GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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EUROPA - page 51

Belgio: la questione dell’immigrazione al centro della crisi politica

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Dopo aver perso il sostegno della Nuova Alleanza Fiamminga (N-VA), il partito fiammingo indipendentista di destra nonché il principale partito di governo il quale occupa il maggior numero di seggi nelle due camere del Parlamento federale, e dopo il rifiuto del Partito Socialista e dei Verdi, all’opposizione, di sostenere il nuovo governo di minoranza fino alle prossime elezioni federali del 26 maggio, il Primo Ministro belga, Charles Michel, ha annunciato le sue dimissioni al Parlamento e le ha presentate al Re Filippo del Belgio. Quest’ultimo ha chiesto a Michel di restare in carica, seppur con poteri ridotti, per permettere ai partiti di giungere ad un accordo e formare una nuova alleanza.

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Per affrontare la carenza di manodopera, l’integrazione socioeconomica dei migranti è essenziale, affermano i partecipanti alla discussione dell’OSCE a Vienna

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VIENNA, 18 dicembre 2018 – Per affrontare la carenza di manodopera e consentire ai migranti di essere una risorsa per i paesi di origine e destinazione, l’integrazione socio-economica è essenziale, hanno detto i partecipanti alla conferenza dell’OSCE che si è tenuta oggi a Vienna in occasione della Giornata internazionale dei migranti.

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UE – Giappone: il più grande accordo commerciale bilaterale negoziato dall’Unione Europea

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Un’intesa senza precedenti. Mercoledì 12 dicembre, l’Europarlamento, riunitosi in plenaria a Strasburgo, ha approvato l’Economic Partnership Agreement (EPA), l’accordo di partenariato economico tra Unione Europea e Giappone, che andrà a coprire un’area pari ad un terzo del PIL mondiale, la più grande ricoperta fino ad ora da un accordo commerciale bilaterale.

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Attacco Russo nel Mare d’Azov: il destino dei catturati marinai ucraini

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Il 25 novembre la guardia costiera russa ha sparato contro le navi ucraine nel Mar Nero in acque internazionali e, di successivamente, ha catturato le tre navi e i marinai ucraini che erano a bordo. Sei marinai ucraini sono rimasti feriti. Le navi sono state portate nel porto di Kerch, i marinai catturati si trovano anch’essi sulla penisola occupata di Crimea.L’UCMC ha raccolto delle informazioni sul loro destino che vi  raccontiamo.

I prigionieri ucraini Hanno lo status dei prigionieri di guerra. In base alle Convenzioni di Ginevra del 1949 i marinai ucraini catturati il 25 novembre dalla Federazione Russa sono ritenuti prigionieri di guerra. Si tratta di 24 persone inclusi i due ufficiali di controspionaggio del Servizio di Sicurezza dell’Ucraina. La maggioranza dei prigionieri sono persone giovani: da 18 a 27 anni. Sono provenienti da diverse regioni ucraine.

I nomi, la lista completa.

 Il 27 novembre Anton Naumlyuk, giornalista del servizio russo della Radio Liberty ha pubblicato la lista completa delle 24 persone ucraine catturate nel mare dalle forze russe. Tre marinai ucraini si trovano nell’ospedale n.1 a Kerch, dove sono stati sottoposti ad interventi chirurgici.

Le confessioni sotto pressione.

Il 26 novembre il Servizio di Sicurezza della Federazione Russa (il FSB) ha pubblicato un video affermando che i tre marinai ucraini – Volodymyr Lisovyi, Ivan Drach e Serhiy Tsybizov avrebbero confessato di aver tentato di attraversare la frontiera russa illegalmente.

Nella registrazione è visibile che i marinai leggano la propria “testimonianza” da un pezzo di carta, descrivendo la rotta delle navi ucraine e ripetendo che “sono entrate nelle acque territoriali della Russia” mentre stavano navigando.

