La crisi ucraina: informazione o propaganda?

 

La cronaca e l’esame analitico di come si stia sviluppando il conflitto in atto in Ucraina sono offuscate da quella che sembra essere l’unica cosa che abbia importanza nell’ambito di questa tragedia: la propaganda.

Il circuito mediatico nazionale e soprattutto internazionale non produce informazione oggettiva, seria, imparziale, ma è concentrato nel veicolare una serie di messaggi che hanno il fine di orientare l’opinione in senso unidirezionale, facendo leva su temi e aspetti ai quali il nostro mondo di occidentali risulta essere particolarmente sensibile.

Questo sistema di propaganda comporta una serie di conseguenze negative che anestetizzando il nostro senso analitico, ci spingono a ragionare servendoci di concetti stereotipati, ci allontanano da una comprensione globale del mondo che ci circonda e ci rendono difficile esaminare oggettivamente la situazione. Quali sono, quindi, i risultati di questo approccio sistematico?

Innanzitutto, accettando a priori quello che viene presentato non siamo costretti a valutare nel merito se ciò che è riportato sia effettivamente vero. Ci accontentiamo di ciò che vien detto perché colpisce direttamente il nostro atteggiamento culturale, rafforzando la nostra convinzione di universalità dello stile di vita occidentale, individuando il male nel nostro avversario soltanto.

In secondo luogo, l’identificazione di un nemico, alle cui azioni (reali o presunte) possano essere accreditati i nostri problemi, ci deresponsabilizza facendoci dimenticare che il conflitto ha solo posto in evidenza la crisi nella quale adesso annaspiamo (necessità di risorse energetiche alternative, sistema economico in affanno, mancanza di visione geopolitica).

In terzo luogo, la focalizzazione sullo scenario a noi prossimo ci nega la percezione di un mondo in continua evoluzione, creando l’illusione che la sconfitta del demone russo sia la priorità del resto dell’universo geopolitico e negando l’esistenza di ulteriori aree e situazioni di crisi che sviluppano conseguenze devastanti per il rispetto di quei concetti che permeano la nostra cultura occidentale e che sono immensamente più difficili e costose da contrastare rispetto alla situazione che si è sviluppata in Ucraina.

L’Occidente ha sempre fatto un vanto culturale dei progressi raggiunti nel favorire la libera espressione delle proprie idee e la caratteristica di avere nel suo DNA culturale il concetto di libera stampa. Quindi, perché l’informazione si è trasformata in propaganda?

Partiamo dalla definizione dei due termini, così come riportati dall’Enciclopedia Treccani

Per informazione si intende una

notizia, dato o elemento che consente di avere conoscenza più o meno esatta di fatti, situazioni, modi di essere.

Nel campo dei media tale concetto si basa sul rispetto di due cardini che sono l’oggettività e l’obiettività.

La propaganda, invece, risulta definita come una

azione che tende a influire sull’opinione pubblica e i mezzi con cui viene svolta. È un tentativo deliberato e sistematico di plasmare percezioni, manipolare cognizioni e dirigere il comportamento al fine di ottenere una risposta che favorisca gli intenti di chi lo mette in atto.

Come detto, il criterio concettuale che differenzia l’informazione dalla propaganda è che i principi di oggettività e di obiettività che caratterizzano l’informazione sono, invece, totalmente assenti nella propaganda.

L’assenza dei due principi enunciati, che devono caratterizzare l’informazione, deriva da un insieme complesso di cause che si sono verificate nel corso degli ultimi trent’anni e che hanno modificato la nostra capacità di analisi critica rendendola sempre meno autonoma e sempre più influenzabile da fattori esterni, che ci hanno fatto accettare la propaganda come la vera informazione.

La fine del bipolarismo Est – Ovest ha comportato la convinzione che il mondo si fosse avviato verso l’adozione di una universalità di pensiero dove la declinazione di concetti fondamentali come democrazia, diritti, libertà avesse un’unica accezione: quella di un Occidente vittorioso che, con la caduta del muro di Berlino, si era finalmente liberato dell’incubo ideologico-politico che aveva generato le due Guerre Mondiali e la Guerra Fredda, ponendo fine al periodo più oscuro della storia dell’Europa.

Questa convinzione ha avuto come conseguenza l’impostazione di una narrativa mediatica volta a sopprimere ed eliminare qualsiasi elemento che potesse mettere in dubbio la realtà di questa nuova Età dell’Oro, dove libertà e democrazia erano oramai divenuti patrimonio dell’intera umanità.

