Ma tu lo conosci Wim Wenders?

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Chi conosce Wim Wenders o lo ama o evita i suoi film. Nel panorama cinematografico mondiale Wenders è un regista molto differente dalla gran parte dei suoi colleghi. L’ultimo film diretto è “Perfect Days”. In realtà una poesia lunga due ore che sai che è un film perché paghi il biglietto e ti siedi in sala davanti al grande schermo.

Il film, ambientato a Tokyo ai giorni nostri, vede protagonista un uomo di mezza età che pulisce i bagni pubblici e che quotidianamente fa sempre più o meno la stessa cosa. Stesse abitudini. Quelle da cui noi occidentali, malati di autocelebrazione e narcisismo oltre che di quel bisogno di essere apprezzati per ciò che non si è, cerchiamo di evitare e starne lontano. La ripetitività delle azioni del signor Hirayama (questo il nome del personaggio del film) sono al limite della sopportazione per un pubblico che non sente l’energia e la positività dello stesso protagonista scena dopo scena.

Ci si aspetta emotivamente la “flashata” (perdonate la libertà di linguaggio ma credo che faccia intendere immediatamente ciò che voglio dire) per capire quale sia il giorno perfetto, ma in realtà non ci si accorge che ogni giorno raccontato nel film è un Perfect Day. Chi conosce Wim Wenders sa dei suoi film. Magari ha visto “IL cielo sopra Berlino” oppure “Il sale della terra” che insieme a “Buena vista social club” avrò visto una ventina di volte senza mai stancarmi e sempre con la fantastica sorpresa di aver compreso ogni volta qualcosa di diverso. Qualcosa di buono.

In “Perfect Days” il messaggio di Wenders è celato dietro un racconto a volte onirico e silenzioso dove bisogna lasciarsi coinvolgere. Wenders non spiega ma lascia la libertà di interpretazione. Il pubblico deve lasciarsi andare.

Questa film non è poetico ma è una poesia. Una cura per lo spirito che abbiamo abbandonato in balia dalla frenesia della città, di qualunque città, in questo caso Tokyo, e del nostro modo di vivere. Oggi sempre più persone sentono quel bisogno di abbandonare tutto e trasferirsi magari in un casale isolato in montagna o coltivare la terra; l’estro e la coerenza di Wenders ci fanno intendere che se ci si ferma, anche solo per un panino, in un piccolo parco di una immensa metropoli, si può ammirare la dolcezza della cima di un albero e chinarsi al saluto di un anziano e godere della vista di ciò che abbiamo vicino porgendo con gentilezza anche il saluto a chi sembra solo e depresso. Ecco che avremo costruito il nostro casale e la montagna può essere anche un quartiere della nostra città. Ecco la rivelazione. Le gesta. L’assenza di tecnologie oramai integrate nel corpo e negli usi di noi moderni attori su questo palcoscenico della vita che ci allontana sempre di più dalla semplicità di cui in realtà avremmo bisogno.

Hirayama non ha TV (si presume quindi che non vede TG); usa per fotografare una piccola macchinetta fotografica analogica che gli consente anche un rapporto con un modesto laboratorio fotografico dove fa stampare le sue foto e compra i rullini; non ha uno smartphone di ultima generazione. Il telefono è un telefono e le foto le fa con la macchinetta fotografica scartando poi le stampe mal riuscite e conservando quelle poche fatte bene. Hirayama non ordina i libri su Amazon ma li sceglie e li acquista in una stretta libreria dove si lascia consigliare da una sorridente libraia. Impersonato magnificamente dall’attore Koji Yakusho, premiato tra l’altro per questo film a Cannes come miglior attore, Hirayama replica quotidianamente delle azioni e incontra le stesse persone che sono fondamentali nel percorso della sua giornata. La ripetitività è una cosa che rifiutiamo perché presuppone disciplina, coscienza e lentezza cose che spesso qui da noi sono gli elementi per definire la noia. Wenders, con Hirayama, dimostra il contrario e ci fa scoprire attraverso la dolcezza di un viso prossimo alla vecchiaia che un sorriso al giorno, una buona lettura, l’ascolto di musica ricercata e straordinaria anche attraverso supporti “antichi” come le musicassette, pochi incontri ma di gente per bene e appassionata, o anche incontri casuali con chi sta per morire o di una parente che riscopre uno zio, sono il sale della vita e l’accettazione di un lavoro anche probabilmente diverso da quello che ci aspettavamo, ma che ci consente di avere una dignità e di assicurarci qualche piccolo piacere è la chiave delle giornate perfette.

Hirayama respira e quel gesto così semplice ma vitale lo fa ogni mattina uscendo di casa presto per andare a lavorare. Apre la porta, guarda il cielo, e sia se piove o se c’è il sole, respira compiaciuto e questo è il suo saluto ad un giorno perfetto. Bisognerebbe provare.

Grazie Wim

Bookreporter Settembre

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