Il 27e 28 novembre il “tribunale” della Simferopoli occupata ha arrestato tutti i 24 catturati marinai ucraini. Il 28 novembre il de facto tribunale delle autorità d’occupazione ha arrestato nove marinai ucraini, incluso un impiegato del 7° direttorato del Direttorato principale del controspionaggio militare del Servizio di Sicurezza dell’Ucraina, primo luogotenente Andriy Drach e il commandante del motoscafo corrazzato ucraino “Nikopol” Bohdan Nebylytsia.

Il 27 novembre il “tribunale” di Simferopoli ha emesso la decisione di arrestare 12 marinai ucraini per due mesi. Inoltre sono state scelte le misure cautelari – l’arresto fino al 25 gennaio, ai tre marinai che sono stati feriti durante l’attacco russo. Sono Andriy Artemenko, Andriy Eider e Vasyl Soroka.

Le autorità russe imputano ai marinai catturati l’attraversamento illegale della frontiera della Federazione Russa. A difendere i marinai saranno otto avvocati tataro-crimeani. Il capitano della nave “Berdyansk” Denys Hrytsenko sarà difeso dall’avvocato russo Nikolai Polozov.

Mentre si stava preparando questo materiale processuale, il 29 novembre sono arrivate le informazioni, dagli avvocati dei marinai ucraini, che fosse in corso il trasferimento di almeno una parte dei marinai dalla Crimea a Mosca.

Il Comandante delle Forze Navali dell’Ucraina Ihor Voronchenko ha enfatizzato che i marinai ucraini catturati sono stati forzati a dare le testimonianze false sotto pressione. “È stato rilasciato un video con i tre marinai che avevano testimoniato sotto pressione psicologica e fisica. Conosco questi marinai della nave “Nikopol”, sono sempre stati dei professionisti onesti. Quello che dicono adesso non è vero,” ha detto il Comandante. Ha aggiunto che due dei marinai catturati sono originari della Crimea, dove vivono i loro genitori. Questo potrebbe diventare un fattore aggiuntivo per esercitare pressione su di loro.

Inoltre il Comandante delle Forze Navali dell’Ucraina Ihor Voronchenko ha scritto una lettera aperta ai marinai catturati. Gli sarà stata passata attraverso i loro avvocati. Citiamo alcuni pasaggi di essa.

“Fratelli d’armi!

Lo so come vi è difficile adesso. Tutti i marinai militari prendono con comprensione le cosidette testimonianze che si sta tentando di ottenere da voi. I metodi nell’uso dai servizi della sicurezza della Federazione Russa non sono un segreto per nessuno. Ne sono stato sottoposto anch’io nel 2014 e so bene com’è essere in cattività e cosa c’è dietro le vostre parole durante un’interrogazione.

Il mio compito più urgente adesso è di farvi tornare a casa. L’Ucraina sta intraprendendo tutti gli sforzi possibili per liberarvi dalla cattività, coinvolta è anche la comunità internazionale. Per farvi liberare lavorano l’Amministrazione del Presidente dell’Ucraina, il Ministero per gli affari esteri, il Ministero per gli affari dei territori temporaneamente occupati, il Commissario parlamentare per i diritti umani, la Croce Rossa, i volontari e i difensori dei diritti umani. Siamo lo stesso equipaggio, una famiglia, lotteremo assieme a voi fino al vostro ritorno a casa (…)”

Il sostegno pubblico ai marinai.

In Crimea sono stati raccolti circa 140 mila rubli (più di 1.800 euro) per i bisogni dei marinai ucraini catturati dal FSB. Lo ha affermato un attivista tataro-crimeano Nariman Dzhelyal il 28 novembre. Quando si è venuto a sapere che non fosse stato permesso ai marinai di portare con se i loro effetti personali, la gente ha iniziato a raccogliere il denaro e portare al tribunale cibo,  prodotti per l’igiene personale e vestiti.

Osman Pashayev, giornalista ucraino tataro-crimeano, produttore esecutivo del canale televisivo pubblico ucraino “UA:Krym” (UA:Crimea) ha scritto il 29 novembre: “C’erano 857 le persone che avevano raccolto 324.000 hryvnia (più di 10.000 euro) per i marinai ucraini facendo donazioni alla mia carta bancomat.” Il giornalista aggiunge: “Per quasi cinque anni ero convito che, a parte i tatari crimeani, non ci fosse quasi più nessuno a sostenere l’Ucraina. L’eccezione è testimoniata dalle azioni dell’Arcivescovo Climent e dei suoi parrocchiani. Ieri quando si è presentata la necessità per un aiuto urgente, mi hanno scritto cosi tante persone dalla Crimea con cognomi slavi che sono rimasto sbalordito.”

