Le città dopo la pandemia: come ci ha cambiati la crisi del covid-19

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Tedesco: «Le amministrazioni locali dovranno fin da subito dimostrarsi flessibili e dinamiche per adattarsi alla nuova realtà»

Questo anno e mezzo di emergenza pandemica ha stravolto la vita di tutti. La necessità di fronteggiare la diffusione del virus ha cambiato il nostro modo di vivere: prima il confinamento domestico – il lockdown– che ha caratterizzato la fase iniziale dell’emergenza; quindi la limitazione degli spostamenti; poi il coprifuoco e lo smartworking; infine, purtroppo, la chiusura di numerose attività, soprattutto commerciali, con conseguenze drammatiche anche per la semplice sopravvivenza di molte persone che si sono ritrovate senza lavoro.

Ma se la ricerca di soluzioni globali ha riguardato, com’è ovvio, la politica nazionale nel suo complesso, anche le città si sono trovate davanti a enormi sfide per poter cavalcare un cambiamento così radicale.

Ne abbiamo parlato con l’avvocato Ernesto Tedesco, sindaco di Civitavecchia, uno dei porti più importanti del Mediterraneo, soprattutto nel settore croceristico.

Sindaco Tedesco, come ha reagito la sua città al terremotodel Covid-19?

Come è successo in tutta Italia, ma anche altrove, all’inizio c’era confusione tra i cittadini, sia per le notizie sempre più allarmanti, anche le fake news, sia per le indicazioni contraddittorie che arrivavano dall’Oms, dal mondo politico e dai mezzi d’informazione. Successivamente, quando il quadro è diventato più chiaro e sono cominciate ad arrivare direttive più precise da parte del governo, è subentrato il senso di responsabilità. Nel frattempo abbiamo dovuto gestire la situazione “navigando a vista”, cercando di risolvere i problemi a mano a mano che si manifestavano. E le assicuro che in una città come la nostra, con un porto che ospita le maggiori navi da crociera del Mediterraneo, di problemi ce ne sono stati in abbondanza!

Ad esempio?

Sono stato forse il primo sindaco italiano a dover affrontare un’emergenza da Covid-19: la mattina del 30 gennaio 2020 una nave da crociera era arrivata in porto con una passeggera cinese che presentava i sintomi di un sospetto contagio da Coronavirus. Sulla nave c’erano più di seimila passeggeri: dovevano scendere per fine crociera 1.100 persone e altrettante ne dovevano salire. Non c’era tempo di aspettare indicazioni “dai piani alti”, così ho deciso di bloccare lo sbarco, finché gli accertamenti sanitari non hanno escluso ogni pericolo. E grazie al Cielo è andato tutto bene.

A tal proposito la sua città, oltre ai problemi locali condivisi da tutti i Comuni, ha subito in maniera particolare gli effetti della crisi a causa del blocco dell’attività delle crociere, che per voi – come dicevamo – è un settore di primaria importanza…

Civitavecchia è il secondo porto più importante del Mediterraneo per il traffico crocieristico, che oltre alla presenza e al passaggio delle navi comporta un afflusso continuo di turisti: parliamo di 2,6 milioni di persone transitate per lo scalo nel 2019 e di oltre un milione di turisti in turn around, ossia quelli che portano il grande indotto con gli sbarchi/imbarchi nella città. E poi c’è il business delle merci, che è importantissimo. Il blocco degli spostamenti ci ha quindi catapultati improvvisamente dentro una crisi senza precedenti.  

Insomma, possiamo dire che una delle conseguenze più drammatiche della crisi pandemica è stata quella economica. Le politiche di sostegno messe in campo sono state ovviamente una responsabilità della quale si è fatto carico il governo nazionale… e qualcuno ricorda ancora la sua battuta sull’aiuto di 400mila euro: «Con i soldi del governo possiamo offrire giusto una pizza a Pasqua». Ma che spazio di manovra hanno avuto i Comuni per elaborare forme di supporto alle attività locali?

