GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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RUBRICHE - page 103

Bookreporter, puntata del 22 settembre 2017

BOOKREPORTER di

Un nuovo appuntamento con il nostro programma radiofonico Book Reporter, in onda su Radio GODOT

Come sempre in compagnia di Alessandro Conte,Laura Sacher,Aurora Vena e Laura Laportella, quelli di BookReporter !

Nella prima parte della puntata con l’ospite Fulco Lanchester, Professore ordinario di Diritto costituzionale presso “La Sapienza” Università di Roma, con cui parleremo della Germania.

Nella seconda parte della programmazione, dopo la biografia della Premier Merkel redatta da Aurora e la presentazione del film “The arrival” con Laportella avremo modo di confrontarci con il nostro Testimone, Fabio Polese, giornalista e fotoreporter, che ha realizzato reportage in Irlanda del Nord, Belgio, Libano, Kosovo, Birmania, Thailandia, Cambogia e Vietnam.

Buon ascolto!

 

Mosul, gli alpini della Task Force Presidium addestrano le forze Curdo-irachene all’operatività in montagna

ASIA PACIFICO/SICUREZZA di

Presso la diga di  Mosul è stata inaugurata una nuova area addestrativa mirata ad aumentare la capacità operativa delle truppe Curdo –Irachene nel combattimento in quota.

La palestra di Roccia realizzata dalla Task Force Presidium e battezzata “Monte nero” in onore della battaglia del 3° Alpini nella prima Guerra Mondiale è in gardo di fornire un ampio ventaglio di scenrai utili alla formazione montana, la parete messa in sicurezza e dotata di 12 vie ferrate con difficoltà variabile sarà utilizzata per l’addestramento delle truppe operanti  nell’area.

La cerimonia è stata presieduta dal Comandante del Comando Operativo di Vertice Interforze, Ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, accompagnato dal Comandante del Contingente Italiano e Deputy Commanding General for Training presso il Combined Joint Force Land Component Command – Operation Inherent Resolve, Generale di Brigata Francesco Maria Ceravolo.

In questa area  sotto il  coordinamento del Kurdistan Training Coordination Center (KTCC), l’Unità addestrativa multinazionale a guida italiana, sarà avviato prossimamente il primo corso di di Mountain Warfare Basic Skills, svolto dagli istruttori alpini a favore del Battaglione Kommando degli Zaravani delle Forze di Sicurezza Kurde.

La missione italiana

L’Italia partecipa con la “Missione PrimaParthica, secondo contributore dopo gli USA, all’Operazione “Inherent Resolve” di contrasto al terrorismo internazionale”: 1500 militari appartenenti a tutte le Forze Armate, impiegati nelle sedi di Baghdad e Erbil nell’addestramento delle Forze di Sicurezza curde (Peshmerga) ed irachene, ed assicurando a tutta la Coalizione, con un Task Group aeromobile dislocato presso  l’aeroporto di Erbil, la capacità di Personal Recovery (PR) in tutto il quadrante settentrionale  del teatro iracheno.

Nell’ambito di tale missione, la Task Force “Praesidium”, con i suoi 500 uomini e donne dell’Esercito italiano, garantisce la sicurezza al sedime della diga dove la ditta italiana Trevi Spa sta operando per mettere in sicurezza l’infrastruttura idraulica e scongiurarne il rischio di una catastrofe ambientale.

Inaugurato il 18° corso NATO Regional Cooperation Course

EUROPA/SICUREZZA di

NATO Defense College di Roma, si ѐ tenuta la cerimonia di inaugurazione della diciottesima edizione del NATO Regional Cooperation Course (NRCC 18).
Per l’occasione, il Generale Chris Whitecross, Comandante del NDC, ha dato il benvenuto al Generale Salvatore Farina, Comandante del NATO Joint Forces Command di Brunssum (Olanda), il quale ha presieduto l’evento con un “Inauguration Lecture” nell’Auditorium del College.

Il NRCC e’ stato istituito il 2009, e da allora ha sottolineato il Generale WHITECROOS, e’ stato riconosciuto dai leader NATO come una pietra miliare dell’impegno dell’Alleanza nei confronti dei Paesi Partner.
Il corso NRCC, uno dei programmi educativi più importanti offerti dal NDC, annovera questa volta 46 partecipanti provenienti da 20 Paesi, tra cui Stati Membri della NATO, paesi aderenti al Programma Partnership for Peace (PfP), al programma Mediterranean Dialogue (MD), alla Istanbul Cooperation Initiative (ICI) e membri appartenenti ad altri Paesi Partner.

