GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

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EUROPA - page 25

Summit Unione europea – Cina tra commercio, Covid-19 e diritti umani

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L’Unione europea e la Cina hanno tenuto il loro 22° vertice bilaterale in videoconferenza il 22 giugno 2020. Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, e la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, accompagnati dall’alto rappresentante Josep Borrell, hanno incontrato telematicamente il primo ministro cinese Li Keqiang e il presidente cinese Xi Jinping. Al centro del vertice vi sono stati molteplici argomenti: commercio, azione climatica, sviluppo sostenibile, diritti umani – non negoziabili secondo la Von der Leyen – ed anche la risposta al coronavirus. “Il summit di oggi Ue-Cina è un’opportunità estremamente necessaria per andare avanti su tutti gli aspetti della nostra cooperazione”. Così su Twitter la presidente della Commissione Ue.

22° Summit

Il 22 giugno si è tenuto in videoconferenza il 22° summit tra l’Unione europea e la Repubblica Popolare Cinese, incontro di fondamentale importanza dal punto di vista geopolitico, soprattutto a seguito della strategia lanciata dall’UE nel marzo 2019. L’UE infatti ha ricordato gli importanti impegni assunti in occasione del vertice passato ed ha sottolineato la necessità di attuare tali impegni in modo dinamico e orientato ai risultati, in quanto ad oggi i progressi fatti sono limitati. L’agenda del summit in questione comprendeva le relazioni bilaterali tra i due attori, le questioni regionali e internazionali, la pandemia di Covid-19 e la ripresa economica. Importante tema è stato anche quello degli investimenti: l’UE ha fortemente sottolineato la necessità di portare avanti i negoziati per un ambizioso accordo di investimento globale UE-Cina che affronti le attuali asimmetrie nell’accesso al mercato e garantisca delle condizioni di parità. Per fare ciò sono necessari progressi urgenti, in particolare per quanto riguarda il comportamento delle imprese statali, la trasparenza dei sussidi e le norme che affrontano i trasferimenti di tecnologia. L’UE ha ribadito anche l’urgente necessità per la Cina di impegnarsi in futuri negoziati sui sussidi industriali in seno all’OMC e di affrontare l’eccesso di capacità in settori tradizionali come l’acciaio e le aree ad alta tecnologia. I leader hanno avuto una discussione anche sui cambiamenti climatici, in quanto la Cina è partner dell’UE ai sensi dell’accordo di Parigi, ma deve impegnarsi in un’azione nazionale risoluta e ambiziosa per ridurre le emissioni a breve termine e fissare un obiettivo di neutralità climatica al più presto possibile. Infine, il vertice è stato anche l’occasione per discutere dell’importanza del settore digitale per le economie e le società di tutto il mondo. L’UE ha sottolineato che lo sviluppo di nuove tecnologie digitali deve andare di pari passo con il rispetto dei diritti fondamentali e della protezione dei dati.

Le questioni più spinose: Covid-19, Hong Kong e diritti umani

In risposta alla pandemia di COVID-19, l’Unione Europea ha sottolineato la responsabilità condivisa di partecipare agli sforzi globali per fermare la diffusione del virus, potenziare la ricerca su trattamenti e vaccini e sostenere una ripresa globale verde e inclusiva. L’UE ha sottolineato la necessità di solidarietà nell’affrontare le conseguenze nei paesi in via di sviluppo, in particolare per quanto riguarda la riduzione del debito, ed ha invitato la Cina a cogliere appieno gli insegnamenti che derivano dalla gestione dell’epidemia e dalla risposta sanitaria internazionale al COVID-19, commissionata dalla risoluzione adottata nell’ultima Assemblea mondiale della sanità. Infine, l’UE ha inoltre invitato la Cina a facilitare il ritorno dei residenti dell’UE in Cina.

Quanto alla questione di Hong Kong, l’Unione europea ha ribadito le sue gravi preoccupazioni per le misure della Cina in merito alla legge sulla sicurezza nazionale adottata da Pechino e considera tali misure non conformi alla Legge fondamentale di Hong Kong e agli impegni internazionali della Cina, esercitando pressioni sui diritti e sulle libertà fondamentali della popolazione protetta dalla legge e dal sistema giudiziario indipendente. Infine, l’UE ha espresso una certa preoccupazione per il deterioramento della situazione dei diritti umani, compreso il trattamento delle minoranze nello Xinjiang e del Tibet e dei difensori dei diritti umani, nonché delle restrizioni alle libertà fondamentali. A tal proposito, i leader dell’UE hanno sollevato una serie di singoli casi, compresi i rapporti sui cittadini scomparsi dopo aver riferito/espresso le loro opinioni sulla gestione dell’epidemia di Coronavirus, nonché la detenzione arbitraria del cittadino svedese Gui Minhai e di due cittadini canadesi: Michael Kovrig e Michael Spavor. La Presidente Von der Leyen ha ribadito che i diritti umani e le libertà fondamentali non sono valori negoziabili per l’UE, mentre il Presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha affermato “[…] dobbiamo riconoscere che non condividiamo gli stessi valori, i sistemi politici o l’approccio al multilateralismo. Ci impegneremo in modo chiaro e sicuro, difendendo con fermezza gli interessi dell’UE e mantenendo fermi i nostri valori”.