 

Fonte: UACRISIS.ORG

Svizzera: non passa il referendum che mirava ad ostacolare i rapporti con l’Unione Europea

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Domenica 25 novembre i cittadini svizzeri hanno bocciato il referendum che chiedeva di subordinare i trattati internazionali alle leggi elvetiche. “Volete accettare l’iniziativa popolare «Il diritto svizzero anziché giudici stranieri (Iniziativa per l’autodeterminazione)»?” questo è il quesito referendario che è stato sottoposto al corpo elettorale.

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Il consiglio europeo approva l’accordo Brexit

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È il 25 novembre 2018 quando l’Unione Europea si trova a dover considerare, per la prima volta dopo il referendum britannico per l’uscita del Paese dall’UE, una proposta di accordo formalmente approvata dal governo inglese. Si tratta di un momento di cruciale importanza per la questione Brexit: il Regno Unito ha notificato al Consiglio europeo l’intenzione di uscire dall’UE il 29 marzo 2017 e dunque è necessario stipulare un accordo di recesso entro due anni precisi, vale a dire il 29 marzo 2019.

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I luoghi comuni. Perché in Europa ridono di noi (ogni tanto).

Faccio una doverosa premessa: questo articolo sarà pieno di luoghi comuni. Oltre i classici “pizza, spaghetti, mandolino… e mafia”. Chi mi conosce sa che vado fiero dei miei pregiudizi. Il mio tentativo sarà non quello di sfatarli, bensì quello di confermarli e, forse spiegarli. Luoghi comuni sull’Italia e gli italiani, visti da Bruxelles. Non parlo solo delle Istituzioni europee… ma della gente, del sentire comune. Della proverbialità a cui è ormai assurto il nostro essere italiani. Eppure questi signori d’oltralpe (i nostri “fratelli” europei) hanno dimenticato che Roma, le istituzioni, il diritto, la civiltà, la religione, la cultura, li abbiamo inventati noi. No, non è così. Questo lo dicono tutti. Non è che all’estero non sappiano che l’Italia è l’artefice di tutto quanto di sensato sia oggi di uso comune nel continente: il fatto è che gli italiani fanno di tutto, ma proprio di tutto per far cadere il nostro glorioso passato nell’oblio. E forse nemmeno loro lo conoscono, il loro passato. Primo luogo comune.
Fermo subito qualunque scettico: non sono un auto-razzista (termine oggi molto in uso dai sovranisti per indicare sinistroidi estremisti, boldriniani e immigrazionisti vari). Se è per questo, non sono neppure un sovranista, o almeno non mi ritengo tale. O, almeno, non del tutto. Non secondo me, europeista convinto.
C’è un vecchio video di Bruno Bozzetto su Youtube (lo trovate a questo link), dedicato a tutti coloro che credono che gli Italiani siano uguali agli altri europei. Quel video, stupendo e geniale, riepiloga in pochi minuti le differenze tra noi e gli altri popoli europei sulla politica (le poltrone da cui i nostri leader non si staccano mai), il modo di parcheggiare, il modo di guidare il modo di prendere il caffè… E sapete una cosa? Quel video è azzeccatissimo. Purtroppo. Ricorda quanta poca sobrietà ci sia ormai da tempo nei nostri costumi, ahinoi non solo in contesti informali. Guardatelo. Adesso, però, vi do la mia versione.