Gli obiettivi del corso comprendono il rafforzamento del dialogo e della cooperazione internazionale in merito alla sicurezza e alla stabilità della regione Medio-Orientale: la diffusione della conoscenza riguardo la realtà storico-politica dell’area: lo sviluppo della capacità analitica dei partecipanti attraverso discussioni e dibattiti e l’analisi dei punti chiave riguardanti la relazione tra l’Alleanza Atlantica ed il Medio Oriente. Nel sottolineare questi propositi, il Comandante del College ha inoltre ricordato come non vi sia alcun dubbio che la stabilità e la sicurezza dei paesi NATO sia cruciale per il resto del mondo e dunque lo stesso principio valga per il Medio-Oriente e i suoi Partners.

Successivamente il Comandante ha dato la parola al Generale Farina, oratore principale dell’evento, per la sua lezione inaugurale. Durante il suo intervento il Generale Farina ha illustrato il processo di adattamento dell’Alleanza per fronteggiare le nuove sfide, offrendo la prospettiva del Comandante Operativo Joint di Brunssum.

In particolare nell’esporre il focus dei 3 Core Tasks della NATO: Collective Defence, Crisis Response Operations e Cooperative Security il Generale Farina ha sottolineato come a fattor comune la prevenzione, la dissuasione e il dialogo debbano sempre accompagnare qualsiasi misura di adattamento dell’Alleanza.
Altrettanto importante il ruolo della NATO nella Cooperative Security e nel supporto alla lotta contro il terrorismo.Si dovranno quindi prevedere forze credibili, pronte e ben addestrate unitamente a chiari messaggi ed iniziative non escalatorie e non provocative.

Infine, rispondendo a specifici quesiti il Comandante di JFC Brunssum ha elogiato la decisione di costituire l’HUB for the South in seno al Comando “gemello” di Napoli, riconoscimento dell’iniziativa dei Paesi del fianco Sud e chiaro successo della leadership italiana nel portare avanti detta proposta.

 

 

Di nuovo terrore a Londra. Il fallito attentato che fa rivivere quello del 2005.

EUROPA/SICUREZZA di

Ennesimo attentato nel Regno Unito, e ancora una volta il bersaglio è Londra e i suoi cittadini. Cambia la metodologia dell’attacco, si lasciano da parte i mezzi,  ma non cambia l’obiettivo: i civili e i luoghi cruciali nella vita occidentale.

IL 15 settembre alle ora 8.20 locali (9.20 italiane) c’è stata un’esplosione a bordo di un vagone della metropolitana  di Londra presso la fermata di Parsons Green, sulla District Line, nella zona ovest della capitale britannica, a Fulham. L’Isis dopo qualche ora ha rivendicato l’attentato. È di 29 feriti il bilancio totale dell’attacco, nessuno in pericolo di vita. La premier inglese May ha annunciato immediatamente  il dispiegamento dei militari al fianco o in sostituzione della polizia nella sorveglianza dei punti sensibili della città e del Paese, nell’ambito dell’operazione Tempora. La decisione, già pianificata, è entrata in vigore in serata contemporaneamente alla decisione di innalzare il livello di allerta da “severo” a “critico”, il più grave e alto nella scala dei rischi, che presuppone la possibilità e l’imminenza di nuovi attacchi terroristici.

L’esplosione è partita da un cestino bianco, nascosto all’interno di una busta di un supermercato della catena tedesca Lidl (elemento cruciale nella ricerca dell’attentatore, durante la visualizzazione dei video delle telecamere di sorveglianza della metro), lasciato in un vagone posteriore del treno. All’interno è stato trovato un timer, quindi si presume che questa sia stata attivata a distanza. Secondo gli esperti, l’ordigno sarebbe esploso solo in parte, così da causare un danno minore rispetto alle aspettative dei terroristi. L’ordigno sarebbe stato costruito in modo artigianale. Potrebbe essere stato composto di Tapt, esplosivo noto come “madre di Satana”. Il Tapt, triacetone triperossido, può essere innescato da calore, frizione, elettricità statica o semplicemente dal movimento. Fu utilizzato anche negli attacchi di Londra del 2005, quando persero la vittime 52 persone in una serie di esplosioni nelle metropolitana e su un autobus. È lo stesso esplosivo che un mese fa ha fatto esplodere accidentalmente la casa di Alcanar, in Catalogna, dove il commando jihadista stava progettando, tra tutto, anche l’attentato avvenuto a Barcellona qualche giorno dopo.