Corte di giustizia dell’UE: la legge ungherese sulle ONG finanziate dall’estero è discriminatoria e contraria al diritto europeo

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Il 18 giugno, la Corte di Giustizia dell’Unione europea – l’istituzione chiamata a garantire il rispetto del diritto tramite l’interpretazione e l’applicazione dei trattati fondativi dell’UE – ha giudicato discriminatoria e contraria al diritto dell’Unione la “Legge ungherese sulla trasparenza delle organizzazioni sostenute dall’estero”, che impone alle ONG che ricevano finanziamenti stranieri oltre 7,2 milioni di fiorini ungheresi (circa € 23.500) l’obbligo di registrazione e di dichiarazione, pena sanzioni. La sentenza dei giudici di Lussemburgo arriva dopo il ricorso per inadempimento presentato dalla Commissione Europea contro lo Stato membro dell’UE, che ora è chiamato ad abrogare o modificare la Legge al fine di evitare una procedura di infrazione.

La legge ungherese sulle ONG finanziate dall’estero

La “Legge sulla trasparenza delle organizzazioni sostenute dall’estero”, voluta dal governo sovranista di Viktor Orbán, è stata approvata dal Parlamento ungherese il 13 giugno 2017 ed ha introdotto lo status giuridico di “organizzazione sostenuta dall’estero”. Quest’ultimo designa tutte le associazioni e fondazioni ungheresi che ricevono finanziamenti di oltre 7,2 milioni di fiorini ungheresi (circa € 23.500), in un anno fiscale, da parte di qualsiasi soggetto straniero: privati, fondazioni, ma anche finanziamenti dell’Unione europea. Chi rie Leggi Tutto

Visegrad, l’incontro tra i quattro Paesi per il Recovery Fund

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L’11 giugno scorso i quattro Paesi di Visegrad, vale a dire Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria e Polonia, si sono incontrati presso il castello di Lednice, in Repubblica Ceca, al fine di trovare una posizione comune sul Recovery Fund. La posizione che è emersa è la seguente: l’erogazione di fondi per aiutare i Paesi membri dell’Ue è giusta e necessaria a gestire la pandemia, tuttavia deve avvenire secondo un meccanismo equo. I primi ministri Orbán e Babiš hanno affermato che “non è giusto che i Paesi più poveri debbano pagare per quelli più ricchi”. Quanto al Fondo, la proposta della Commissione prevede 63 miliardi per la Polonia, 8 per la Slovacchia, 19,2 per la Repubblica Ceca e 15 per l’Ungheria e lascia scontenti gli ultimi due paesi.

Il summit di Lednice

I ministri del gruppo Visegrad si sono incontrati l’11 giugno per il loro ultimo vertice durante la presidenza ceca: per l’occasione, il vertice si è tenuto al Castello di Lednice in Repubblica Ceca. L’argomento principale è stato la preparazione di una posizione comune sul futuro bilancio europeo e sul quadro finanziario pluriennale dell’UE. I primi ministri Andrej Babiš della Repubblica ceca, Mateusz Morawiecki della Polonia, Viktor Orbán dell’Ungheria e Igor Matovič della Slovacchia hanno convenuto che nell’attuale situazione di emergenza è necessario sostenere la comune economia europea. Tuttavia, anche se la crisi che colpisce l’UE riguarda tutti gli Stati membri, non tutti dispongono di strumenti sufficienti per far fronte alla crisi. La posizione dei paesi è dunque quella per cui i fondi previsti dai nuovi strumenti dovranno essere distribuiti in modo equo e senza svantaggiare gli Stati più in difficoltà. Il primo ministro ceco Babiš ha affermato che la distribuzione dei fondi dovrà avvenire in modo equo, così come la scelta dei criteri: “la disoccupazione non dovrebbe essere un criterio chiave perché i suoi valori negli ultimi anni non erano correlati alla crisi del Coronavirus”; al contrario, il Primo Ministro ceco considera il calo del PIL un criterio appropriato. Inoltre, è emerso che l’assistenza per l’economia europea dovrebbe essere flessibile da soddisfare le diverse esigenze di ogni Stato, che verranno stabilite di Stato in Stato. “Nel nostro caso, questo è principalmente il Piano nazionale per gli investimenti. Dobbiamo ricevere denaro per gli investimenti e dobbiamo essere in grado di mostrare alla Commissione europea e agli Stati membri esattamente dove sono finiti quei soldi”, ha affermato il primo ministro.

La posizione dei paesi

Secondo Babiš è essenziale che gli Stati membri V4 confermino una posizione unitaria nei confronti del nuovo quadro finanziario pluriennale dell’UE. “Entreremo nei negoziati con un chiaro obiettivo comune: garantire che il prossimo bilancio dell’UE sia impostato correttamente in modo che sia equo e che il piano di rafforzamento post-Coronavirus soddisfi le esigenze delle nostre economie”, ha aggiunto Andrej Babiš.

I paesi V4 sostengono la creazione di strumenti e misure straordinari in linea con le esigenze dell’economia europea al fine di affrontare le conseguenze economiche sfavorevoli della crisi causata da COVID-19. Tuttavia, ritengono che tali misure debbano essere strettamente di natura temporanea. La ripresa dovrebbe basarsi su riforme e investimenti a favore della crescita. Al fine di sfruttare appieno lo slancio già nel 2021, la portata delle misure per creare le condizioni per una crescita sostenibile dovrebbe essere abbastanza ampia e il processo dovrebbe essere semplice.

