Il revenge porn. Pregi e difetti di una nuova fattispecie di reato.

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Il 9 agosto2019 è entrata in vigore la legge n.69 del 19 luglio 2019, un provvedimento all’apparenza di ampio respiro ma che ad una più attenta lettura mostra lacune dal punto di vista normativo ma soprattutto attuativo.

L’intento è quello di analizzare analiticamente questo ulteriore atto normativo e, per poterlo fare in maniera intellettualmente onesta seppure non esaustiva, l’analisi si articola sui singoli diversi punti. L’attenzione è già stata posta recentemente sulla disposizione di maggiore impatto mediatico, quella presentata come Codice Rosso. Oggi si cercherà di porre l’attenzione sul reato di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, noto come Revenge Porn.

L’art. 10 della lg. 69/2019 introduce l’art. 612 ter del codice penale (diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti), stabilendo che “salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da € 5.000,00- a € 15.000,00- La stessa pena si applica a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o video di cui al primo comma, li invia, consegna, cede pubblica o diffonde senza il consenso delle persone rappresentate al fine di recare loro nocumento. La pena è aumentata se i fatti sono commessi dal coniuge, anche separato o divorziato o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se i fatti sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici”. La procedibilità è a querela di parte, da presentare nel termine di sei mesi, salva la possibilità di procedere di ufficio in casi specifici.

L’esigenza di introdurre questa nuova fattispecie di reato si è avvertita in maniera sempre più prepotente anche e forse soprattutto a seguito di numerosi casi di cronaca, non raramente dai risvolti drammatici. Accade infatti sempre più spesso che vengano fatte circolare ovviamente senza il consenso delle persone coinvolte, tramite sistemi di messaggistica telefonica, in gruppi di piattaforme social o addirittura in siti porno, fotografie o video che ritraggono parti intime o video di rapporti sessuali.

Una patologica attività, che mira a punire o “svergognare” una vittima – solitamente una donna – per non avere soggiaciuto a richieste e proposte; oppure, per aver preso una decisione non condivisa – solitamente troncare una relazione.

E’ inutile girarci intorno, si tratta di una violenza psicologica non da poco; la vittima viene privata della sua intimità – intesa non da un punto di vista esclusivamente sessuale -, esposta alla gogna della morale più bigotta così come alle fantasie perverse di soggetti patologici. Abbiamo già assistito a situazioni in cui la frase più ricorrente è stata “era proprio necessario farsi riprendere mentre faceva sesso? Era proprio necessario inviare foto delle proprie part intime?” dimenticando che, nella propria vita privata – la propria intimità, appunto – ognuno è libero di fare quello che vuole. Già solo questa forma di ipocrita condanna sociale basta a far comprendere la gravità del diffondere illecitamente immagini intime; diffusione che se avviene tramite il web diventa virale ed impossibile da arrestare, con la conseguenza che la gogna mediatica si espande sempre di più e la ulteriore conseguenza che è possibile in qualunque momento riportare a galla situazioni ormai sopite. Una spirale da cui è praticamente impossibile uscire. Indubbiamente è questo il motivo della aggravante di cui al comma 3, che prevede appunto l’aumento della pena se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici

E’ importante chiarire che la previsione legislativa non punisce chi invia proprie o anche altrui immagini o video ma chi lo fa senza il consenso delle altre persone raffigurate negli scatti o nelle riprese. In altri termini, se tutti sono d’accordo non esistono divieti alla diffusione. Nulla però esclude che successivamente il consenso possa essere revocato.

Benvenuta allora questa nuova previsione di reato. Non si può tuttavia fare a meno di osservare che, contrariamente a quanto accade di solito, su questa specifica fattispecie il legislatore sia stato eccessivamente lento, nonostante i tanti, troppi drammatici casi di cronaca.

Se in Italia si è aspettato il 2019 per arrivare ad una presa di posizione, una sbirciatina nel resto del mondo ci fa non poco arrossire. Nelle Filippine, ad esempio, il 15 febbraio 2010 è stato approvato un documento, Anti-Photo and Video Voyeurism Act of 2009, davvero rivoluzionario e reso sulla premessa che lo Stato tutela la dignità e la privacy di ogni essere umano e garantisce il pieno rispetto dei diritti umani. In South Africa non esiste ancora una legge che preveda il revenge porn come reato ma questo non vuol dire che non sia prevista alcuna forma di tutela per le vittime di questa disgustosa attività. Chiunque abbia subìto del revenge porn può infatti intentare una causa civile per diffamazione. Un’altra opzione sarebbe una causa per ingiurie, per aver violato la dignità della vittima; esiste la possibilità di ricorrere alla legge sul copyright per ottenere la rimozione delle immagini. Infine, il Protection for Harassment Act 2010 prevede la possibilità di ottenere un ordine di protezione. Negli USA ben 41 Stati si sono già dotati di legge sul revenge porn e, in particolare, nello Stato di New York la vittima potrà ottenere un risarcimento del danno e valutare se intentare una causa civile o penale.