Dopo meno di 24 ore c’è stato il primo arresto: si tratta di un diciottenne del quale non sono state rivelate le generalità, catturato nella zona del porto a Dover, nel sud del Paese. Secondo quanto riferito dai media inglesi, si tratterebbe di un ragazzo orfano, adottato da una coppia di benefattori inglesi noti per aver dato ospitalità nel tempo a bambini senza genitori. Il ragazzo, secondo alcuni media, era stata arrestato due settimane fa e poi rilasciato. Al momento dell’arresto, stava cercando di imbarcarsi su un traghetto diretto in Francia. Non è la prima volta che viene utilizzato il porto sulla Manica da parte dell’Isis per far entrare e uscire persone dal Paese: la sicurezza sui traghetti è infatti molto debole.

Nella giornata del 17 settembre è stato arrestato una seconda persona collegata all’attacco terroristico. Si chiama Yanyah Farroukh, anche egli, come il primo arrestato considerato l’autore materiale, avrebbe legami con Penelope e Ronald Jones, i due anziani benefattori del Surrey, che per anni hanno dato ospitalità a ragazzi rifugiati. Secondo vari media, Farroukh è siriano, di Damasco.

Continua a far discutere il fatto che il diciottenne arrestato come l’autore materiale dell’attentato fosse già finito nei radar delle autorità. Voce non smentita dal governo britannico, e confermata da un tweet del presidente americano Trump in cui dichiara che i terroristi erano già noti a Scotland Yard. Ancora una volta quindi, come avvenuto già in passato, gli attentatori erano conosciuti alle forze dell’ordine o addirittura come in questo caso erano stati arrestati e rilasciati. Tutto questo accade mentre Londra guarda avanti e propone all’Unione Europea per il dopo Brexit un accordo sulla collaborazione per la sicurezza e contro la criminalità e il terrorismo. In particolare, punta a mantenere meccanismi di collaborazione e cooperazione fra le forze di polizia e condividere una serie di principi fra cui la protezione dei dati personali e la difesa  dei diritti umani.

Nel 2017, la capitale britannica è già stata colpita da tre attacchi terroristici di matrice jihadista, che in tutto hanno causato la morte di 14 persone e oltre 100 feriti. Rispetto agli ultimi attacchi, questa volta i terroristi hanno lasciato da parte furgoni e suv per ritornare agli esplosivi artiginali, vero marchio dei jihadisti. Nei mesi scorsi abbiamo assistito al suv che, il 22 marzo, ha travolto alcuni passanti davanti al palazzo di Westminster, sul Westminster Bridge, il ponte che attraversa il Tamigi, di fronte al Big Ben. L’attentatore poi si è diretto a piedi verso il parlamento britannico, dove ha aggredito con un coltello un poliziotto di guardia. In quell’occasione 40 persone sono state ferite e sei hanno perso la vita, inclusi l’attentatore e un poliziotto. Il secondo attentato riporta la data del 3 giugno, quando un furgone bianco ha investito alcuni pedoni sul London Bridge. I tre attentatori alla guida hanno portato il veicolo fuori dalla carreggiata per investire il maggior numero di persone, fino a fermarsi fuori un pub, dove sono scesi dal mezzo e hanno assalito a colpi di coltelli i clienti dei locali della zona. Otto persone sono state uccise e 48 ferite. Se si vuole prendere in considerazione l’intera Gran Bretagna, allora il numero delle vittime aumenta, considerando l’attentato di Manchster al termine di un concerto che ha causato la morte di 23 persone, incluso l’attentatore, tra le quali dodici bambini al di sotto dei 16 anni, e oltre 120 feriti.

Di Mario Savina, Ricercatore Centro Studi Roma 3000

Elezioni in Norvegia, la disfatta dei laburisti

EUROPA/POLITICA di

Fino all’ultimo voto, l’elettorato norvegese é rimasto con il fiato sospeso per il testa a testa tra il premier uscente Erna Solberg (Høyre) e il leader del partito laburista Jonas Gahr Støre.

Nei giorni successivi non sono mancate le polemiche, soprattutto a sinistra. La prima fra tutte ha riguardato la scelta del candidato premier del partito laburista, ex ministro degli Esteri e della Sanitá, con una lunga esperienza politica, che non é bastata, tuttavia a difendersi dall’innegabile carisma della Solbeg, né dal non farsi trascinare nel campo avversario dalla retorica populista del Partito del Progresso. Quest’ultimo da anni detta l’agenda della politica nazionale, ha governato insieme alla destra durante l’ultima legislatura e é finito sotto i riflettori per la gestione del Ministero drll’Integrazione, diretto da Sylvi Listhaug.

