente siccità nel Corno d’Africa stanno vivendo gli allagamenti, incluso il Kenya, dove oltre 100 persone sono rimaste ferite. Save the children è presente in Somaliland da più di una decina di anni e collabora con il personale locale e fornisce assistenza, training, finanziamenti e l’equipaggiamento necessario. L’assistenza consiste nel sostegno alle strutture sanitare e la creazione di progetti di sviluppo. Inoltre, hanno unità sanitarie mobili con cui raggiungono i luoghi più remoti. Arrivano con l’ambulanza e si occupano dei casi più gravi trasportandoli in ospedale. Per conoscere meglio la situazione, la redazione di European Affairs Megazine ha intervistato il Dottor Filippo Ungaro.

EA: Benvenuto dottor ungaro dobbiamo parlare ancora una volta di emergenza, parliamo dell’emergenza alluvioni in Somalia. Più di 427 mila sono le persone colpite, che cosa sta succedendo laggiù?

FU: Si purtroppo quasi mezzo milione di persone sono state costrette da allagamenti terribili, catastrofici, a spostarsi. Sono state colpite, appunto, da queste piogge torrenziali che hanno colpito la Somalia. Oltretutto la Somalia è un paese molto povero, viene definito uno stato fallito perché è uno stato molto fragile e con fragilità enormi dove paradossalmente tantissime persone soffrono, continuano a soffrire e soffrivano per una siccità dovuta ai cambiamenti climatici micidiali. Siamo di fronte a una situazione terribile. I nostri operatori dal campo ci riferiscono di famiglie che si sono lamentate per tutto il corso della notte chiedendo aiuto, si sono bloccate dentro le proprie case con bambini sopra gli armadi per cercare di ripararsi dall’alluvione, dall’allagamento. In alcuni casi l’acqua ha invaso completamente le case arrivando a mezzo metro, un metro di altezza.

EA: Tra l’altro bisogna descrivere quella che è la situazione idrogeologica del territorio, il terreno in Somalia è molto secco e poco permeabile. Per cui queste piogge creano immediatamente dei grandi fiumi velocissimi che scorrono distruggendo tutto quello che incontrano. Abbiamo testimonianze che ci sono giunte nei giorni scorsi sia dal nord, dove appunto 450 mila persone circa sono state sfollate e di cui anche voi avete riscontrato che 420 mila erano già sfollate delle alluvioni precedenti, ma anche dal sud la situazione non è migliore dato che sono state riscontrate 130 mila sfollati. Che cosa è necessario chiedere, qual è l’appello di Save the Children all’opinione pubblica internazionale?

FU: C’è senz’altro bisogno di maggiore supporto, la risposta alla crisi umanitaria in Somalia è finanziata soltanto per il 18%. È una quota del tutto insufficiente naturalmente. Save the Children, come altre organizzazioni umanitarie, sta cercando di fare il massimo. Noi come Save the Children abbiamo distribuito decine di migliaia di sacchi di sabbia, stiamo fornendo acqua potabile, stiamo cercando di intervenire in qualche modo anche sul sistema fognario ma tutto questo ovviamente non basta. Parliamo di un paese dove oltre 5 milioni di persone sono in condizione di estremo bisogno, dove c’è un livello di malnutrizione altissimo, soprattutto infantile, e quando un bambino è malnutrito è molto debole, quindi è soggetto a ogni tipo di malattia o epidemia. Chiaramente con l’alluvione, l’allagamento, il sistema fognario viene ancor più messo a rischio e a repentaglio. Il diffondersi di malattie e il rischio del diffondersi di malattie è molto alto. Quindi c’è bisogno sicuramente di maggior supporto e, come diceva lei prima, io sono stato in Somaliland, che fa parte della Somalia anche se si è dichiarata indipendente l’anno scorso, parliamo veramente di un terreno assolutamente arido e secco dove la vegetazione non esiste o quasi e quindi è assolutamente insufficiente per mantenere il terreno, per riuscire ad assorbire l’acqua che ancora una volta, anche in questo caso, viene causato dai cambiamenti climatici. Tutti questi fenomeni sono causati dai cambiamenti climatici. Quindi nel breve periodo c’è bisogno rispondere alla crisi umanitaria con un maggiore finanziamento nel lungo periodo bisogna pensare a uno sviluppo sostenibile. Appunto a uno sviluppo sostenibile adeguato.