Ovvero, la distribuzione di fondi non dovrebbe svantaggiare i paesi che hanno gestito la pandemia in modo relativamente efficace: Repubblica Ceca e Ungheria sono in una posizione contrariata, poiché la proposta della Commissione prevede 63 miliardi per la Polonia, 19,2 per la Repubblica Ceca, 15 per l’Ungheria e 8 per la Slovacchia. Se il primo ministro slovacco si è detto soddisfatto per quanto otterrebbe, ha riconosciuto comunque che è poco favorevole per gli altri paesi. Il primo ministro ungherese, nazionalista conservatore molto critico con l’UE, ha affermato che il fondo è “filosoficamente abbastanza lontano da ciò che gli ungheresi pensano del mondo” e che “finanzia i ricchi con i soldi dei poveri”. Il primo ministro, pur considerando il meccanismo “assurdo e perverso” ha affermato che con ulteriori elaborazioni è disposto ad accettarlo. Quanto alla Polonia, essendo il paese che tra i quattro ha ottenuto di più, sembra essere più d’accordo con la proposta della Commissione. Tuttavia, il primo ministro Morawiecki, altro nazionalista conservatore, ha affermato che “I Paesi dell’Ue più ricchi dovrebbero pagare di più nel bilancio dell’Unione sulla scia della ripresa economica”.

Si conclude dunque che i criteri di assegnazione sia per il QFP che per il piano di Next Generation EU dovrebbero essere equi nei confronti dei paesi a basso reddito, poiché il livello di prosperità riflette la capacità degli Stati membri di finanziare la ripresa.

Francia: le manifestazioni degli operatori sanitari e l’arresto violento di un’infermiera

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“Non vogliamo una medaglia, vogliamo uno stipendio che corrisponda a ciò che portiamo alla società”: il 16 giugno medici, inservienti e infermieri hanno manifestato in tutta la Francia per ricordare al governo le promesse fatte al settore ospedaliero, in piena emergenza dovuta al Covid-19. “Niente più applausi, spazio ai raduni” hanno urlato i manifestanti. L’obiettivo delle prime manifestazioni autorizzate dall’entrata in vigore del confinamento, è trarre vantaggio dal sostegno ottenuto dalla popolazione durante la crisi sanitaria al fine di ottenere progressi per i dipendenti degli ospedali e degli alloggi per i dipendenti di lunga durata, accolti come “eroi in camice bianco” dal Presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, all’inizio della pandemia. A Parigi si sono verificati scontri con la polizia ed il video dell’arresto di un’infermiera ha scosso la Francia

Le manifestazioni

Dopo tre mesi di crisi sanitaria, medici, inservienti ed infermieri, il 16 giugno, hanno manifestato ovunque in Francia, per ricordare al governo le promesse fatte al settore ospedaliero, in piena emergenza dovuta alla diffusione del Covid-19. Nell’ambito della giornata d’azione nazionale organizzata da sindacati e collettivi degli operatori sanitari, vi sono stati più di 250 raduni. Le prime manifestazioni autorizzate in Francia dall’entrata in vigore del confinamento tre mesi fa, hanno registrato una partecipazione maggiore di quelle del 14 febbraio – data dell’ultima grande mobilitazione per il settore ospedaliero. Secondo la Polizia francese il 16 giugno si sono radunate 18.000 persone a Parigi, 7.500 persone a Tolosa, 6.000 a Lione, 5.500 a Nantes, almeno 4.000 a Bordeaux o Strasburgo, 3.800 a Grenoble, 3.500 a Marsiglia e così via.

Trarre vantaggio dal sostegno ottenuto dalla popolazione durante la crisi sanitaria al fine di ottenere progressi per i dipendenti degli ospedali e degli alloggi per i dipendenti di lunga durata, accolti come “eroi in camice bianco” dal Presidente Emmanuel Macron, all’inizio della pandemia: questo l’obiettivo delle manifestazioni.

 

“Siamo in costante lotta per mantenere la qualità delle cure” hanno urlato i manifestanti. “Non vogliamo una medaglia o un piccolo bonus di nascosto, vogliamo uno stipendio all’altezza di quello che le nostre professioni portano alla società” spiega Clara Grémont, inserviente vicino a Montpellier, dove diverse migliaia di manifestanti hanno sfilato dalle 10 del mattino. In questa folla, Jacques, in pensione, riferisce che dopo aver applaudito per molte serate alle 20 per sostenere gli operatori sanitari è venuto “per farlo dal vivo perché [era] spaventato dello stato degli ospedali pubblici evidenziato dalla crisi da Covid-19 ”.

A Marsiglia, diverse centinaia di persone si sono radunate in tarda mattina vicino alla stazione ferroviaria di Saint-Charles, con musica ed infermiere in testa. Tra queste, Aurore Le Huerou, impiegata di un ospedale privato, denuncia di non aver ricevuto bonus e nessun altro tipo di aiuto, “mentre noi abbiamo contribuito come gli altri, siamo esausti, ci priviamo di tutto e il nostro salario non aumenta”.

A Parigi, i leader sindacali insieme ai rappresentanti di tutto il personale ospedaliero, erano presenti nel primo pomeriggio davanti al Ministero della Salute, il punto di partenza della manifestazione verso gli Invalides e l’Assemblea nazionale. Nathalie Ritz, un’infermiera di psichiatria nella regione, ha manifestato con i colleghi per esprimere la sua indignazione con un cartellone su cui figurava la scritta “né suora, né stupida, né bestia da soma”. “Per anni abbiamo sofferto, abbiamo lottato costantemente per mantenere la qualità delle cure, ma abbiamo raggiunto un punto in cui non possiamo più assumerci la responsabilità” ha affermato.