I risultati elettorali non hanno dato una vittoria schiacciante a nessuno dei numerosi partiti e la formazione del governo è ancora incerta. L’ago della bilancia sarà, stavolta, il Partito Cristiano Popolare, disponibile a governare insieme al partito Høyre e al partito liberale Venstre (che solo per un pugno di voti ha superato lo sbarramento al 4%), ma non con il Partiti del Progresso, di cui non condivide la politica reazionaria in tema di immigrazione. É ancora da vedere se Erna Solberg riuscirà a formare un governo facendo a meno della componente cristiana.

Dall’altra parte i laburisti possono contare su due alleanze importanti: SV (i socialisti di sinistra) e il Partito di Centro, mentre la porta é chiusa al partito di sinistra Rødt. Quest’ultimo é rappresentato per la prima volta in Parlamento, con un delegato, mentre gli altri due sono stati i veri vincitori di queste elezioni, avendo quasi duplicato le preferenze ricevute. Magro successo per i Verdi, che rimangono un partito tematico aperto a varie alleanze, ma che manca del supporto popolare.

Il governo uscente può dirsi soddisfatto di un risultato che, di fatto, conferma il gradimento dell’elettorato per il lavoro fatto nell’ultima legislatura e nonostante non sia stato promosso a pieni voti, può ben gioire di aver lavorato abbastanza bene da evitare una rovinosa bocciatura. Tutto si giocherà nei prossimi giorni, nei quali Erna Solberg, dopo l’approvazione popolare, dovrà superare il test delle alleanze con gli altri partiti.

 

Foto Aftenposten

Regeni, caso chiuso ma non risolto

MEDIO ORIENTE/POLITICA di

Davanti alle Commissioni riunite di Camera e Senato il ministro Alfano ha dichiarato che, nonostante il caso Regeni, i rapporti dell’Italia con l’Egitto e quelli dell’Egitto con l’Italia sono inalienabili. Ha aggiunto che tra i compiti che il nostro Ambasciatore dovrà svolgere c’è anche quello di continuare, di concerto con le autorità egiziane, a cercare la verità su quanto accaduto al nostro povero connazionale. Certo, dopo tutte le accuse di resa avanzategli dalle opposizioni interne alla coalizione che sostiene il Governo, non poteva dire altrimenti ma è a tutti chiaro che, nella sostanza, il “caso Regeni” è pressoché chiuso. Non importa quali altre carte o filmati saranno trasmessi alla nostra magistratura: la verità è già conosciuta ma, semplicemente, non si può dire.

Resteranno oscuri alcuni aspetti della vicenda quali, ad esempio, il perché’ il cadavere sia stato lasciato in una località ove sarebbe stato facilmente rinvenuto. Oppure quali rispettivi ruoli abbiano avuto la polizia egiziana e i servizi segreti di quel Paese. O ancora se anche altri “servizi” abbiano o meno avuto una parte nella storia e, nel caso, a quale scopo. Comunque, la sostanza è che, magari senza capirne tutti i contorni e le finalità, il giovane dottorando stava raccogliendo informazioni e contatti negli ambienti contrari al regime e che stava trasmettendo quei dati ai suoi mandanti a Londra. In altre parole, stava collaborando a quello che avrebbe potuto trasformarsi in una ribellione contro il Governo attualmente in carica.

Che questa ricostruzione sia la più plausibile è confermato dal fatto che la sua relatrice che gli affidò l’incarico, è una professoressa di origine egiziana che si era già distinta come ostile ad Al Sisi e, davanti alla richiesta della nostra magistratura di poterla interrogare, si è negata. Come lei, hanno rifiutato la collaborazione con i nostri investigatori anche tutti gli organi dirigenti dell’Universita’ di Cambridge, l’ateneo ove il povero Regeni sperava di costruire la sua carriera di ricercatore.

Poichè la vittima di quel brutale trattamento è un cittadino italiano, era scontato che il nostro Governo avanzasse pretese di chiarimenti sia da parte egiziana che britannica e sarebbe stato altrettanto naturale ottenere collaborazione da entrambe. Chissà perché’ seppur con gli egiziani la mancata assistenza ha portato a una nostra ovvia reazione diplomatica, contro la Gran Bretagna, che ci ha silenziosamente snobbati, nessuna reazione è stata prevista.

