Crisi libica e traffico di esseri umani, il futuro di EuNavFor Med
EuNavFor Med è pronta per la fase operativa B2. La guerra ai trafficanti di esseri umani nel Mediterraneo sarà combattuta in acque territoriali libiche, «ma ci sono una serie di sfide politiche e legali da risolvere prima di poter raccomandare questa transizione», afferma l’ammiraglio Enrico Credendino, al comando della missione europea. Criticità relative alla mancata costituzione di un esecutivo di unità nazionale, che ha impedito alle Nazioni Unite di autorizzare l’arresto dei trafficanti e la distruzione dei mezzi direttamente a terra. Il 7 ottobre 2015, il Parlamento Europeo aveva annunciato il potenziamento delle missioni militari nel Mediterraneo, finalizzate all’abbordaggio, perquisizione e confisca delle imbarcazioni utilizzate dagli scafisti. Mentre la firma dell’accordo di dicembre in Marocco tra alcune componenti della vita politica e sociale libica per la formazione di un esecutivo di unità nazionale si è rivelata illusoria, il capo della missione di Supporto delle Nazioni Unite (Unsmil), Martin Kobler, ha salutato con favore il comunicato della maggioranza dei membri del Parlamento libico, che finalmente approvano la costituzione del Governo di unità nazionale e ha chiesto loro di formalizzare l’annuncio. In attesa di una stabilità politica che scongiuri la minaccia del Daesh e legittimi EuNavFor Med a un intervento territoriale risolutivo dell’emorragia migratoria che destabilizza l’Europa, la missione resta momentaneamente “sospesa” alla fase attuale, quella della lotta agli scafisti a 12 miglia nautiche dalla costa libica. Sebbene la comunità internazionale appoggi il premier Fayez Al Sarraj, ricevuto in Italia da Matteo Renzi, la situazione si fa critica. Da più parti si ipotizzano futuri raid aerei francesi, americani e inglesi contro le basi Isis in Libia, favorite dall’attuale caos istituzionale. Il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha ribadito l’urgenza di dar vita al Governo di accordo nazionale e concentrarsi sulla comune lotta al terrorismo. Dello stesso parere il presidente della Commissione Esteri del Senato, Pierferdinando Casini, che ha definito l’attentato del 7 gennaio scorso a Zlitan contro un centro di addestramento della polizia come parte della “strategia attuata dello Stato Islamico per rinviare l’insediamento del governo di unità nazionale concordato tra le parti e l’Onu”. Senza un esecutivo riconosciuto a livello internazionale, EunavforMed è destinata allo stallo. Il comando della missione tuttavia ipotizza un futuro passaggio alla fase 3, con operazioni anche sulla costa, in collaborazione con le forze libiche e a partire dall’individuazione degli obiettivi, risolvendo i gap di intelligence sul business model dei contrabbandieri. Secondo Credendino, «Quando muoveremo alle fasi 2B e 3 ci saranno altre missioni sponsorizzate dalla comunità internazionale. Pertanto le attività di EuNavFor Med e delle altre operazioni vanno coordinate per mitigare i rischi di fratricidio. Il mandato dell’operazione europea dovrebbe essere esteso per la formazione e l’addestramento della Guardia costiera libica». Il terzo step, che non ha ancora ricevuto il via libera dell’UE, sarebbe in realtà il più efficace, poiché è in acque libiche che opera la maggioranza dei contrabbandieri, ma come fa sapere il ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni, «nel Consiglio di Sicurezza Onu non ci sono spazi per autorizzare un simile intervento senza espressa richiesta libica». Quanto ai risultati effettivamente conseguiti, la missione ha contribuito all’arresto di 46 trafficanti e alla distruzione di 67 imbarcazioni. Ad oggi, sono 14 le nazioni europee che partecipano ad EuNavFor Med: Italia, Regno Unito, Germania, Francia, Spagna, Slovenia, Grecia, Lussemburgo, Belgio, Finlandia, Ungheria, Lituania, Paesi Bassi, Svezia. Al largo della Libia sono impegnate sei navi da guerra europee: una italiana, una inglese, una francese, una spagnola e due tedesche. A queste, si aggiungeranno altri tre mezzi messi a disposizione da Inghilterra, Belgio e Slovenia, quattro elicotteri, numerosi droni e 1300 militari. I costi dell’intervento militare – al di là di contributo europeo annuo pari a circa 12 milioni di euro – sono a carico dei singoli Paesi partecipanti. L’Italia ha contribuito alla missione con uno stanziamento di 26 milioni di euro e l’impiego di 1.020 soldati.
Viviana Passalacqua