Gli scontri con la polizia e l’arresto di un’infermiera

A Parigi la manifestazione ha assunto un’altra sembianza intorno alle ore 15.00: quando i manifestanti sono giunti all’Esplanade des Invalides, i manifestanti pacifici hanno lasciato il posto a diverse centinaia di manifestanti vestiti di nero, che hanno appiccato il fuoco e lanciato proiettili contro la polizia , gridando “tutti odiano la polizia”. Le forze dell’ordine hanno risposto con numerosi colpi di gas lacrimogeni, in un clima teso e caotico. “Siamo stati derubati di questa manifestazione con la forza” ha denunciato Patrick Pelloux, Presidente dell’Associazione dei medici di emergenza della Francia, dicendosi “disgustato”. Numerosi operatori sanitari hanno criticato le forze dell’ordine, accusate di usare una forza sproporzionata.

 

Un’infermiera di un ospedale alla periferia di Parigi è stata brutalmente fermata dalla Polizia: le immagini che la ritraggono inginocchiata a terra, con il camice bianco, in mezzo a poliziotti in assetto antisommossa, hanno provocato indignazione in tutta la Francia ed hanno acceso una battaglia mediatica in un momento in cui le violenze della polizia sono nel mirino, sulla scia delle rivendicazioni in atto negli Stati Uniti. L’infermiera appare con il volto insanguinato, in preda ad una crisi di panico ed implorando la somministrazione di un farmaco per l’asma. La donna, di nome Farida, pronuncia il suo nome prima di essere azzittita con una mano da un agente, presa per i capelli e spinta in una macchina della polizia verso il commissariato del settimo arrondissement.

“Questa donna è mia madre” ha twittato la figlia dell’infermiera Imen Mellaz, giornalista di France24, che ha organizzato un sit-in davanti al commissariato. L’hashtag #LibérezFarida è diventato tra i più popolari su Twitter, ma nel frattempo un sindacato di polizia ha lanciato una contro-offensiva mediatica, diffondendo un altro filmato nel quale l’infermiera lanciava proiettili contro l’agente.

L’infermiera sarà processata per “disprezzo” e “violenza”. Ha ammesso di aver lanciato pietre, ma, ha affermato che la sua rabbia non era diretta contro la polizia ma verso lo stato.

Una vicenda che mostra la disperazione del settore pubblico ospedaliero- comune ad altre categorie della società civile francese- e la violenza della polizia come questione cruciale in Francia e nel mondo.

 

 

 

 

Brexit, lo stato dei negoziati per le relazioni future tra UE e Regno Unito

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La Brexit continua ad essere una questione centrale e prioritaria. Il 15 giugno il Primo Ministro inglese, Boris Johnson, ha incontrato in videoconferenza il Presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, la Presidente della Commissione, Ursula von der Leyen ed il Presidente dal Parlamento europeo, David Sassoli, per fare il punto sui progressi fino ad ora registrati nel negoziato sulle relazioni future tra Unione europea e Regno Unito e concordare le prossime azioni da intraprendere per l’avanzamento della trattativa. La Brexit e le relazioni future tra UE e Regno Unito sono state, altresì, al centro dei dibattiti in seno al Parlamento europeo riunito in sessione plenaria: in una Risoluzione approvata il 18 giugno, gli europarlamentari hanno fatto un bilancio dei risultati dei negoziati e preso atto della richiesta delle parti negoziali di intensificare i colloqui durante il mese di luglio.

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Coronavirus, la Commissione europea presenta la strategia sui vaccini

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La Commissione europea ha presentato il 17 giugno la strategia europea per accelerare lo sviluppo, la produzione e la distribuzione di vaccini contro la diffusione del Covid-19. La Commissione intende sostenere gli sforzi volti a garantire la disponibilità di vaccini sicuri ed efficaci in un lasso di tempo compreso tra 12 e 18 mesi. L’Unione europea riconosce l’importanza della sfida globale e garantisce la diffusione universale del vaccino, a garanzia della sicurezza mondiale. A tal fine, un importante passo è stato compiuto dalla formazione di un’alleanza sui vaccini: Francia, Germania, Italia e Paesi Bassi si sono uniti in un’alleanza che mette in comune le risorse e le visioni di ognuno.

La strategia europea

La strategia dell’Unione europea per garantire l’accelerazione dello sviluppo, produzione e distribuzione di vaccini è stata presentata dalla Commissione europea e persegue diversi obiettivi. In particolare, si vuole assicurare la qualità, la sicurezza e l’efficacia dei vaccini; si mira a garantire agli Stati membri un accesso rapido al vaccino, guidando anche lo sforzo di solidarietà globale; si vuole offrire il prima possibile un accesso equo a un vaccino accessibile. La Commissione riconosce che lo sviluppo di un vaccino è un processo lungo e complesso, e con la strategia presentata si sosterranno gli sforzi volti ad accelerare lo sviluppo e la disponibilità di vaccini in un lasso di tempo compreso tra 12 e 18 mesi. La strategia europea poggia su due pilastri: garantire la produzione di vaccini nel territorio dell’Unione europea e forniture sufficienti ai suoi Stati membri grazie agli accordi preliminari di acquisto con i produttori di vaccini; adattare il quadro normativo dell’UE all’attuale situazione di emergenza e ricorrere alla flessibilità normativa esistente per accelerare lo sviluppo, l’autorizzazione e la disponibilità dei vaccini. Elemento fondamentale della strategia europea è l’importanza che si dà alla solidarietà globale. L’UE infatti, contribuisce con la propria strategia anche allo sforzo mondiale per test, trattamenti e vaccinazioni su base universale: si vogliono mobilitare risorse mediante impegni internazionali e unendo le forze con i paesi e le organizzazioni sanitarie mondiali anche attraverso il quadro collaborativo “Access To Covid-19 Tools Accelerator”.