D’altra parte, se gli egiziani ci avessero fatto conoscere la verità ufficialmente e cioè che erano stati organi dello Stato a torturare e uccidere il nostro concittadino, saremmo stati obbligati a una formale e dura reazione, ben più pesante del semplice richiamo dell’Ambasciatore. Tuttavia ciò avrebbe significato rompere per un tempo indeterminato i rapporti tra i due Paesi che, come ha affermato giustamente Alfano, devono invece restare ottimali. È perfino comprensibile l’atteggiamento dei britannici. Dovevano dirci formalmente di aver “usato” un ambizioso ma insospettabile studente italiano per una operazione di spionaggio utile solo a loro? Quando mai? In qualunque parte del mondo, se una spia viene scoperta tutti i mandanti si precipitano a smentire di esserlo stati. Ebbene, i nostri bravi alleati d’oltre Manica non si sono nemmeno sprecati a mentirci: hanno semplicemente rifiutato di parlarci.

Ora, dopo mesi in cui il nostro Ministero degli Esteri ha manifestato il nostro disappunto, cosa che dovevamo fare per salvare la faccia, è arrivato il momento di ritornare a pensare realisticamente ai più grandi e ai veri interessi del nostro Paese: è quello che è stato fatto inviando un nuovo Ambasciatore.

A chi accusa il Governo di debolezza o di privilegiare interessi economici alla nostra dignità, basta ricordare che, appena noi ritirammo il nostro diplomatico dal Cairo, il Presidente francese Hollande si precipitò in Egitto con una pletora di industriali francesi (che bell’esempio di solidarietà europea! …) per fare affari in tanti settori, magari proprio sostituendo le aziende italiane che erano venute a trovarsi in difficoltà per la nostra mossa. Non solo, gioirono dell’incidente anche tutti coloro che si erano preoccupati (alcuni fortemente) all’annuncio della scoperta del giacimento di gas Zohr fatta dalla nostra ENI in acque egiziane. Si tratta del più grande giacimento di tutto il Mediterraneo che fa impallidire i precedenti due ritrovamenti nelle acque israeliane/cipriote. Zohr non darà all’Egitto soltanto una autosufficienza energetica dal valore strategico incommensurabile, ma gli consentirà perfino di diventare un esportatore netto di gas. È ovvio che essendo stata l’ENI a cercare e trovare quella ricchezza, molte altre aziende italiane potranno essere coinvolte nel suo sfruttamento. Ciò, naturalmente, se i rapporti tra i due Paesi continueranno ad essere virtuosi come lo sono sempre stati nel passato. L’interruzione dei rapporti diplomatici, se continuata, avrebbe pregiudicato la collaborazione in questo campo ed è esattamente ciò che molti altri Stati si auguravano.

Come se non bastasse, è bene anche ricordare ai nostri “moralisti” che uno dei maggiori problemi politici che stiamo fronteggiando è il continuo afflusso di “profughi” dalle coste nord africane. Il Governo si è mosso facendo accordi con i sindaci di tanti villaggi libici, con i capi tribù e con il Governo di Tripoli, ma è noto che Al Sarraj controlla solo una parte del territorio e che tutta la Cirenaica è invece sotto il controllo del gen. Haftar, che sta a Tobruk. Mentre la gran parte della Comunità internazionale sostiene il primo, l’Egitto è il principale sponsor (anche militare) del secondo. Dopo il nostro accordo con Al Sarraj, Haftar si era precipitato a dichiarare di essere pronto a colpire i “neocolonialisti” italiani, lasciando intendere che o si trattava anche con lui oppure il nostro con Tripoli era un puro “chiffon de papier”. Uso non a caso il termine in questa lingua (anche se il primo a definire così un trattato fu un generale tedesco, proprio contro la Francia) perché’ il nuovo Presidente francese ha cercato di emarginarci anche in Libia, ponendosi come mediatore tra le parti per ipotecarvi il futuro.

Nonostante i “cugini”, il nostro ritrovato rapporto con il Cairo sarà utilissimo pure per i negoziati con Tobruk, poiché’ Haftar non può certo negarsi ad un invito in questo senso che gli arrivasse dall’Egitto.

La politica internazionale è una questione molto complessa per le innumerevoli varianti che entrano in gioco e l’abilità diplomatica consiste sempre in un difficile equilibrio tra forza vera, forza apparente, bluff, menzogne, verità, idealismo e realismo. Ogni Governo che persegua gli interessi del suo popolo deve sapere, all’occasione, usare tutte le armi a sua disposizione senza velleitarismi o fanatismi. Che ci piaccia o no per molti altri motivi, nel caso dei rapporti con l’Egitto Gentiloni ha fatto quanto poteva e quanto doveva, niente di più ma anche niente di meno.

