Giorgia Zunino: “Il Covid ci ha svelato il mondo per quello che è, una realtà dinamica e complessa. Ora serve un cambio di mentalità”

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Non è cambiato il mondo, si è solo svelato per quello che realmente è, una realtà complessa, dinamica, dove la regola è il cambiamento caotico e dove le solite regole non funzionano più. Sempre più veloce nel suo mutamento, ignoto e perciò imprevedibile, ha svelato la profonda fragilità dei nostri sistemi, economici, legislativi ed organizzativi incapaci di adattarsi e reinventarsi si è frantumato come un cristallo. L’abitudine di un mondo che pareva non cambiasse mai, regolato ed in continua ordinata espansione, si è rivelata falsa ed ingannatrice e ci ha trovato impreparati.

È Giorgia Zunino, Direttore Scientifico DIRC- Design Innovation Research Center e Strategic Project Manager della ASL ROMA 1 a illustrarci come il COVID può segnare uno spartiacque definitivo, che ci chiama a nuove sfide di resilienza civile e adattabilità con un dono: una nuova visione del mondo, più aderente alla realtà. Di questo si discute sabato 26 settembre dalle ore 11.45 alle ore 12.45 nella tavola rotonda da lei coordinata “Siamo preparati ad una prossima crisi?”, tavola rotonda organizzata nell’ambito  di WELFAIR 2020, l’evento digitale dedicato alla salute promosso da Fiera Roma.

Incominciamo proprio dal titolo della tavola rotonda: siamo preparati a una prossima crisi?

Se ci prepariamo alla nuova visione del mondo e modifichiamo di conseguenza gli approcci ed i metodi per viverlo, lo siamo. Dobbiamo noi, i nostri leaders, dimostrare di avere imparato la lezione. Non è solo l’adattabilità ma la consapevolezza di cosa ci circonda: l’essenza della natura e della sua natura relazionale di eventi, una rete che non è stasi, non è essere ma divenire.

Non siamo stati allevati per questo. Il periodo del “riduzionismo” impera nelle nostre scuole, nella medicina e nel governo di cose che si pensano immutabili.

Il virus è conseguenza di reti di relazioni tra diversi eventi: l’aumento della mobilità, l’espansione in aree remote. Queste reti sono meglio descritte da equazioni non lineari che sono gestibili dalle nuove potenze di calcolo. Il mondo è descritto da equazioni non lineari non risolvibili dal solo umano: la scienza del Caos ci aiuterà ma caos deterministico come dice Lorenz: clima, biologia, fisica, la borsa sono regolate da questa scienza. Perché il mondo è Caos, non è come gli inglesi ma come gli italiani: gli eventi si accalcano disordinatamente dice Carlo rovelli nel suo libro “L’Ordine del Tempo”.

Che cosa è cambiato?

Una grande consapevolezza che qualcosa è cambiato e deve cambiare. La somma di cose parcellizzate non fa il totale. La scienza, la formazione, l’economia e la politica, nel senso di polis (governo delle cose) deve assumere questa consapevolezza.

Il mondo non è come appare o, meglio, come ci hanno insegnato, trattando il popolo come eterni fanciulli ed incapaci di gestire il mondo per quello che è, complesso, dinamico, parcellizzato, più vuoto che pieno, sempre più veloce e perciò imprevedibile se ridotto ad elementi semplici. 

È la scienza del caos, non in senso letterale come siamo abituati a conoscerlo,  inteso come teoria scientifica, a definire la più reale natura del mondo. Un piccolo cambiamento genera un effetto dalle grandi proporzioni, il battito d’ali di una farfalla in questa parte del mondo può provocare un uragano a Pechino ed oggi la tecnologia, l’enorme capacità computazionale, ci consente di interpretare nelle sue dinamiche ed attrattori la sua natura di caos deterministico. La simulazione di scenari complessi aiutati da computer sempre più potenti potrà affiancare la gestione delle crisi.

Dove ogni elemento in gioco è importante in un sistema aperto, due variabili in un sistema chiuso non rappresentano la realtà. Tre variabili in un sistema aperto necessitano di equazioni non lineari e complesse. Noi oggi siamo parte di un sistema che può gestire solo sistema con variabili ripetute e prevedibili e questo non rappresenta la realtà.

Se non coglieremo questa opportunità di utilizzare i mezzi tecnologici in un approccio totalmente nuovo, che tiene conto del tutto in maniera unitaria, perderemo quella che si può rivelare un’Eucatastrofe, ovvero l’opportunità derivante da sconvolgimenti che porta ad evoluzioni significative nel corso dell’umanità, rischia di sprofondare nella vera Catastrofe, dove tutto sarà perduto.

E come gestire questa consapevolezza?

In un mondo sempre più interconnesso, globalizzato, denso di relazioni, dobbiamo abituare la mente a questo variare continuo, ad imparare continuamente e velocemente. 