EA: riprendendo anche quello che abbiamo detto prima, non solo l’emergenza immediata per la tragedia dei villaggi spazzati via, delle famiglie bloccate, dei feriti ma siccome queste alluvioni hanno colpito anche le colture che erano pronte per essere vendute, ci sarà anche nel medio termine il pericolo di una crisi economica e soprattutto alimentare o no?

FU: Assolutamente, assolutamente. Questo pericolo già c’era prima con la siccità per cui le colture erano messe in pericolo e anche l’allevamento. Perché l’economia della Somalia è basata intanto su un’economia di sussistenza che si regge soprattutto sull’allevamento del bestiame. Quindi le persone, le famiglie, già avevano perso a causa della siccità moltissimi capi di bestiame. Questa alluvione non fa altro che peggiorare le cose. La conta degli animali persi a seguito di questa alluvione ancora non è cominciata ma siamo certi che sarà drammatica. Inoltre, si unisce al fatto della perdita dei raccolti. Questo porterà a dei livelli di crisi economica e a livelli di necessità e di bisogno di assistenza umanitaria da parte della popolazione in Somalia molto ma molto alta, direi drammatica.

Vi sono altre testimonianze come quella di Jalafay Isak, membro del team di risposta all’emergenza di Save the Children operativo a Belet Weyne (la città più colpita), che racconta: “Durante la notte si sentiva il pianto ininterrotto delle famiglie che chiedevano aiuto: bloccate dentro alle case, coi bambini sopra agli armadi o sulle più alte superfici disponibili, avevano la paura costante di essere spazzate via dal fiume. Hanno provato a scappare, ma questo richiedeva di guadare l’acqua lì dove arrivava fino al petto ed era troppo pericoloso”. Questo è il racconto di chi ha assistito alle terrificanti scene di cui sono protagoniste famiglie intente a cercare la salvezza poiché il fiume Shebelle è esondato. L’esondazione ha colpito anche l’ufficio di Save the Children e lo staff è stato personalmente colpito dalla crisi, però continuano a rispondere ai bisogni della comunità. Gli agricoltori hanno perso le colture destinate al commercio, quasi pronte per essere raccolte, mentre le rudimentali rete fognarie sono state spazzate via. Alcune scuole sono state allagate e chiuse e il rischio di epidemie di colera è alto. A questo proposito Save the Children ha condotto di recente una campagna di vaccinazione per prevenire il colera in alcune delle aree più difficilmente raggiungibili della Somalia meridionale, già colpite dalla siccità e che, di conseguenza, pativano la mancanza di condizioni igienico-sanitarie adeguate. L’organizzazione inoltre ha distribuito 12.000 sacchi di sabbia questa settimana e sta fornendo acqua potabile sicura a 7.000 nuclei familiari. Poi sta preparando 90 latrine d’emergenza per far fronte alla mancanza di servizi sanitari e prevenire lo scoppio di epidemie nell’area. Poiché gli allagamenti potrebbero impiegare settimane a ritirarsi sono necessarie barche a motore per raggiungere le persone che si trovano in luoghi isolati. Il presidente somalo ha chiesto supporto urgente all’Unione Africana, la quale ha risposto schierando membri dell’esercito, tuttavia molte aree restano tagliate fuori.