Cominciamo dall’aereo: se prendete un volo da Bruxelles, della Brussels Airlines (la vecchia “Sabena”, per intenderci), partite ad un orario prestabilito: è puntale il boarding, un po’ meno la partenza (siamo comunque non oltre i 15 minuti) ed in linea di massima in un’ora e quaranta minuti siete a Roma (arrontondiamo pure a due ore, ma non per auto-piaggeria). Durante la fila nessuno fa il furbo: chi è in economy si mette in coda subito per cercare di prendere posto prima, chi è in business o flex si rilassa un po’ di più e si mette in una fila ordinata di poche persone. Le hostess (assolutamente non necessariamente statuarie, e non necessariamente belghe né belle – questi sono luoghi comuni) cominciano sin da subito a “bollare” anche i bagagli a mano che dovranno viaggiare comunque nella stiva. Chi tardi arriva, male alloggia. Anche in un regime di oligopolio, quale è quello della tratta tra la “Capitale d’Europa” e le capitali nazionali. Se qualcuno si mette in fila con la business, e all’atto dell’imbarco possiede un biglietto economy, viene gentilmente invitato a mettersi in coda alla fila. Per ultimo.
La stessa cosa non succede se viaggiate, sempre da Bruxelles, ma con altra compagnia aerea (non dirò quale, ma tanto avete capito, no? Sempre quella…). La fila si forma abbastanza puntualmente, ma non così ordinatamente. Il boarding è comunque molto puntuale, ma la fila per la business class è inspiegabilmente lunga e, peggio ancora, si allunga quando ormai è quasi esaurita. Così che qualche sedicente business man, di corsa, riesce casualmente ad infilarsi al momento giusto nella fila dei suoi presunti pari. Poi sfila e si imbarca l’economy. Ma con un piccolo problema: siccome c’è stato qualche furbacchione dell’economy che si è infilato nella coda della business, le signorine (che sfoggiano sempre i colori di quella compagnia aerea…sempre quella) sono costrette ad aumentare o ad anticipare la “bollinatura” dei bagagli a mano da portare nella stiva. E da dove cominciano? Non dagli ultimi, ovviamente, ma dai primi che si trovano davanti. Così funzionari ministeriali, professori universitari “smart”, politici grullini (e non è un errore di battitura) che fanno finta di viaggiare in economy, e turisti che si erano virtuosamente messi in coda per primi, dovranno aspettare a fine corsa il loro bagaglio in un famoso aeroporto italiano (sempre quello), mentre gli ultimi, i furbi, essendo ultimi, lasceranno per primi l’aeroporto, quando gli altri, gli scemi, sono ai nastri.
Tutto questo lascerebbe indifferente l’italiano medio, normalmente aduso ad essere sorpassato da consimili più furbi e a non protestare, quasi per quieto vivere. Bisognerebbe litigare veramente con tutti. Ma, ovviamente, tra i passeggeri di quel volo, talvolta c’è qualche erudito eurocrate, cresciuto a birra e crauti, o a birra e waffle, che storce il naso, ride, fa battute sull’Italia e gli Italiani. No: non è colpa sua. E’ colpa nostra. E questo è un luogo comune.
Vi tralascio i rimbrotti, le battute, i musi lunghi e gli sbuffamenti quando si parte dall’Italia, da quel famoso aeroporto italiano, verso Bruxelles. Indipendentemente dalla compagnia con cui viaggiate, dovete calcolare almeno 45 minuti di ritardo prima che l’aereo si sollevi. Nei casi peggiori (invero residuali) l’aereo si solleva quasi quando avrebbe dovuto atterrare dall’altra parte. Come mai si accumuli sempre questo ritardo, non è dato saperlo. Luoghi comuni.
Arriviamo a Bruxelles. Lì, in generale, l’accozzaglia di gente più o meno seria e più o meno sobria per le strade, e nei negozi e nei locali fa sì che la bestia italica si confonda abbastanza. C’è chi ride sguagliatamente, ma non è necessariamente appartenente a un gruppo di pugliesi o di napoletani. Potrebbero essere anche irlandesi (del resto simili a noi) o olandesi (essendo davvero uomini liberi, loro possono fare qualunque cosa). Più difficile che si tratti di francesi. Impossibile siano tedeschi. I nord africani ci guardano con circospezione, perché gli stranieri lì siamo noi, non loro. La città, in molti vicoli, è “aulente” di pipì e di fritto. Luoghi comuni.
La cucina non è un granché. Tranne la carne, il salmone, la birra e le verdure. Quindi niente di speciale. Anche le marche più pregiate di cioccolato hanno stabilimenti in Turchia. Non oso immaginare, se hanno lo stabilimento in Turchia, dove possano comprare le nocciole. Di certo non a Torino o a Viterbo. Luoghi comuni.