Negli ultimi cinquanta-sessant’anni e nell’accezione più ampia nell’era dell’antropocene, abbiamo vissuto un piccolo grande periodo di transizione di calma, di ripetitività previste nella natura deterministica che regola ad esempio il clima e che ha consentito la nostra evoluzione in un periodo di “regolamentazioni” favorite da sistemi chiusi e protezionistici (questo anche in riferimento al contenimento delle epidemie e non solo economiche). In questo contesto ci siamo sentiti rassicurati dall’ordine apparente di tali schemi, che hanno annullato la nostra creatività, la capacità di farsi domande: quelle che nessuno si pone. L’uomo parte di un ingranaggio, avete mai visto sui muri: vivi consuma e crepa? L’uomo come mezzo e ora come prodotto.

In realtà abbiamo coltivato fragilità e criticità: un esempio emblematico è che, interrotto l’utilizzo delle auto per via del lockdown, le aziende petrolifere non sapevano più dove mettere il petrolio la cui estrazione come noto non è flessibile. L’economia malthusiana di crescita continua non è più sostenibile, non lo è mai stata in un sistema dalle risorse limitate, un piccolo cambiamento in questo sistema rompe tutto, il nostro pianeta è un insieme governato da equazioni di grado complesso, che possono non avere soluzionI certe ed esattamente ripetibili, ma sono riferite a reti di sistemi relazionali. Ora il sistema caos riprende la sua casa e la sua corsa e va gestito con sistemi di tecnologie avanzate di calcolo probabilistico e soprattutto con un cambio di mentalità. 

La soluzione c’è, se abbandoniamo vecchi sistemi e concetti di visione del mondo.

Che cosa possiamo fare?

Occorre ripartire da un nuovo mind-set nella comprensione della realtà e una nuova resilienza sociale definita di “Prontezza Civile”: una nuova abilità ad affrontare scenari complessi e critici, una necessità di partecipazione attiva delle persone nelle gestione di mutamenti e di crisi,  come definita dal Ministero della Difesa, dalla NATO e dagli organismi internazionali.

Quello a  cui assistiamo è una profondo “disequilibrio informativo” tra i pochi che hanno compreso dove stanno i nuovi asset le nuove risorse e chi guarda il mondo come un maniscalco dei primi anni del secolo scorso con l’avvento delle auto. Sempre più in balia di un mondo che non comprendiamo e che intimorisce diveniamo prede di “venditori di olio di serpente”, rischiamo di farci ammaliare dalla soluzione o tecnologia sbagliata o dall’investire in ciò che non serve applicandolo a quel sistema. Dobbiamo sviluppare una mentalità flessibile e aperta, ridurre questo disequilibrio informativo, un approccio che non si limiti a reagire agli eventi, ma li abbracci con curiosità, sicurezza e accettazione, perché molte volte è nel caos che sorgono le opportunità. 

Serve una nuova classe di cittadini, essi stessi leaders nei diversi campi, che siano il nucleo famigliare O capitani di azienda o manager pubblici, pronti all’imprevisto, e capaci di cambiare il mondo dalle sue fondamenta.

Ultimamente ci siamo chiesti con insistenza quali siano i leaders che potranno guidarci fuori dalle crisi. La risposta è che ciascuno di noi può e deve diventare quel leader, per sé o nella sua comunità, nel lavoro o nella ricerca. I leader che fanno il futuro, dice Bob Johansen nel suo primo libro “Leaders Make the Future”, saranno quelli che  trasformeranno quello che oggi è volatilità in visione, l’incertezza in comprensione, la complessità in chiarezza e l’ambiguità in agilità. È un lavoro in progress e dinamico come lo è la natura della realtà che ci aspetta, dove la categorizzazione deterministica che ha accompagnato gli ultimi due secoli deve lasciare il posto ad un pensiero capace di abbracciare il tutto a “pieno spettro” un mix creativo di abilità, alfabetizzazione e mentalità.

Nella pratica?
Per esempio, in ambito sanitario, nella gestione degli ospedali, si vive su applicazione rigida di protocolli e regole. Chi esce fuori dalle regole, in un sistema riduzionista, non è ammesso: non è controllabile con sistemi ottocenteschi che ancora regolano il funzionamento del mondo con carta e penna dominato dalla capacità e dall’assenza di dati real time e real intervention. E questo l’abbiamo visto con il “paziente zero”, in cui l’applicazione di protocolli che vanno bene per casi noti e prevedibili ha portato all’espansione di uno dei grandi cluster epidemici che ha coinvolto un ospedale. 