La caduta di un mondo diviso tra due blocchi contrapposti ha, di conseguenza, comportato una globalizzazione dei mercati con una espansione mondiale inimmaginabile nella Guerra Fredda che hanno rinforzato in noi il convincimento che anche il nostro sistema di economia fosse l’unico, il migliore quello cui tutte le altre Nazioni aspirassero.

Il nostro sistema di valori può essere ritenuto come un insieme di principi valido e moralmente corretto e abbiamo, quindi, il diritto di sostenerlo, ma quando il concetto di universalità dei nostri principi culturali ha iniziato a essere ridimensionato dalla realtà di un mondo geopolitico dove, purtroppo per noi, sono presenti visioni differenti, invece di accettare il dato di fatto e riconsiderare il nostro approccio alla divulgazione del nostro sistema culturale, abbiamo iniziato una narrativa dove obiettività e oggettività sono state sempre più assenti, trasformando il nostro impianto mediatico da mezzo di informazione a strumento di propaganda di una visione unica e non discutibile di cultura.

Anche l’affievolirsi delle ideologie che avevano contraddistinto e formato il mondo nel XX secolo ha contribuito a modificare l’azione dei media, che si è trasformata nella cassa di risonanza di una narrativa sostenitrice di una supposta verità comportamentale politicamente corretta, basata sulla demonizzazione aprioristica dell’altro in quanto esponente di un pensiero diverso da quello proprio, considerato l’unico corretto e giusto.

Non meno importante per comprendere come l’informazione sia divenuta propaganda risulta essere l’uso improprio che si è fatto degli strumenti della comunicazione. La tecnologia ha mutato la capacità di presentare un fatto in modo obiettivo e oggettivo consentendo la presentazione di qualsiasi fatto stesso come una verità assoluta e incontrovertibile attraverso la manipolazione delle immagini e delle parole.

Non solo la rappresentazione della realtà cambia ad ogni inquadratura, ma anche il lessico è stato adattato e trasformato rendendolo idoneo a supportare una visione della realtà orientata verso la propaganda e lontana dall’informazione, sancendo, di fatto, il trionfo del cosiddetto opinionismo.

Ritornando al punto di partenza, la situazione mediatica che viviamo con il conflitto ucraino è quella di essere divenuti l’oggetto di una propaganda estrema e articolata, dove le notizie che riceviamo sono commisurate per colpire il nostro inconscio di Occidentali pacifici, rispettosi dei diritti, democratici e con una coscienza umanitaria sensibilissima, ma disposti a un impegno personale e una partecipazione diretta ridotti al minimo, se non del tutto assenti.

La realtà è filtrata e veicolata attraverso i canali ai quali siamo più sensibili in modo da evocare scenari e situazioni apocalittici. Ci viene presentato un paese immerso nel freddo, nel gelo e nel buio che lotta per difendere la nostra democrazia e la nostra libertà, dove, però,  il suo Presidente si rivolge all’ONU per avere più armi – non certo per chiedere a quell’organismo di svolgere il suo compito istituzionale e riportare la pace e l’ordine.

La ricerca di una soluzione diplomatica del conflitto, che ponga fine alla tragedia delle popolazioni coinvolte, non è sostenuta dai media che, invece, sottolineano favorevolmente l’ostinazione con la quale l’Occidente spinge l’Ucraina a reclamare una capitolazione senza condizioni dell’avversario russo.

Incolpiamo altri Paesi di fornire armi e supporto alla Russia, incuranti del fatto che la tecnologia per fare quelle armi l’abbiamo fornita noi a loro in un passato abbastanza recente, da essere quasi considerato presente, mentre continuiamo fornire un supporto militare fondamentale che non ha altro risultato che alimentare l’illusoria idea di una vittoria epocale che non ci sarà.

Condanniamo come crimini contro l’umanità qualsiasi azione invocando tribunali internazionali che noi stessi non accettiamo e ai cui sviluppi non partecipiamo (uno su tutti la Corte Penale Internazionale che USA e Cina non riconoscono), come se questo potesse automaticamente risolvere il problema alla base di questo conflitto, evitando di rivedere una condotta geostrategica ipocrita e spregiudicata.

Applichiamo due pesi e due misure a seconda della nostra convenienza concentrandociologata e monotonamente uniformata, ma sicuramente incapace di esprimere un concetto di cultura adeguato alla storia millenaria dell’Occidente.

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