Entriamo nelle Istituzioni. Lì si apre un mondo. Chi è accreditato entra senza controlli velocemente, come è giusto che sia. Chi non lo è, passa solo dei controlli se è stata comunque confermata la sua presenza in precedenza e la sua identità è nota. Chi non è nemmeno atteso deve farsi identificare. E qui viene il bello. Di solito gli italiani non sanno che per entrare in questi edifici (che sono sacri, e non sono ironico!) occorre il passaporto o una carta di identità.
La patente? NO.
Ma è europea! NO.
Io sono un giornalista, ecco la tessera professionale! MI DISPIACE. NON E’ UN DOCUMENTO VALIDO (in Belgio, come in molti Paesi europei, non esiste un vero e proprio ordine dei giornalisti come da noi).
Ma in Italia è un documento valido! IN ITALIA. QUI NO.
E allora devo tornare in albergo a riprendere i documenti? OUI, JE SUIS DESOLE’ MONSIEUR.
Luoghi comuni? Non tanto. E intanto la fila dietro si accumula…. e si sente sottovoce, tra risatine soffocate e rabbia smorzata…  “Italians… Italienne… Italienisch….
Una volta dentro, ognuno sa quello che deve fare. E anche gli Italiani sanno farsi valere. Tutti sanno quello che devono dire. La differenza fondamentale, però, è che noi siamo tutti euroscettici. Questa è la verità. Anche gli europeisti italiani più convinti sono euroscettici. Noi in Europa ci andiamo, non ci siamo.  Non vogliamo fare e non facciamo mai brutta figura, specie a livello tecnico, e le amministrazioni, le aziende, le lobby, le autorità indipendenti e le ex partecipate inviano sempre funzionari svegli e di ottimo livello.
Ormai anche noi parliamo benissimo l’inglese ed il francese. E’ difficile che chi vada a quelle riunioni e non sia un buon english speaker non sia accompagnato almeno da qualcuno che si muove bene in quei corridoi. Ma se osserviamo il dossier dei nostri inviati, delegati, politici, etc. possiamo osservare dei veri e propri mattoni di carta, che spiegano per filo e per segno cosa dovranno dire, cosa probabilmente ci verrà detto, cosa è meglio per il Paese che quel delegato dica.
Gli altri… gli altri no. Gli altri conservano l’agenda dell’incontro, qualche altro documento magari proposto dal loro Paese e null’altro. Conoscono la materia. Hanno le idee chiare. Prevedono le strategie altrui. Sono comunque preparati a fronteggiare posizioni avverse, da Stati non sempre amici. Sfidano i rappresentanti della Commissione, quando non sanno già in anticipo come questi si comporteranno.
Per questo noi non siamo in Europa, ma andiamo in Europa. A mio parere, l’Europa per noi è un teatro, dove dobbiamo dimostrare qualcosa. Molte volte veniamo applauditi, non c’è che dire. Altre volte no. Ultimamente no. Ma invece quella è casa nostra. Non dovremmo nascondere nulla, dovremmo dire quello che pensiamo, fare quello che riteniamo più giusto fare. Sbuffare anche noi contro gli altri. Non limitarci a prendere per il culo qualche spilungone allampanato che snocciola numeri o consigli, solo perché non capisce l’italiano e magari ha pure il naso e le gote rosse (luogo comune!).
Siamo anche noi fondatori e fino a poco fa non ce lo ricordavamo. Perché non ce lo ricordavamo? Perché non ne abbiamo approfittato? Perché finora mai nessuno aveva osato fare la voce grossa, da parte italiana, nei corridoi e nelle aule di Bruxelles.
Non parlo del Parlamento europeo, dove qualche deputato più o meno stravagante, per toni o per contenuti, ha fatto talvolta parlare di sé. Italiani in primis.
