India e Cina sul “confine” della guerra: verso una nuova fase del mondo post Covid19?

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Sin dall’epoca post-coloniale, le tensioni tra Cina e India sono scaturite dalle rivendicazioni territoriali di una nei confronti dell’altra a causa dall’assenza di un accordo tra le parti che possa porre fine a tali contenziosi. Nel corso degli anni, furono messi in atto svariati tentativi che potessero fissare a livello internazionale le rispettive zone di controllo. L’attuale sistema di demarcazione dei confini è la Linea di Effettivo Controllo o LAC (Line of Actual Control) che rappresenta l’attuale confine tra India e Cina. L’India considera il LAC lungo 3.488 km, mentre i cinesi lo considerano solo circa 2.000 km.

È suddiviso in tre settori: il settore orientale, che comprende i territori di Arunachal, Pradesh e Sikkim, il settore medio l’Uttarakhand e Himachal Pradesh e il settore occidentale in Ladakh. L’allineamento del LAC nella parte orientale comprende i territori delimitati dalla Linea MacMahon del 1914, che separa i due stati nella parte est dell’Himalaya e dichiarava l’indipendenza del Tibet, la quale però non venne riconosciuta della Cina.

Le maggiori divergenze, tutt’ora accese, sorgono invece nel settore occidentale del LAC, più precisamente nel territorio del Ladakh. Anche se la situazione attuale sembra scongiurare una nuova guerra sino-indiana come avvenne nel 1962, il noto esperto di questioni militari Ajai Shukla ha dichiarato che la tensione non è mai stata così elevata dall’invasione cinese del ’99 del Kargill. Oltre 5000 soldati dell’esercito popolare di liberazione (PLA) si sono stanziati lungo il fiume Galwan, dove l’India sta costruendo una nuova strada.

Potrebbe essere questa la vera causa di nuova tensione?

Stando a quanto riportato dall’ex ufficiale dei servizi segreti di Nuova Dehl, nonché uno dei massimi esperti delle relazioni tra i due Paesi, Jayadeva Ranade, oltre alla continua crescita di sentimenti anti-cinesi in tutto il mondo, soprattutto in India, la quale si erge, come seconda dopo gli USA, boicottatrice del made in China. Xi Jinping sta ricevendo pressioni da tutti i fronti: crisi dell’occupazione interna, tumulti di Hong Kong, la rielezione della presidente indipendentista di Taiwan Ing-wen, la mancata sovranità sulle isole del sud, stanno spingendo Pechino a puntare sul nazionalismo e sulla difesa di un nuovo possibile scenario che includa l’Italia, nonché l’Europa.

Un ulteriore escalation del conflitto potrebbe essere dato dall’intervento come mediatore da parte degli Stati Uniti, stando quanto afferma lo stesso Donald Trump su Twitter, pur sapendo che il recente l’avvicinamento tra Washington e Nuova Dehli abbia dato ancora di più forza alla strategia politica e militare cinese.

Sempre secondo Renade, il conflitto sino-indiano, infine, potrebbe essere legato agli interessi convergenti di Pakistan e Cina verso il nuovo corridoio economico di Gilgit-Baltistan per controllare la zona del Kakaroum, punto strategico al confine del territorio di Kashmir.

Dall’altro lato c’è invece chi rimane fiducioso sulle prospettive del conflitto militare, come Mosca che spera in una risoluzione diplomatica di tale contenzioso. In questo clima, la Russia potrebbe essere considerata l’unica mediatrice tra l’Elefante e il Dragone. Certo è che a scontrarsi sono i due Paesi più popolosi al mondo, che per quanto diverse geograficamente e culturalmente, le loro economie sono i motori dei mercati mondiali. Sarà ancora la Cina ad averne il pieno controllo?

di Eliana Gullo

 

Bookreporter Settembre

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