La forma era quella di una battuta, ma la sostanza era un grido di dolore per la poca lungimiranza del governo davanti alle difficoltà dei miei concittadini. Per fortuna il cambio di governo ha portato una maggiore attenzione alle necessità sul territorio, che ci ha ad esempio consentito di ridurre fino all’85% la tassa sulla Tari. Il Comune ha poi compiuto un grande sforzo per attivare i Servizi sociali nella gestione della crisi, a partire dalla creazione del Polo logistico d’emergenza di Fiumaretta, in collaborazione con Croce Rossa e Protezione Civile. La mole di assistenza erogata è stata davvero imponente e se aggiungiamo anche l’importante contributo di tante imprese private che hanno scelto la strada della solidarietà, abbiamo sfiorato il milione di euro di valore. In ogni caso, già dai primi di marzo eravamo autosufficienti per l’assistenza materiale a centinaia e centinaia di famiglie.

L’auspicio di tutti noi è che si possa uscire al più presto dall’emergenza. Lei come immagina la città post-pandemica?

Il drammatico impatto della pandemia sulla vita di tutti ha reso essenziale una riflessione nuova, innovativa, sull’evoluzione delle città. Nella necessità di rispondere adeguatamente alla crisi, sono stati messi in moto dei fenomeni che hanno in qualche modo rivoluzionato le dinamiche di tutti i settori del vivere comune: socialità, economia, lavoro… Per ogni settore si è reso necessario un ripensamento alla luce di questa crisi sanitaria, tanto da tracciare un solco tra il “prima” e il “dopo”. Tante certezze del vivere comune che davamo per scontate sono state frantumate, quasi fossimo stati in guerra. In tutti i dopoguerra, però, la caratteristica principale è sempre stata la voglia di rinascita, l’entusiasmo dei “sopravvissuti” che ha portato nella storia a grandi evoluzioni e, come negli anni Sessanta, a veri e propri boom economici. Ed è proprio quello che manca oggi, anche perché l’uscita dalla pandemia sembra ancora incerta, a rischio.

Cosa si può fare allora?

Il compito di chi in qualche modo guida il Paese, a partire dalla politica nazionale fino alle amministrazioni locali, è proprio quello di agire in tal modo da restituire ai cittadini le sicurezze perdute. Le riflessioni stimolate dall’emergenza per rispondere alla necessità sanitaria di combattere il contagio – dalla digitalizzazione dei servizi allo smart working – devono portare all’elaborazione di nuove opportunità per pensare la città postpandemica. A cominciare dalla semplificazione indispensabile per sveltire i processi amministrativi per il rilancio. Perché sia possibile tutto questo, però, perché le città abbiano la possibilità di rinnovarsi, è necessaria una politica di sostegno da parte delle istituzioni nazionali ed europee, visto che le misure messe in atto per combattere l’impatto della pandemia – blocco della circolazione, chiusura delle scuole e delle istituzioni culturali – hanno fatalmente colpito al cuore molti settori economici, a cominciare da quello del turismo, che anche per la mia città, Civitavecchia, come dicevamo è di vitale importanza.

Un altro dei valori riscoperti a causa del lockdown e della limitazione degli spostamenti è quello della “prossimità”, ad esempio con i negozi tradizionali che sono tornati ad essere al centro della vita del quartiere…

Certo! E le città relativamente piccole come Civitavecchia sono avvantaggiate, in questo senso, perché la dimensione sociale ha mantenuto una qualità ormai scomparsa nelle grandi metropoli. Tuttavia devo ricordare la fragilità del tessuto delle piccole e medie imprese nei confronti dei giganti della grande distribuzione: per questo dico che sono necessarie delle politiche fiscali e di sostegno per la ripartenza. Da parte nostra, le amministrazioni locali dovranno fin da subito dimostrarsi flessibili e dinamiche per adattarsi alla nuova realtà. E soprattutto far tesoro della grande cooperazione tra istituzioni pubbliche e private fiorita durante la crisi. Perché “insieme ce la possiamo fare” non è un vano modo di dire: è la sola verità che conosco per ripartire più forti di prima.

 

Bookreporter Settembre

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