Restando invece più vicino casa nostra scopriamo che in Francia, dopo una sentenza alquanto improvvida della Cour de Cassation – che aveva considerato non penalmente perseguibile la diffusione di immagini intime di una persona senza il suo consenso – è stato introdotto nel 2016 un articolo al codice penale (226-2-1) che punisce (forse non) abbastanza severamente il revenge porn. In Spagna nel 2015 è stato modificato l’art. 197 comma 7 del codice penale, punendo la diffusione di immagini personali quando la stessa nuoce gravemente all’intimità della persona la cui immagine è stata diffusa. In Gran Bretagna sin dal 2015 è stata istituita la Revenge porn helpline in seguito alla introduzione della nuova legge sul divieto di diffusione di immagini e video intimi senza autorizzazione. Al mese di settembre 2018 la helpline ha fornito aiuto a circa 4mila persone e quasi l’80% dei contenuti segnalati è stato rimosso. La helpline non può intervenire in caso di minorenni – trattandosi ovviamente di diverso e ben più grave reato -; in caso vi siano già indagini in corso; in caso di segnalazioni provenienti da non residenti.

A quanto pare, l’Italia ha deciso di tutelare le vittime di revenge porn addirittura ben nove anni dopo la Repubblica delle Filippine e soli quattro anni dopo il Regno Unito. Bisogna inoltre rilevare che grazie alla britannica Revenge Porn Helpline la quasi totalità delle immagini diffuse senza consenso è stata rimossa. Cosa accade invece in Italia? Dando per scontata l’accusa, il processo e la condanna definitiva del molestatore, quale è il destino di immagini e video porno che continuano a circolare indisturbate nel web?

Ad oggi, sembra sia se non impossibile decisamente difficile rimuovere immagini e video dalla rete, con tutte le conseguenze sul piano psicologico che questo comporta. Bisogna distinguere la rimozione di immagini e video dalla deindicizzazione: quest’ultima è la sola attività che possono mettere in atto i motori di ricerca, evitando quindi che determinati dati – come ad esempio nome e cognome – vengano trovati tramite ricerca. La rimozione di immagini e video va invece chiesta al gestore del sito ove queste sono caricate e, se pensiamo che nella maggior parte dei casi si tratta di siti porno, ci rendiamo conto che si tratta di un’impresa titanica: un solo video può essere caricato dallo stesso gestore del sito in un altro sito e così via. Come una specie di scatole cinesi del web.

La richiesta di rimozione viene spesso confusa con il diritto all’oblìo, che è cosa ben diversa: “il giudice di merito ha il compito di valutare l’interesse pubblico, concreto ed attuale alla menzione degli elementi identificativi delle persone che di quei fatti e di quelle vicende furono protagonisti. Tale menzione deve ritenersi lecita solo nell’ipotesi in cui si riferisca a personaggi che destino nel momento presente l’interesse della collettività, sia per ragioni di notorietà che per il ruolo pubblico rivestito; in caso contrario, prevale il diritto degli interessati alla riservatezza rispetto ad avvenimenti del passato che li feriscano nella dignità e nell’onore e dei quali si sia ormai spenta la memoria collettiva” (Corte di Cassazione Sezioni Unite n. 19681/2019).

Tirando le fila di quanto sinora detto, parrebbe che anche questa volta e nonostante la buona volontà sbandierata, il legislatore abbia perso un’ottima occasione per tutelare a tutto tondo le vittime di questo reato tra i più odiosi esistenti. Ferma restando infatti la invocata condanna del molestatore, le immagini e/o i video continueranno ad essere visibili in rete per molto, molto tempo e la vittima continuerà ad essere vittima per un tempo ancora più lungo. Necessario si reputa quindi integrare la legge con una forma di tutela più stringente, magari strizzando l’occhio alla non scarna attività in tal senso della UE.

Così come, extra legem, sarebbe auspicabile una commissione di studio che andasse ad indagare seriamente non solo la vastità dei reati a sfondo sessuale, commessi con o senza l’ausilio dei mezzi informatici; essenziale sarebbe indagare movente e motivazioni (si perdoni l’accento di impatto criminologico) di comportamenti così poco rispettosi della dignità umana e per far questo è ulteriormente auspicabile che l’indagine sia affiancata dalla diffusione della cultura nelle scuole. Perché è a scuola che si forma e si educa alla socialità, diversa dal rapporto/legame familiare.

A proposito, quanti hanno immediatamente pensato al caso di T. C. e sono andati a cercare articoli che riguardassero la sua tristissima vicenda? Quanti, leggendo qua e là di revenge porn, si sono imbattuti nella rievocazione del caso, con i suoi dati e quelli della madre in chiaro? In barba all’oblìo…

Mariarosaria Baldascino

Bookreporter Settembre

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