 

Dario Rivolta

 

Il Servizio Europeo per l’Azione Esterna (SEAE): limiti e potenzialità

EUROPA/SICUREZZA di

Per parlare di Difesa UE nel post-Lisbona, è necessaria una prima introduzione su una delle principali innovazioni del Trattato di Lisbona (2009), Il SEAE. In questo primo articolo, quindi, si cercherà di fare un riesame Servizio Europeo per l’Azione Esterna (SEAE), embrione di Ministero degli Esteri europeo, avvalendosi di alcuni contributi interni ed esterni all’UE per avere così un quadro imparziale dei limiti e delle potenzialità del SEAE.

Per quanto riguarda i contributi interni, l’analisi si basa su due testi: la Relazione speciale «L’istituzione del Servizio europeo per l’azione esterna», Corte dei Conti Europea, maggio 2014 e il Riesame del SEAE 2013, SEAE (AR/VP), luglio 2013. I contributi esterni consultati sono tanti e esprimono le posizioni più disparate.

Dal momento della sua istituzione il SEAE è stato oggetto di critiche che ne evidenziavano un difetto strutturale, l’incapacità di assolvere ai propri compiti di breve e lungo termine. Dopo averle esaminate, si è cercato di riassumerle nei loro tratti comuni. Ognuna di esse coinvolge, in diverso modo, i seguenti aspetti del SEAE:

  • La natura del Servizio
  • Il mandato del Servizio
  • La relazione del Servizio con gli altri attori istituzionali UE
  • Il ruolo dell’Alto rappresentante
  • La struttura del Servizio

In merito alla natura del Servizio, cioè al suo status giuridico e alle procedure di istituzione, molti rilevano un carattere di “secondarietà” rispetto alle istituzioni dell’UE come sancite nell’articolo 13 del TUE. In primis perché l’atto fondante del SEAE non è stato il trattato di Lisbona ma una decisione del Consiglio (2010/427/UE) come espressamente previsto dal Trattato. Successivamente perché, nella decisione del Consiglio, il SEAE è istituito come “organo dell’Unione che opera in autonomia funzionale sotto l’autorità dell’alto rappresentante” (autonomous functional body), terminologia che a molti è parsa ambigua e confusa. Inoltre, pur essendo menzionato nel Trattato di Lisbona, quando questo è entrato in vigore (1 dicembre 2009), la discussione tra Stati membri, Consiglio e Commissione sul nuovo Servizio era ancora in una fase iniziale. Ultimo ma non per importanza, il fatto che il SEAE sia nato nel pieno della “crisi dei debiti sovrani” può aver contribuito al ritardo della decisione del Consiglio e ad un annacquamento del mandato del Servizio.

Per quanto riguarda il mandato del Servizio, la sua missione, i commentatori sembrano rilevare all’unanimità un’eccessiva limitatezza di esso. Infatti la decisione del Consiglio investe il SEAE di questi compiti:

  • Supporto all’alto rappresentante nell’esecuzione delle sue funzioni, e quindi nel coordinamento della politica estera e di sicurezza comune (PESC) dell’Unione europea, compresa la politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC), nella sua veste di presidente del Consiglio Affari esteri, nella sua veste di vicepresidente della Commissione nel settore delle relazioni esterne.
  • Assistenza al presidente del Consiglio europeo, al presidente della Commissione e alla Commissione nell’esercizio delle loro rispettive funzioni nel settore delle relazioni esterne.

Un mandato, quindi, definito esclusivamente nei termini del rapporto con le altre istituzioni. Questo ha sollevato numerose critiche, in particolare per l’assenza di un quadro strategico che facesse da cornice all’azione esterna del Servizio. Pur essendo sopraggiunto, intanto, il quadro appena menzionato, con il varo di “European Union Global Strategy” nel giugno 2016, sembrano ancora mancare le condizioni perché avvenga un ampliamento della missione del SEAE, in particolare a causa delle resistenze degli stati membri.

