La Spagna senza governo: il no del Parlamento a Sánchez

Il 25 luglio nel Parlamento spagnolo si è tenuto il secondo voto di fiducia per Pedro Sánchez,  Primo ministro e leader del Partito Socialista Operaio spagnolo (PSOE), il partito che ha ottenuto più seggi alle ultime elezioni politiche tenutesi lo scorso aprile. Si è trattato del secondo voto di fiducia del Parlamento ad un eventuale governo Sánchez: la Costituzione spagnola prevede, infatti, che la prima fiducia debba essere approvata con la maggioranza assoluta, mentre per la seconda sia sufficiente la maggioranza relativa.

A Sánchez sono andate male entrambe. Nella votazione del 25 luglio egli ha ottenuto 124 voti favorevoli, 155 contrari e 67 astensioni. A favore del primo ministro hanno votato soltanto 123 deputati del PSOE ed un deputato del Partito regionalista di Cantabria – partito locale della comunità autonoma della Cantabria, di orientamento centrista- mentre il partito di sinistra Unidas Podemos ha scelto di astenersi, nonostante abbia sostenuto Sánchez da quando ha sostituito il conservatore Mariano Rajoy. Oltre a Podemos, si sono astenute anche altre forze politiche di sinistra, quali Esquerra Republicana de Catalunya (ERC) – sinistra indipendentista catalana- EH Bildu (sinistra basca indipendentista) e Compromis (sinistra nazionalista valenciana), così come il Partito Nazionalista Basco. Si tratta di una decisione sofferta da parte di Podemos, risultato di una lunga e complessa trattativa avviata all’indomani delle elezioni politiche. Sin da subito il Partito guidato da Pablo Iglesias si era posto come il naturale interlocutore del Partito socialista ma i negoziati si sono presto complicati e sono mutati i toni del confronto.

Le motivazioni che hanno indotto Podemos ad astenersi sono anzitutto strategiche: il partito è uscito dalle elezioni politiche ridimensionato, ottenendo il 14,3 % dei voti, contro il 21.2% delle elezioni precedenti, inoltre, non è riuscito a capitalizzare il consenso esterno al governo socialista. Iglesias richiedeva una partecipazione organica al governo e ministeri cruciali per rivendicare il merito dell’attuazione di riforme sociali progressiste, mentre il partito di Sánchez preferiva continuare con un governo monocolore. Ciò anche al fine di evitare spaccature interne al partito, all’interno del quale molti non vedono di buon occhio la svolta a sinistra imposta da Sánchez, inoltre, molti non hanno fiducia in Podemos, considerato inaffidabile e radicale. L’ala destra di PSOE preferisce, invece, un accordo con il Partito centrista Ciudadanos. Nei giorni precedenti alla votazione sembrava che le distanze tra PSOE e Podemos fossero state colmate: Iglesias aveva accettato di non entrare personalmente nel governo, accogliendo una delle linee rosse tracciate da Sánchez ed i socialisti avevano offerto a Podemos di nominare figure politiche, non mere figure tecniche, essendo, tuttavia, disposti a cedere soltanto ministeri di secondo piano, come salute, casa ed uguaglianza. A far pendere i socialisti verso una linea più dura sono stati anche i sondaggi, i quali davano il partito in crescita vicino al 40%, mentre Podemos rischiava un ulteriore ridimensionamento. Tutto ciò ha condotto all’astensione di Podemos, che ha scelto così di non votare la fiducia al governo di Sánchez.

“Abbiamo cercato di creare una coalizione di governo ma Podemos l’ha bloccata. Podemos ha rifiutato un’offerta più che ragionevole, la strada in quella direzione non è più percorribile” – ha dichiarato la vicepremier Carmen Calvo- “Dobbiamo trovare altre vie. Continueremo a lavorare con gli altri partiti per evitare nuove elezioni”. Calvo ha altresì sottolineato come il Partito popolare e Ciudadanos siano rimasti a guardare la sconfitta del governo “con grave mancanza di responsabilità”.

Dopo la bocciatura del Parlamento spagnolo le linee guida dei socialisti sono: totale chiusura ad una coalizione con Podemos, accuse anche all’opposizione di centro-destra, ma appello all’intero sistema di partiti spagnolo perché sostenga Sánchez nella formazione di un nuovo governo nell’interesse generale del Paese e che sia in carica nel pieno delle sue funzioni quando i giudici emetteranno la sentenza contro i leader indipendentisti catalani in autunno.

Ora vi saranno due mesi di tempo per cercare di trovare una soluzione di governo e formare una maggioranza, prima che scatti lo scioglimento delle camere e sia necessario tornare alle urne, per la quarta volta in 10 anni, il 10 novembre. Fino alla fine di settembre a Madrid non vi sarà un governo formalmente in carica, si proseguirà con l’ordinaria amministrazione gestita dal governo socialista uscente. Si tratta dunque di una situazione transitoria priva di forza politica e che riduce i margini di manovra governativa in ambito economico. Non a caso manca una legge di bilancio per il 2019, inoltre, rileva che Sánchez lo scorso febbraio si era dimesso proprio a causa della mancata approvazione della finanziaria.

Dal canto suo, Re Felipe ha esortato tutte le forze politiche spagnole a mettersi d’accordo per garantire un governo stabile al Paese ed ha annunciato che, ai sensi della Costituzione, avvierà un nuovo ciclo di consultazioni a settembre.

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