Oppure è evidente che una pillola che va bene per tutti non si sposa con il concetto di medicina di precisione ma che va tanto bene nel governo delle “cose” alla moda del secolo scorso, dove la quantità e la variabilità non era gestibile se non nella “media”. Ma l’evidenza dice che il 90% dei medicinali oggi non ha effetto perché non adatto ad ogni specificità dell’individuo, che la cura episodica del sistema sanitario attuale non funziona, sposta solo i problemi di poco più in là, accumulando quelle variabili che creeranno le prossime crisi.

Ma come si fa a cambiare così radicalmente un mondo che si è coltivati gelosamente e che si è infranto alla prima crisi globale? 

Oltre che mutare l’approccio punitivo a chi pensa con la propria testa, questo è in effetti l’unico sistema di controllo dei sistemi rigidi e quindi fragili che ci governano,  bisogna cambiare i metodi di lavoro alla radice. 

Dalle persone, cogliendo l’opportunità di questa rinata consapevolezza dell’impermanenza delle “cose” e di un approccio alla complessità che ci renderà più forti. Robert Salposky, neuroendocrinologo dell’università di Stanford e autore di moltissime pubblicazioni, affronta il comportamento umano con questo approccio per migliorare il comportamento sociale e umano senza trascurare nulla: dalla genetica all’ambiente e alla chimica. Un approccio scientifico che distrugge le barriere di competenza: oggi il riduzionismo ci obbliga a percorrere ambiti settoriali che mai si incontrano.

Il nuovo approccio è evolvere l’umano, occorre lavorare molto sulle componenti psico-sociali dei bambini, fin dal loro concepimento. Gli esempi che qualcosa si muove ci sono come il “Progetto 1000 giorni” dove si lavora dal giorno del concepimento su queste componenti dalla mamma al bambino. Ora e qui, a Roma, si lavora su questo partendo dalla Scuola di Psicologia della Salute fondata dal Prof. Emerito Mario Bertini e portato avanti da scienziati da tutto il mondo al Centro Internazionale per la Promozione della Salute e del Benessere della ASL Roma1. Il progetto è ambizioso: far diventare le persone migliori, sicure e forti, capaci di gestire i sentimenti, e gli accadimenti e questo atteggiamento lavora per il nostro corpo per rimanere più sani e per lungo tempo. Il messaggio che deve passare è che il mondo muta, ma abbiamo gli strumenti per affrontare il cambiamento, purché non si nasconda una verità che è fatta anche di fragilità, di incertezza, e di morte ma anche di sorpresa meraviglia e capacità di affrontare anche con il supporto di nuove tecnologie, nuove sfide. 

Accettare che nell’ignoto e nella novità le risposte non sono sempre risolvibili con sì o no, ma sono spesso incomplete e parziali oppure non c’è una soluzione semplice e chiara o definitiva, ma di soluzioni iterative fatte di tentativi e miglioramenti. Il marketing ci ha rassicurato con slogan “prendere una pillola quando necessita”, una magia che alla fine dei conti non funziona, cura i sintomi ma non le cause, e soprattuto non funziona se non diventiamo noi stessi protagonisti del nostro futuro.

Partire da un cambio di mind-set che si crea già nelle scuole di infanzia e ci accompagna sino alle scuole di management e durante la vita.

La pubblica amministrazione è il sistema che oggi necessita di  una rivoluzione più radicale. Creata per mantenere lo staus quo e non gestire il cambiamento. Si può ad esempio iniziare da oggi a formare una nuova classe di medici alla gestione del rischio, insegnando loro ad affrontare situazioni complesse con la consapevolezza di non avere a che fare con un mondo malthusiano e concluso. L’utilizzo di tecnologie di intelligenza artificiale capace di simulare e modificare durante l’acquisizione dei dati i processi. L’economia che applica metodologie e le ripete non è più possibile, non esistono protocolli fissi da seguire, neppure negli ospedali: è un cambiamento epocale del paradigma della salute.

 

La tecnologia può aiutare a gestire il cambiamento?

La tecnologia è lo strumento nuovo che supporta il cambiamento, questo tipo di cambiamento impossibile da gestire senza. Le nuove tecnologie digitali applicate alla operation e orientate al cognitive (dati, elaborazione ed azione) certamente ci possono dare una mano a gestire processi complessi e dinamici, ma applicare la tecnologia al pensiero Ottocentesco, come oggi perlopiù stiamo facendo, creerà più difficoltà che altro, dando rilievo a nuove ondate luddiste. Se ci dobbiamo salvare da soli, non può salvarci la tecnologia o il finto progresso che ci siamo illusi di vivere: questo è un miraggio, un mito da sfatare.  Eppure qualcosa si muove, emerge nel mondo della scienza, della filosofia, mai come oggi interrogata sui grandi mutamenti, e spinta da persone e leaders illuminati.  Si lavora insieme senza barriere di discipline ad una nuova visione del mondo che darà supporto ad accogliere il cambiamento senza paure e con la capacità di raccogliere opportunità e non sconfitte.

 

Bookreporter Settembre

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