Il tasto più dolente del funzionamento del SEAE rimane, però, quello delle relazioni con gli attori istituzionali dell’UE. Le relazioni, infatti, con la Commissione Europea, il Consiglio Europeo, il Parlamento Europeo e il Consiglio dell’UE sono quelle che, in ordine decrescente, soffrono più problematiche in termini di: competenza concorrente, ambiguità nell’attribuzione delle competenze, conflitti tra dimensione sovra-nazionale e inter-governativa. In particolare la nascita del SEAE come nuovo organismo che eredita le competenze della precedente DG RELEX e, in blocco, il personale che si occupava di relazioni esterne nei precedenti organismi ha creato numerose sovrapposizioni e confusioni circa la competenza delle svariate materie di rilevanza esterna. Tali sovrapposizioni si sono protratte per anni e fanno sì che, ancora oggi, competenze di azione esterna e in settori con rilevanza esterna rimangano alla Commissione. Un esempio è quello delle linee di finanziamento di alcune attività dell’Unione che si sovrappongono, creando molta confusione (è il caso del finanziamento delle delegazioni). A tal proposito si segnala la riattivazione, nel novembre 2014, del Commissioners’ Group on External Action (CGEA), riunione dei commissari di materie di rilevanza esterna e dell’Alto rappresentante (Commissioners   for   European   Neighbourhood   Policy   and   Enlargement   Negotiations, International    Cooperation    and    Development, Humanitarian   Aid,   e   Trade).

Diverso dagli altri ma sempre problematico rimane il ruolo dell’Alto rappresentante. L’Alto rappresentante veste infatti un “doppio cappello”: è AR e quindi responsabile della PESC e della PSDC ed è Vice Presidente della Commissione. A questo si aggiunge una serie di responsabilità (presiede il CAE e il SEAE, aggiorna il Parlamento Europeo, partecipa ai lavori del Consiglio Europeo, presiede l’Agenzia Europea per la Difesa) che rende il ruolo estremamente complesso e gravoso. Per questo il dibattito si è concentrato sulla possibilità di una deputization, cioè l’introduzione di un vice-rappresentante che rappresenti l’orientamento dell’AR nelle varie sedi. Ad oggi un vero e proprio vice non esiste, sebbene siano stati previsti meccanismi frammentati di supplenza.

Ultimo ambito in cui si sono concentrate le critiche al SEAE è quello della struttura del Servizio. Secondo molti commentatori, infatti, la struttura prevista nella decisione del Consiglio non era assolutamente in grado di garantire un corretto funzionamento dell’organo. L’eccessivo numero di dirigenti, i livelli di gestione aggiuntivi (soprattutto nei dipartimenti geografici), la mancanza di un reale Vice dell’AR, l’assenza di un processo di audit del materiale prodotto nell’attività di supporto all’AR e alle altre istituzioni hanno fatto propendere alcuni commentatori per un giudizio negativo. C’è da dire che tra la maggior parte dei contributi di analisi sul SEAE ed oggi è intervenuta la riforma organizzativa del luglio 2015 del Servizio, che per ora non è ancora passata al vaglio di una valutazione strutturale (se non quella positiva data dallo stesso SEAE nel report annuale 2015).

Per funzioni e struttura, il SEAE è potenzialmente un game-changer dell’identità europea nello scenario internazionale. Ad oggi però, in quelli che sono i dossier più caldi, al SEAE sembrano essere state tarpate le ali da congiunture politiche-economiche, difficoltà strutturali del processo di integrazione, interessi nazionali non complementari.

 

di Lorenzo Termine

ESERCITO USA SPERIMENTA NUOVO SISTEMA DI TARGETING PER L’ARTIGLIERIA

SICUREZZA di

Le unità di acquisizione obiettivo, le forze sul campo deputate a dirigere il fuoco d’artiglieria sugli obiettivi, hanno testato un nuovo sistema d’arma. I paracadutisti dell’unità “Black Falcon” hanno testato un nuovo sistema portatile e modulare utilizzabile sia di giorno che di notte.

I componenti JETS comprendono un modulo di posizionamento palmare, un modulo di marcatura laser e un modulo angolare verticale azimutale di precisione, tutti gli elementi montati su un treppiede.

I soldati dell’HHB hanno trascorso quattro giorni nella formazione sui nuovi equipaggiamenti presso Fort Belvoir, in Virginia.

I “Black Falcon” hanno testato la strumentazione eseguendo sette salti con le attrezzature da combattimento assicurandosi che il sistema funzioni ancora dopo aver raggiunto il suolo.

Dopo ogni operazione aerea, gli osservatori hanno assemblato l’attrezzatura e iniziato l’attività di identificazione del personale nemico e degli obiettivi in condizioni diurne e di notturne.

“Il test operazionale offre ai soldati l’opportunità di utilizzare, lavorare e offrire i loro suggerimenti su pezzi di attrezzatura che possono influenzare lo sviluppo di sistemi che i soldati futuri utilizzeranno in combattimento”, ha dichiarato il Col. Brad Mock, direttore del test Army Airborne.