“È il momento della scienza e della solidarietà. Nulla è certo, ma ho fiducia nella nostra capacità di mobilitare le risorse necessarie per sviluppare un vaccino capace di vincere questo virus una volta per tutte, dobbiamo essere pronti a produrlo e distribuirlo in Europa e nel mondo” – ha dichiarato la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen – “Il vaccino segnerà una svolta nella lotta contro il coronavirus, a testimonianza di ciò che riusciamo a ottenere quando mettiamo insieme conoscenze, ricerca e risorse. L’Unione europea farà il massimo possibile affinché tutti, nel mondo, abbiano accesso a un vaccino, senza distinzione di luogo”.

Gli accordi con i produttori

La strategia della Commissione europea pone alla base l’istituzione di accordi con i produttori di vaccini anti-coronavirus in cambio dell’accesso garantito al diritto di acquisto di dosi per i paesi europei. Per sostenere tali accordi, la Commissione utilizzerà lo strumento di sostegno all’emergenza varato per il Covid-19 con una somma iniziale di 2,7 miliardi di euro, ma ancora adesso aperto alle donazioni. In cambio del diritto di acquistare un determinato numero di dosi di vaccino in un dato periodo, la Commissione finanzierà una parte dei costi iniziali sostenuti dai produttori di vaccini. Il tutto assumerà la forma di accordi preliminari di acquisto, quindi i finanziamenti verranno considerati come un acconto sui vaccini che poi gli Stati membri acquisteranno effettivamente. Quanto ai criteri di finanziamento, la Commissione prende in considerazione, in particolare: solidità dell’approccio scientifico e della tecnologia, velocità di consegna su scala, costi, condivisione del rischio, responsabilità, copertura di diverse tecnologie, dialogo tempestivo con le autorità di regolamentazione dell’UE, solidarietà globale.

L’alleanza sui vaccini

“Insieme ai Ministri della Salute di Germania, Francia e Olanda, dopo aver lanciato nei giorni scorsi l’alleanza per il vaccino, ho sottoscritto un contratto con Astrazeneca per l’approvvigionamento fino a 400 milioni di dosi di vaccino da destinare a tutta la popolazione europea”. A dichiarare la conclusione dell’alleanza è Roberto Speranza, Ministro della salute italiano. Entro la fine dell’anno, la multinazionale britannica AstraZaneca fornirà il vaccino anti-coronavirus all’Italia e agli altri tre paesi dell’alleanza, oltre che agli altri paesi europei. L’importanza dell’alleanza sta nel fatto che questi paesi riusciranno ad avere sufficienti razioni di vaccino per immunizzare tutta la fascia di popolazione più a rischio: per l’Italia, si tratta di essersi garantiti circa 30 milioni di dosi per coprire, entro l’anno, 14 milioni di over 65, immunodepressi, diabetici e malati sottoposti ad un elevato rischio di contagio. La produzione dei vaccini è affidata al colosso britannico, all’università di Oxford ed anche all’Irbm, società italiana con sede a Pomezia e operante nel settore della biotecnologia, che parteciperà tramite la sua divisione Advent per i vaccini innovativi. “All’Italia, che è stata la prima in Europa a conoscere da vicino questo virus, oggi è stato riconosciuto di essere tra i primi Paesi a dare una risposta adeguata. E anche con questa notizia oggi dimostriamo che vogliamo essere in prima linea nell’approvvigionamento di un vaccino, nella ricerca e nelle terapie che allo stato risultano essere più promettenti”, ha detto il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, commentando l’alleanza.

Molto soddisfatta si è mostrata anche la commissaria alla salute Stella Kyriakides, la quale commentando l’alleanza ha affermato “Siamo dalla stessa parte. Stiamo già lavorando insieme ai quattro Paesi, tutti stiamo cercando un modo flessibile e veloce di arrivare a un vaccino e i risultati dovranno convergere per il bene dei Ventisette”.

Macron dichiara tutta la Francia continentale “zona verde”: il via libera del Presidente alla riapertura

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Dal 15 giugno tutto il territorio della Francia continentale è classificato come “zona verde”: possono riaprire tutte le attività, inclusi bar e ristoranti. Solo i territori d’oltremare di Mayotte e della Guyana francese rimarranno in allerta “arancione”, in virtù dell’alto numero di contagi in proporzione alle possibilità ricettive delle strutture ospedaliere locali. La nuova fase nella gestione dell’emergenza dovuta alla diffusione del Covid-19 è stata annunciata il 14 giugno dal Presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, in diretta televisiva nazionale. “La lotta contro l’epidemia non è finita, ma sono contento di questa prima vittoria contro il virus” ha affermato il Presidente francese, il quale ha altresì confermato la riapertura di tutte le scuole francesi, fatta eccezione delle superiori, dal 22 giugno.

L’annuncio di Macron

“Lo stato ha resistito” queste le parole del Presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, in diretta televisiva nazionale per annunciare una nuova fase nella gestione dell’emergenza dovuta al coronavirus. Macron ha espresso la sua soddisfazione per la gestione della crisi ed ha annunciato l’anticipo della riapertura su tutto il territorio della Francia continentale, classificato come “zona verde”, a partire dal 15 giugno. I francesi, a detta del loro Presidente, hanno reagito all’epidemia di coronavirus mostrandosi “inventivi, reattivi e solidi”. Il messaggio veicolato da Macron al suo Paese è ottimista: non sono ancora “giorni felici”, ma la strada è quella giusta. Domenica 14 giugno, con alle spalle i giardini del Palazzo dell’Eliseo, Emmanuel Macron ha così proclamato una “prima vittoria” contro l’epidemia da Covid-19, tre mesi dopo aver dichiarato “guerra”. Solo nove decessi aggiuntivi domenica, mentre il numero di casi in terapia intensiva ammontava a 869 persone, contro 7000 all’apice della crisi. Di qui l’opportunità per il Capo dello Stato di accelerare il processo di deconfinamento e annunciare alcune buone notizie con la promessa di tornare alla normalità.