Parlo del Consiglio dell’UE, del Consiglio Europeo e della Commissione europea. In questi consessi, diciamolo, prima dell’attuale governo, anche durante Presidenza italiana, nessuno aveva fatto parlare dell’Italia. La “Italian issue”, anzi le “Italian issues” sono cosa recente. Si può essere più o meno d’accordo con Salvini, per carità. Io sono d’accordo, per alcuni contenuti. Quello che mi è piaciuto – aldilà dei contenuti – è stata la pervicacia, l’insistenza, la coerenza e la forza con cui questi contenuti sono stati espressi.
Lasciate stare, solo per un attimo, se siete o meno d’accordo e se mi caverete o meno gli occhi per quanto vi ho appena detto. Praticamente Salvini ha avuto l’abilità di mettere i famosi puntini sugli “i” (luogo comune!) a quei Paesi che lo facevano prima con noi. La differenza è che mentre gli altri puntano e puntavano il ditino verso di noi perché magari non eravamo puntuali nell’implementazione di qualche normativa, perché magari rispondevamo in maniera vaga a domande precise o perché eravamo comunque troppo prolissi, adesso abbiamo puntato noi il dito verso di loro. Lasciatemelo dire… sui dossier migration, relocation, repatriation e altri simili, l’Europa aveva ed ha proprio toppato nei riguardi del nostro Paese. E, secondo me, non c’è nulla di inumano nel dire che ogni Stato membro dovrebbe fare la sua parte, che non possiamo essere – con la Grecia – gli unici Paesi in cui l’Europa debba esercitare l’accoglienza. Non è possibile, non ce la facciamo. E prima di Salvini, lo dicevano anche i governi di sinistra (ai governi di sinistra va comunque reso il merito – il grande merito – di aver notevolmente diminuito il numero delle procedure di infrazione nei differenti settori in cui l’Italia era indietro normativamente). Diciamo che Salvini ha fatto in modo che si passasse dalle parole ai fatti. Abbiamo dato effettivamente fastidio. Abbiamo semplicemente chiesto che tutti – e non solo noi – fossero chiamati ad applicare le regole. Oggi la maggior parte degli Italiani con un minimo di erudizione conosce meglio, di sicuro, il diritto comunitario (prima dato in pasto ai soli addetti ai lavori), Dublino (più o meno), Frontex (ovviamente non ne conosce lo stato giuridico.. e l’Agenzia non si chiama neanche più così) e via discorrendo. Credo che in questo, stavolta, sia stata – a ragione – l’Italia a puntare il dito, grazie a Salvini. Forse avrei urlato meno. Ma ognuno ha il suo stile. Luogo comune.
Ma cosa smonta tutto questo? Cosa fa ridere gli altri di noi? Il fatto che siamo deficitari su molti altri fronti. Otteniamo una vittoria e dieci sconfitte. Luogo comune. Non siamo eurocrati. Non lo saremo mai.
Il problema è che a una strategia ben precisa nel settore affari interni, corrispondono strategie fumose sugli altri tavoli. Primi tra tutti i tavoli economico-finanziari. E’ inutile commentare i fatti di questi giorni. La procedura di infrazione, la cena tra il Presidente Conte e Juncker, i commenti prima e dopo la cena, la quota 100 e il reddito di cittadinanza. Tutte cose trite e ritrite dalla stampa nazionale ed estera. Io, personalmente, reputo scellerata la gestione di questi dossier in campo nazionale… e credo sia pressoché impossibile far capire agli eurocrati la presunta ed asserita bontà di alcuni provvedimenti macroeconomici come questi (ma figuriamoci!).
Il problema è che, per fare la voce grossa, bisognerebbe avere tutte le carte in regola. Allora è fastidioso sentire Junker che – seppur in un clima almeno apparentemente amichevole – dice di amare l’Italia perché da giovane, in Lussemburgo, era circondato da immigrati italiani. Che cosa vuol dire? Perché questa sottolineatura? Non poteva dire solo di amare l’Italia perché è un paese bellissimo e ricco di monumenti? Non avrebbe potuto utilizzare un luogo comune positivo?
Allora quello che a me non va giù è che proprio perché noi non siamo perfetti a tutto tondo, in tutti i settori, gli altri approfittano delle sbavature. Proprio perché è un luogo comune che in Italia i controlli non siano rigidi. Allora i gendarmi francesi scaricano migranti sui nostri confini, come fossero immondizia (ma che umanità è questa?)… gli svizzeri approfittano della notte per non accogliere nemmeno donne e bambini (no comment).