TRUMP CAMBIA STRATEGIA, NESSUN RITIRO FINO ALLA VITTORIA

MEDIO ORIENTE/POLITICA di

WASHINGTON, 21 agosto 2017 – Il presidente Donald J. Trump ha presentato una nuova strategia espansiva per l’Asia meridionale, in netta contrapossizione con le sue precedenti dichiarazione, volta a rafforzare la sicurezza americana.

La nuova strategia comprende l’Afghanistan, il Pakistan, l’India, le nazioni dell’Asia centrale e si estende in Sud-Est asiatico.

Ai soldati presenti all’incontro presso la Joint Baser Myer –Henderson Ha sottolineato che la strategia non avrà linee naascoste tra le pieghe .

Trump ha detto che “il popolo americano è frustrato dalla guerra più lunga della nazione in Afghanistan, chiamandola una guerra senza vittoria” e che la nuova strategia “è un cammino verso la vittoria e si allontana da una politica di costruzione della nazione”.

‘Le truppe hanno bisogno di piani per la vittoria, la nuova strategia, ha detto Trump, è il risultato di uno studio che ha ordinato subito dopo l’insediaziamento gennaio e si basa su tre precetti.

“In primo luogo, la nostra nazione deve cercare un risultato onorato e duratura degno dei tremendi sacrifici che sono stati fatti, specialmente i sacrifici delle vite”, ha detto Trump. “Gli uomini e le donne che servono la nostra nazione in combattimento meritano un piano per la vittoria. Meritano gli strumenti necessari e la fiducia che hanno guadagnato per combattere e vincere “.

Il secondo concetto che deve essere chiaro ha ricordato il Presidente è che una uscita frettolosa dall’Afghanistan permetterebbe il ritrono dei terroristi nel paese.

Il terzo punto, ha affermato, riguarda le minacce provenienti dalla regione, che sono immense e devono essere affrontate.

“Oggi, 20 organizzazioni terroristiche straniere designate dagli Usa sono attive in Afghanistan e in Pakistan, la più alta concentrazione in qualsiasi regione in tutto il mondo”, ha detto il presidente. “Da parte sua, il Pakistan spesso offre rifugio sicuro agli agenti di caos, violenza e terrore. La minaccia è peggiore perché Pakistan e India sono due stati armati nucleari i cui rapporti tesi minacciano di spiralarsi in conflitto. E questo potrebbe accadere “.

Gli Stati Uniti, i suoi alleati e i loro partner si sono impegnati a sconfiggere questi gruppi terroristici, ha detto Trump.

Di Redazione European Affairs

TERREMOTO A ISCHIA: L’IMPEGNO DELLE FORZE ARMATE

EUROPA/INNOVAZIONE di

A seguito dello sciame sismico che ha colpito Ischia nella serata di ieri, le Forze Armate hanno messo a disposizione della Protezione Civile, nel corso della notte, personale, mezzi e assetti tecnici per i primi interventi di supporto alla popolazione.

In particolare, dopo una prima ricognizione alle ore 23.00 da parte di personale militare presente sul posto e a seguito della riunione del Comitato Operativo presso la Protezione Civile, già dall’una di questa notte, alcuni elicotteri dell’Aeronautica Militare e dell’Esercito sono impiegati per il trasporto sull’isola di personale specialistico dei Vigili del Fuoco e della Protezione Civile, nonché di materiali speciali e attrezzature varie.

Nel frattempo, sono stati posti in prontezza anche militari, elicotteri e navi della Marina Militare, nonché personale specialistico del genio dell’Esercito, in grado di intervenire nell’arco di poche ore, laddove fossero richiesti.

Inoltre, nella mattinata di oggi sono previste attività di ricognizione aerea da parte di velivoli AMX e di un Predator dell’Aeronautica Militare per mettere a disposizione della Protezione Civile ulteriori informazioni al fine di elaborare una migliore valutazione dei danni e una mappatura dell’area.

Tecnologie e mezzi delle Forze Armate sono impiegabili sia per scopi militari che civili. Tale capacità di fornire un servizio utile per la collettività nazionale – la cosiddetta dual use – si concretizza in attività in concorso e a supporto degli interventi della Protezione Civile, come dimostra anche l’impegno ininterrotto delle Forze Armate, da agosto dello scorso anno, nelle zone colpite dal terremoto in centro Italia.

Redazione
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