 

Trasformando l’intero territorio della Francia continentale in “zona verde”-fatta eccezione dei territori d’oltremare di Mayotte e della Guyana francese- il Presidente francese ha dato, così, il via libera alla riapertura di ristoranti e bar, una misura molto attesa dai professionisti del settore. Riapre anche l’Ile de France e la capitale Parigi, che finora era stata esclusa dall’allentamento delle misure. Saranno consentite, altresì, le visite alle case di riposo e agli alloggi per anziani. Inoltre, gli asili nido, le scuole primarie e le università riapriranno a partire dal 22 giugno. “Saremo in grado di riscoprire il piacere di stare insieme, di tornare a lavorare completamente, ma anche di divertirci, di coltivare noi stessi” ha dichiarato Macron. Il via libera arriva anche per il secondo turno delle elezioni municipali, che si terrà il 28 giugno. Il 15 giugno è stata anche la data della riapertura delle frontiere della maggior parte degli Stati dell’area Schengen, tra cui la Francia. “Dal 1 ° luglio, saremo in grado di andare negli stati extraeuropei dove l’epidemia è sotto controllo” ha affermato il Capo dello stato francese. Ma “l’epidemia non è finita” pertanto, non si potrà “abbassare la guardia”. “L’estate del 2020 non sarà un’estate come le altre” ha ammonito il Presidente, aggiungendo che gli assembramenti rimarranno vietati.

La ripresa economica

Nel suo intervento, il Presidente ha tratteggiato la fase tre, promettendo un “modello economico sostenibile più forte” per non dipendere dall’esterno e “un investimento massiccio in istruzione, formazione e lavoro per i giovani”, per correggere rapidamente i punti deboli che ha mostrato la crisi. La buona intenzione è, dunque, quella di imparare tutte le lezioni dalla crisi appena attraversata. L’emergenza, infatti, “ha anche rivelato difetti, debolezze, disuguaglianze sociali e territoriali”.

“Con l’epidemia, l’economia mondiale si è quasi fermata. La nostra prima priorità è innanzitutto ricostruire un’economia forte, ecologica, sovrana e unita” queste le parole di Macron, che ha difeso la prospettiva di “un vero patto produttivo” e ricordato che sono stati mobilitati quasi 500 miliardi di euro per sostenere l’economia francese. Non ci saranno nuove tasse, come assicurato dal capo dell’Eliseo, impegnato ad aprire una nuova fase di collaborazione con tutti attori presenti sul territorio francese, con “più libertà e responsabilità”.

Di fronte a questa crisi, ha aggiunto il Presidente, l’Europa è stata “all’altezza del momento” nonostante “l’inizio difficile”. Macron ha posto l’accento sull’accordo franco-tedesco per un debito congiunto a livello europeo nonché sul piano di investimenti per risanare l’economia del continente, definendola “una svolta storica fatta per la prima volta insieme alla cancelliera tedesca”.

Le proteste contro il razzismo e la violenza della polizia

Quanto alle proteste contro la violenza della polizia ed il razzismo, nonché le polemiche relative ai monumenti legati al passato coloniale ed alla tratta degli schiavi, Macron ha assicurato che la Francia sarà “inflessibile di fronte al razzismo, antisemitismo e discriminazione” ma “non verranno abbattute statue ne’ cancellati alcun nome o traccia della nostra storia”. Macron, dunque, dice no ad un’”odiosa, falsa riscrittura del passato”. La Francia deve guardare “lucidamente, insieme, tutta la nostra storia, tutta la nostra memoria”, per costruire “un possibile presente e futuro su entrambe le sponde del Mediterraneo”. Un processo che richiede “la volontà di stabilire la verità, ma in nessun caso rivisitando o negando ciò che siamo”.

Con riguardo alle forze dell’ordine nel mirino della rabbia popolare, il capo dell’Eliseo ha ribattuto che queste “meritano la riconoscenza del Paese” poiché “senza ordine, non c’è nè sicurezza ne’ libertà e questo ordine è la polizia e i gendarmi sul nostro territorio a garantirlo”.

Il prossimo appuntamento per un nuovo discorso sarà a luglio, occasione per definire meglio “il nuovo percorso” e “lanciare le prime azioni” per la ripresa dalla crisi sanitaria ed economica dovuta al Covid-19.

 

Le recenti tensioni diplomatiche della Repubblica Ceca con Russia e Polonia

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Nell’ultimo periodo, la Repubblica Ceca ha dovuto affrontare diverse questioni: dal coronavirus e la crisi economica alle tensioni diplomatiche con la Polonia e la Russia. Per ciò che riguarda la Polonia, il governo di Varsavia ha erroneamente invaso la Repubblica Ceca mantenendo la presenza dell’esercito nel Paese dalla fine di maggio, fino a quando i soldati non sono stati richiamati in Polonia. Quanto alla Russia, l’ultimo avvenimento dell’espulsione di due diplomatici cechi da Mosca, è una reazione per quanto avvenuto in Repubblica Ceca: ad aprile, la città di Praga ha rimosso la statua del generale dell’Armata rossa che liberò Praga dai Nazisti; inoltre, i media cechi hanno accusato un diplomatico russo di essere stato inviato a Praga per avvelenare tre politici cechi, tra cui il sindaco della capitale, Zdenek Hrib. In seguito, due diplomatici russi sono stati espulsi da Praga e la crescente tensione tra Mosca e Praga ha portato ad una reazione del Cremlino.

