Geopolitica delle elezioni presidenziali in Iran

in MEDIO ORIENTE by

Si stanno svolgendo oggi venerdì 18 giugno 2021 le elezioni presidenziali per decretare chi sarà il successore di Hassan Rouhani in carica negli ultimi otto anni. Le votazioni che eleggeranno il tredicesimo presidente della Repubblica Islamica dell’Iran si svolgono sullo sfondo di una significativa crisi economica e una diffusa sfiducia pubblica nei confronti del governo.

Con buona probabilità l’Iran avrà un presidente conservatore fedele al regime e con poteri limitati. Nella lista dei pochi candidati sopravvissuti all’epurazione del Consiglio dei Guardiani emerge la figura di Ebrahim Raisi il quale vanta l’appoggio del mondo politico dei conservatori, legami con il Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Iraniane (IRGC) e ha il prestigioso titolo di sayyid(discendente del Profeta dell’Islam Maometto).

Il Consiglio dei Guardiani ha respinto circa 600 candidati lasciandone a concorrere solo sette, numero che si è ridotto ulteriormente a quattro persone considerando che negli ultimi giorni alcuni politici hanno deciso di ritirarsi, fattore che ha inasprito la perdita di fiducia di molti iraniani nel processo elettorale. Il timore degli elettori è che queste elezioni presidenziali siano organizzate per favorire Ebrahim Raisi che ha un forte legame con il Leader Supremo l’Ayatollah Ali Khamenei. Quindi, se già le ultime elezioni presidenziali sono state contrassegnate da una bassa affluenza alle urne (42,6%), c’è il rischio che questa volta ancor meno elettori si rechino alle urne a causa della sfiducia che nutrono nei confronti del processo elettorale anche se Khamenei ha più volte invitato gli iraniani a esprimere la loro preferenza attraverso il voto. Questa attuale tendenza all’apatia politica riflette le avverse condizioni socioeconomiche in cui vivono gli iraniani caratterizzate da alta disoccupazione, aumento dei prezzi, recessione economica e un generale scetticismo per la leadership politica vista come una ‘casta’ che combatte solo per il proprio benessere dimenticando il resto della popolazione.

Nonostante l’Iran abbia ripreso ad arricchire l’uranio, tutti i candidati durante la campagna elettorale hanno dichiarato il loro impegno a discutere con gli Stati Uniti il ​​ripristino dell’accordo sul nucleare. Il sostegno di Khamenei all’accordo e la necessità di Teheran di migliorare le sue condizioni socioeconomiche pesantemente inasprite dalle sanzioni statunitensi imposte nel 2018 dall’Amministrazione Trump e dalla pandemia potrebbero indicare un esito positivo per i negoziati fra gli Stati Uniti e l’Iran e la necessità del regime di avere un presidente che sostenga questo processo. In questo contesto si può leggere la bocciatura della candidatura di Mahmoud Ahmadinejad, ex presidente iraniano che ha caratterizzato il suo governo con un forte antiamericanismo e ha promosso con veemenza l’attuazione del programma nucleare nazionale.

Guardando alle ripercussioni di una nuova presidenza sugli scenari esteri è possibile dire che difficilmente si assisterà ad un cambio di strategia dell’Iran in Medio Oriente, specialmente in Siria e Iraq, perché la regione si può considerare come il lebensraum(spazio vitale) di Teheran così come l’Asia centrale dove l’Iran sta cercando di svolgere un ruolo significativo in collaborazione con Cina e Russia per contrastare gli Stati Uniti, soprattutto dopo il ritiro delle truppe statunitensi dall’Afghanistan. Pertanto, sebbene i cittadini iraniani sono speranzosi che l’Iran post-elezioni abbia come prima priorità quello di affrontare la difficile crisi economica interna, le tematiche di politica estera rimangono al centro del regime iraniano considerando che Teheran continuerà a promuovere la sua presenza in Medio Oriente, Asia centrale e anche nel Caucaso guardando a un partenariato rafforzato con la Cina per aumentare le sue esportazioni e scambi commerciali grazie alla Belt and Road Initiative di Pechino e con la Russia per contrastare la presenza occidentale e il ruolo crescente della Turchia in Eurasia.

In conclusione, se queste elezioni dovessero essere contrassegnate da una bassa affluenza alle urne e il futuro presidente iraniano dovesse essere un lealista del regime conservatore, la Repubblica islamica dell’Iran potrebbe sperimentare in futuro forti tensioni sociali come è già successo nel 2019. In effetti, gli iraniani in questo momento sembrano non essere particolarmente interessati alla politica estera, bensì alle necessarie riforme economiche, alla lotta alla corruzione ed ai progetti infrastrutturali che potrebbero creare opportunità di lavoro e attrarre investimenti esteri diretti (FDIs). Nonostante il governo abbia puntato molto sullo sviluppo dell’industria petrolchimica del paese e la NIOC abbia dichiarato di essere pronta a rimpostare la produzione petrolifera ai livelli antecedenti le sanzioni in tempi record, ancora molti settori del paese sono tagliati fuori dai fondi e dalle necessarie ristrutturazioni. Ad inficiare la rimozione delle sanzioni si aggiunge la volontà dei conservatori iraniani di rallentare l’accordo sul nucleare per dare un risultato politico al nuovo presidente. Inoltre, prima di procedere con l’accordo, Teheran vorrà probabilmente attendere l’esito del vertice Russia-Stati Uniti e dei successivi colloqui tra Stati Uniti e Cina per poter discutere la questione con i suoi alleati strategici, negoziando così accordi con una chiara visione degli equilibri di potere.

Di Silvia Boltuc

*Silvia Boltuc.Analista specializzata in relazioni internazionali, energia e conflitti nello spazio post-Sovietico, in Medio Oriente e Nord Africa. Attualmente ricopre il ruolo di direttore del programma di ricerca “Eurasian Energy Market” presso ASRIE Analytica ed è responsabile dell’Area Energia e Nuove Tecnologie del CeSEM.

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