Insomma: qual è la ricetta per evitare luoghi comuni e risatine su di noi? Basterebbe, davvero, che ognuno facesse bene quel poco che gli è richiesto di fare. Affrontare le sfide europee sicuramente con spirito critico, ma ben sapendo che il sistema non si può scardinare con alzate di testa o con proposte folli, che mai saranno accettate. Il sistema si può cambiare, osservando le regole, dall’interno. In maniera silenziosa e costante. Bisognerebbe formare una classe dirigente che sin dalle scuole superiori possa ambire a ricoprire ruoli di prim’ordine nelle istituzioni europee. Bisognerebbe far capire alla popolazione che l’Europa non è qualcosa di altro da noi, ma è qualcosa di cui anche noi facciamo parte.
E questo è un altro bug del nostro sistema. Gli italiani (pochissimi) che ricoprono ruoli anche non di spicco nelle istituzioni UE ci sono arrivati con le proprie gambe. Vincitori di concorso, davvero qualificatissimi, impossibili da scartare o da bocciare, sono arrivati a Bruxelles e lì hanno messo la loro bandierina. Ho conosciuto italiani, nelle istituzioni, che fingevano di non capire che in una sala ci fossero dei connazionali, e rivolgersi a loro in inglese. Ho visto e sentito italiani dire di essere “della Commisisone” e, quindi, non propriamente italiani, in quella veste. Ma non credo sia colpa dei diretti interessati. Sono italiani che non sono stati sostenuti dal Paese, per arrivare dove sono arrivati. Sono italiani che talvolta si sono sentiti in in imbarazzo per i ritardi del nostro Paese. Altri Paesi conoscono in anticipo le posizioni aperte nelle istituzioni e pianificano per tempo, con una formazione mirata, chi dei loro dovrà riempire quella casella. Nel nostro settore esiste una formazione “europea” adeguata soltanto nel comparto difesa e sicurezza. I militari che vanno all’estero sotto egida UE svolgono corsi di formazione per quanto più possibile omogenei e, infatti, nei teatri operativi gestiti dall’UE, nell’ambito della PESC e della PSDC, l’Italia ha sempre stra-ben-figurato. Capacity building, peace making, stability policing, sono cose che abbiamo letteralmente inventato noi.
Le altre compagini ministeriali, ahimé, conservano nicchie di eccellenza isolate, che viaggiano in Europa o fuori da essa, ma con le sue insegne, senza un “addestramento” omogeneo, che in Patria li abbia preparati insieme agli altri pari-ruolo o pari-qualifica. Magistrati, professori, cooperanti, funzionari dei trasporti, dell’istruzione, delle comunicazioni, conoscono l’inglese perché magari lo hanno sempre coltivato da soli, a loro spese, e si sono affacciati solitariamente agli impegni europei. Qualcuno è in missione. Qualcuno è in aspettativa. Qualcuno è fuori ruolo. Indennità diverse, compensi diversi, compiti diversi ed obiettivi (nazionali) poco chiari. Chiarissimi sono invece gli scopi della loro missione, per l’Europa.
Se ci sforzassimo di rendere univoci gli sforzi, di mettere a sistema la nostra pregiatissima cultura giuridica ed amministrativa, di addestrare tutti coloro che a vario titolo vanno all’estero (non solo in Europa), se facessimo leva non solo sull’orgoglio e sulla preparazione personali, ma fornissimo una omogenea preparazione italo-europea, sicuramente avremmo italiani più responsabili, che varcano i confini nazionali per entrare in quelli europei, davvero a testa alta. Ed il nostro Paese ne trarrebbe un vantaggio di immagine (e non solo) addirittura (ne sono sicuro!) superiore a quello di altri Paesi.
Sfatando, finalmente i luoghi comuni.

 

 

Domenico Martinelli
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