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L’Unione europea lancia un’azione rafforzata contro la disinformazione

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L’Unione europea si schiera contro la disinformazione. Il 10 giugno la Commissione europea e l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, hanno lanciato delle iniziative volte a contrastare la disinformazione sul coronavirus ed hanno proposto un’azione concreta da avviare in tempi rapidi. Ciò fa seguito all’incarico conferito loro dai leader europei lo scorso marzo al fine di contrastare con decisione la disinformazione e rafforzare la resilienza delle società europee. La pandemia è stata, infatti, accompagnata da un’ondata massiccia di informazioni false o fuorvianti, compresi dei tentativi da parte di soggetti stranieri di influenzare i cittadini e i dibattiti pubblici nell’UE.

Background

L’Unione europea combatte attivamente la disinformazione dal 2015. A seguito della decisione del Consiglio europeo del marzo di quell’anno, il Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE) ha istituito la task force East StratCom. Nel 2016 è stato poi adottato il quadro congiunto per contrastare le minacce ibride, seguito nel 2018 dalla comunicazione congiunta sul rafforzamento della resilienza e sul potenziamento delle capacità di risposta alle minacce ibride. Il piano d’azione del 2018 delinea i quattro pilastri per la lotta dell’UE contro la disinformazione: migliorare le capacità di individuare, analizzare e denunciare la disinformazione; potenziare risposte coordinate e comuni, anche attraverso il sistema di allarme rapido; mobilizzare il settore privato per contrastare la disinformazione; sostenere azioni di sensibilizzazione e rafforzare la resilienza sociale. Nell’ottobre 2018 Facebook, Twitter, Mozilla e le associazioni di categoria che rappresentano le piattaforme online, l’industria della pubblicità e gli inserzionisti hanno altresì firmato il Codice di buone pratiche sulla disinformazione, uno strumento di autoregolamentazione a cui ha aderito successivamente anche Microsoft. Infine, in una comunicazione congiunta del giugno 2019, la Commissione e l’Alto Rappresentante hanno concluso che, sebbene le elezioni europee del maggio 2019 non siano state esenti da disinformazione, le azioni intraprese dall’UE hanno contribuito a ridurre lo spazio disponibile all’influenza di paesi terzi e alle campagne coordinate volte a manipolare l’opinione pubblica.

L’azione rafforzata

L’attuale crisi sanitaria ed economica si è trasformata in un banco di prova per dimostrare come l’UE e le sue società democratiche affrontano la sfida della disinformazione. Per un’UE più forte e più resiliente occorrono comprensione, comunicazione, cooperazione, trasparenza.

Nella lotta alla disinformazione è importante in primo luogo distinguere tra contenuti illegali e contenuti dannosi ma non illegali. Occorre poi considerare la labilità dei confini tra le varie forme di contenuti falsi o ingannevoli: dalla disinformazione, che è per definizione intenzionale, alla cattiva informazione, che può essere involontaria. La motivazione può variare, da operazioni di influenza mirate, condotte da soggetti stranieri a ragioni puramente economiche. Ciascuna di tali sfide richiede una risposta calibrata. È inoltre necessario mettere a disposizione una maggiore quantità di dati per il controllo pubblico e migliorare le capacità analitiche.

La Commissione continua a sfatare i miti sul coronavirus tramite una pagina web che ha totalizzato più di 7 milioni di visualizzazioni. Il Servizio europeo per l’azione esterna, assieme alla Commissione, ha intensificato la comunicazione strategica e potenziato la diplomazia pubblica nei paesi terzi, compresi i paesi del vicinato dell’UE.

In questi mesi vi sono state operazioni di influenza e campagne di disinformazione mirate, intraprese nell’UE, nei paesi vicini e a livello globale da soggetti stranieri e da alcuni paesi terzi, in particolare Russia e Cina. Ad esempio, la task force East StratCom del SEAE ha individuato e denunciato sul sito web EUvsDisinfo più di 550 narrazioni di disinformazione provenienti da fonti pro-Cremlino.

Garantire la libertà di espressione e il pluralismo del dibattito democratico è un aspetto centrale della risposta europea alla disinformazione. La Commissione continuerà, infatti, a monitorare l’impatto sul diritto e sui valori dell’UE delle misure di emergenza adottate dagli Stati membri nel contesto del coronavirus. Fornire strumenti ai cittadini, sensibilizzarli e rafforzare la resilienza della società significa consentire ai cittadini di partecipare al dibattito democratico salvaguardando l’accesso alle informazioni e la libertà di espressione e promuovendo l’alfabetizzazione mediatica e la cultura dell’informazione dei cittadini, compresi pensiero critico e competenze digitali.

Le azioni proposte confluiranno nelle attività future dell’UE in materia di disinformazione, in particolare nel piano d’azione europeo per la democrazia e la legge sui servizi digitali.

Le dichiarazioni

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L’Unione europea verso la riapertura delle frontiere interne

EUROPA di

Dal 15 giugno in molti paesi dell’Unione Europea cesseranno i controlli sanitari e le limitazioni ai confini, ma con varie differenze tra Stati, soprattutto nei confronti delle nazioni più colpite dal coronavirus come Italia e Regno Unito. È stata la Commissione Europea a indicare proprio il 15 giugno come l’inizio di una nuova fase, superata quella più acuta dell’epidemia, in cui i collegamenti interni sarebbero potuti riprendere. In tal senso, notevole è stato l’impegno di Italia e Spagna: con una lettera firmata dai presidenti Conte e Sánchez i due governi si sono rivolti direttamente alla presidente della Commissione europea per chiedere di eliminare i controlli alle frontiere. Quanto alle frontiere esterne all’UE, si dovrà aspettare il 1° luglio per la riapertura dei confini.