Tra siccità e alluvioni

Recentemente la Somalia ha dovuto affrontare il problema della siccità, questo ha resto il terreno ulteriormente secco e poco permeabile. La siccità in Africa Orientale ha messo in ginocchio paesi già colpiti da guerre, crisi politiche e scontri etnici, ciò ha generato crisi umanitarie profonde in paesi come il Sud Sudan, l’Etiopia, l’Eritrea, il Burundi, il Kenya e, appunto, la Somalia. Di conseguenza in questi paesi vi sono Insicurezza alimentare acuta (l’impossibilità di consumare cibo adeguato mette direttamente in pericolo le vite e i mezzi di sostentamento delle persone) e Fame Cronica (una situazione nella quale una persona non è in grado di consumare cibo sufficiente a mantenere uno stile di vita normale e attivo per un periodo prolungato) che rappresentano una piaga per milioni di persone nel mondo. A livello mondiale le situazioni di conflitto rimangono il fattore principale alla base della grave insicurezza alimentare in 18 paesi, 15 dei quali in Africa e Medio Oriente. Mentre I disastri climatici hanno provocato crisi alimentari in 23 paesi, due terzi dei quali in Africa. Conflitti, disastri climatici e altri fattori spesso contribuiscono a crisi complesse che hanno ripercussioni devastanti e durature sui mezzi di sostentamento delle persone. Per secoli, le popolazioni dell’Africa Orientale hanno dovuto affrontare fenomeni di questo tipo con una cadenza di cinque o sei anni. Recentemente, però, si è assistito a un’accelerazione di questa periodicità a causa del surriscaldamento globale. L’aumento delle temperature ha portato a un progressivo inaridimento delle fonti idriche con un conseguente calo della produzione agricola e un impoverimento dei pascoli. Il caldo e le eccessive distanze per procurarsi l’acqua mettono a repentaglio vite umane e bestiame. Bradfield Lyon, professore associato al Climate Change Institute della University of Maine, ha detto che, nella regione dell’Africa Orientale, l’insicurezza alimentare è cronica per cui anche i cambiamenti climatici possono avere impatti enormi. In Africa la frequenza delle siccità si sta intensificando fin dagli anni Novanta. Secondo gli studi di Lyon, ciò è dovuto in parte agli effetti del ciclo di El Niño e La Niña, i periodici fenomeni di riscaldamento e raffreddamento delle acque del Pacifico. I cambiamenti climatici esasperano questi effetti, spingendo verso l’alto le temperature e causando aridità. In più, la presenza delle milizie islamiste di al Shabaab non permette alle organizzazioni umanitarie di raggiungere le regioni più bisognose e operare al meglio contro la crisi. I fenomeni ambientali ormai hanno conseguenze anche sulle migrazioni. I grandi eventi meteorologici estremi in passato hanno portato a notevoli spostamenti di popolazione e i cambiamenti nell’incidenza amplificheranno le sfide umanitarie e i rischi di tali spostamenti. Questo perché molti gruppi vulnerabili non dispongono delle risorse per poter migrare e poter evitare gli impatti dei cambiamenti climatici ma anche perché gli stessi migranti possono essere vulnerabili agli impatti dei cambiamenti climatici nelle aree di destinazione, in particolare nei centri urbani dei paesi in via di sviluppo. Inoltre, alcuni dei fattori che aumentano il rischio di conflitti violenti all’interno degli Stati sono sensibili ai cambiamenti climatici (ad esempio bassi redditi pro-capite, contrazione economica e istituzioni statali incoerenti). Occorre pensare poi che le persone che vivono in luoghi colpiti da violenti conflitti sono particolarmente vulnerabili ai cambiamenti climatici. Ad esempio, il maggior afflusso di somali in Kenya (altro paese che oggi è profondamente colpito dai problemi delle alluvioni) nel 2012 e nel 2013 è stato motivato tanto dalla siccità e dalla carestia che hanno colpito la Somalia quanto dalle azioni di Al Shabaab e dei gruppi armati.

Per questi motivi è importante l’operato delle organizzazioni umanitarie che ogni giorno affrontano queste e altre problematiche ed è ancora più importante sostenerle. Ciò è legato al fatto che se non è presente una rete di assistenza che possa attivarsi per rispondere all’emergenza, il fenomeno si intensifica. Occorre ricordare che se non si affronta la crisi, si ha una tragedia. Tragedia che pagano donne, uomini e bambini.

Bookreporter Settembre

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