La richiesta di Spagna e Italia

Il 5 giugno scorso, il Presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte e il Primo ministro spagnolo Pedro Sánchez si sono rivolti alla presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen per chiedere che vengano eliminati i controlli alle frontiere tra i Paesi UE il prima possibile, e che questo venga fatto in maniera “coordinata, non discriminatoria e in base a criteri epidemiologici chiari e trasparenti”. Spagna e Italia sono proprio i paesi più colpiti dal coronavirus, ma anche i più dipendenti dal turismo (che incide sul Pil per il 13% circa). È importante dunque recuperare, in termini di turismo, quanto è stato perso con il periodo di lockdown e l’obiettivo è quello di far ripartire al più presto la stagione turistica. Nella lettera, Sánchez e Conte hanno invitato il Centro europeo per il controllo e la prevenzione delle malattie a giocare un ruolo chiave nello stabilire criteri che consentano una riapertura in condizioni di sicurezza, al fine di ristabilire in modo pieno la libertà di movimento in seno all’Ue. I due premier sostengono poi che “è necessario stabilire criteri sanitari comuni in tutta la Ue per i trasporti, con protocolli concordati tra tutti”, un aspetto che è particolarmente importante alle frontiere. I due paesi, in vista della riapertura del 15 giugno, fanno leva sul ruolo dell’UE per la percezione che avranno i cittadini: la mobilità turistica è in una fase delicata e deve essere accompagnata dalle istituzioni europee verso la ripartenza.

Le frontiere interne all’UE

La Commissione europea ha raccomandato a tutti gli Stati che aderiscono a Schengen di revocare i controlli alle frontiere interne entro il 15 giugno e di prolungare la restrizione temporanea sui viaggi non essenziali fino al 30 giugno. La Commissione europea ha specificato che inizialmente si potranno riaprire solo le frontiere interne, mantenendo le misure a quelle esterne per ridurre ulteriormente il rischio di diffusione del virus. La revoca della restrizione dei viaggi sarà graduale, cominciando il 15 giugno con le frontiere interne seppur in modo differenziato da parte degli Stati membri.

L’Italia ha riaperto le frontiere già dal 3 giugno, sia sul territorio nazionale che europeo. L’Austria è stata all’inizio più prudente: ha aperto i confini a tutti gli stati confinanti ma inizialmente non all’Italia, perché “per l’Italia, purtroppo, i dati sulla pandemia non consentono ancora un simile passo” aveva affermato il ministro degli Esteri austriaco. L’Austria sembra aver però deciso per una riapertura anche all’Italia, ma solo a partire dal 16 giugno. La Germania aspetterà il 16 giugno per riprendere i collegamenti all’interno dell’Unione: da questa data si rimuoveranno le restrizioni agli ingressi per 32 paesi europei (i 27 stati membri e Regno Unito, Islanda, Norvegia, Svizzera e Liechtenstein). La Francia già dalla fine di maggio ha previsto un rallentamento delle restrizioni per i viaggiatori all’interno dell’area europea: i confini non sono stati chiusi ma sono previsti comunque controlli alle frontiere. Dal 15 giugno invece, dovrebbero essere eliminati anche questi controlli. Il Regno Unito prevede ancora misure di quarantena per i cittadini che a partire dall’8 giugno sono entrati nel paese, e per i trasgressori ci sarà una multa fino a mille sterline. Quanto alla Spagna, il primo ministro Sanchez ha chiesto una proroga dello stato d’emergenza fino al 21 giugno; a partire dal 22 giugno verranno aperte senza limitazioni tutte le frontiere con Francia e Portogallo, mentre a fine mese con tutti gli altri paesi. La Grecia aveva annunciato già a fine maggio che dal 15 giugno sarebbe stato possibile andare nel paese da altri Stati, ma tra l’elenco di questi non figuravano Italia, Regno Unito, Francia e Spagna. Il governo greco ha dunque precisato che sarà possibile andare in Grecia dall’estero da tutti i paesi con il collegamento aereo agli aeroporti di Atene e Salonicco, ma se si proviene da regioni ad alto rischio di contagio (e vi sono i nomi di Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte e Veneto) sarà necessario sottoporsi ad un test.

Le frontiere esterne all’UE

I ministri dell’interno europei hanno raggiunto “un accordo globale” sulla richiesta di estendere fino a fine giugno la chiusura delle frontiere esterne dell’UE, misura che altrimenti scadrebbe il 15 giugno, e lo ha annunciato la presidenza croata al termine della videoconferenza dei ministri dell’interno europei. D’accordo anche l’Alto rappresentante dell’UE Josep Barrell, il quale ha affermato che la riapertura delle frontiere esterne avverrà in un secondo momento, con una “revoca graduale e parziale delle frontiere esterne, a partire dal primo di luglio”. “Vari Stati membri stanno riaprendo le frontiere interne” ed il quadro dovrebbe essere completato “entro questo mese di giugno” ha aggiunto poi l’Alto rappresentante. Tuttavia, dato che la situazione sanitaria in alcuni Paesi terzi è ancora critica, Bruxelles non propone una revoca generale delle restrizioni.

Flaminia Maturilli
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