Siria: Raqqa un anno dopo

Il presidente siriano Bashar al Assad e il presidente russo Vladimir Putin hanno dichiarato che la guerra in Siria è finita ma ad oggi la guerra non si ferma affatto e con essa I massacri nei confronti dei civili. Lo scenario vede la proposta di tregue per l’evacuazione dei civili che vengono sistematicamente violate, la comunità internazionale che accusa Assad di condurre degli attacchi utilizzando armi chimiche che hanno provocato stragi di bambini, colloqui di pace che si arrestano e si concludono con un nulla di fatto. Sullo sfondo vi è lo scambio di accuse tra le superpotenze, USA e Russia, e a livello regionale tra Turchia, Iran, Arabia Saudita e Israele, che finora ha giocato in difesa della propria sopravvivenza più che per estendere la propria influenza in una regione che le è ostile. È passato un anno da quando, dopo una feroce battaglia di quattro mesi, le forze democratiche siriane annunciarono la vittoria nei confronti dello Stato islamico, che aveva usato gli abitanti di Raqqa come scudi umani e commesso altri crimini di guerra. Nell’offensiva la coalizione USA e le forze democratiche siriane hanno utilizzato una potenza di fuoco devastante. La situazione a Raqqa, ancora oggi, è di distruzione e totale devastazione umanitaria. La città è svuotata con edifici bombardati, poca acqua corrente ed elettricità. L’odore di morte è nell’aria.  Gli attacchi hanno ucciso centinaia di civili e provocato migliaia di sfollati che ora stanno tornando in una città di rovine o rimangono nei campi. I civili sopravvissuti in altre città, dove le forze armate siriane e russe hanno distrutto ospedali, presidi medici, scuole, infrastrutture, vivono una realtà simili. Una realtà in cui sono privati delle loro case e dei diritti fondamentali. Recentemente Amnesty International ha chiesto alla Russia, alla Turchia e all’Iran, che hanno creato una zona demilitarizzata che protegge solamente una parte della popolazione della provincia, di assicurare la protezione dell’intera zona e di prevenire un’altra catastrofe. Amnesty International ha documentato molti attacchi illegali ai danni di civili e di beni civili da parte del governo siriano, con il sostegno della Russia e dell’Iran, e di gruppi di opposizione armata che hanno il sostegno della Turchia e di altri stati. Decine di migliaia di civili sono rimasti uccisi e mutilati in attacchi illegali del governo siriano, decine di migliaia sono vittime di sparizione forzata, arbitrariamente detenuti e torturati.

     In una lettera inviata ad Amnesty International il 10 settembre 2018, il dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, le cui forze lanciarono la maggior parte degli attacchi aerei e con l’artiglieria contro Raqqa, ha scritto che non accetta alcuna responsabilità per le vittime civili, che la Coalizione non intende risarcire i sopravvissuti e i parenti dei civili uccisi, e che rifiuta di fornire ulteriori informazioni sulle circostanze degli attacchi che hanno fatto morti e feriti nella popolazione civile. Ad oggi, la coalizione a guida statunitense continua a negare e a non fornire indagini adeguate sulla dimensione delle vittime civili e delle distruzioni provocate a Raqqa. Il pentagono neanche sembra intenzionato ad offrire le proprie scuse per le centinaia di vittime della sua guerra di “annichilimento” contro Raqqa. Ciò è una vessazione per le famiglie che hanno sofferto prima sotto il dominio dello stato islamico e dopo sotto gli attacchi catastrofici della coalizione USA. La coalizione rifiuta di riconoscere il ruolo avuto per la maggior parte delle perdite civili e laddove lo ha ammesso le proprie responsabilità, non ha accettato di avere obblighi nei confronti delle vittime. Siamo di fronte a un sistema inadeguato di registrazione delle vittime civili che non si chiede perchè sia successo e come evitare in futuro altre vittime civili. La coalizione, venendo meno all’impegno preso di compiere indagini circa l’impatto dei suoi attacchi aerei, ha un conteggio implausibilmente basso. Nel giugno 2018 la coalizione aveva ammesso di aver causato solo 23 vittime civili. Conteggio al ribasso che vede protagonista anche la gran bretagna che dichiara di non aver causato vittime con i propri attacchi aerei. Solo dopo una serie di dinieghi da parte dell’esercito e degli esponenti politici, a fine giugno, la coalizione ha dichiarato di aver causato altre 77 vittimi civili. Vi è l’ammissione ma la coalizione continua a negare informazioni sulle circostanze in cui questi civili sono stati uccisi, il pentagono dichiara di non sentirsi obbligato a rispondere ad ulteriori domande circa le circostanze sulle ragioni degli attacchi. La situazione vede il dipartimento della Difesa statunitense sostenere che I ricercatori, gli esperti militari e I legali di Amnesty International non conoscano il diritto internazionale umanitario e che l’organizzazione abbia parlato di violazioni solo quando ci sono state vittime civili. Presentando così le cose, il Pentagono ha ignorato le prove che, nei casi documentati da Amnesty International, nei luoghi colpiti dagli attacchi aerei che provocarono tanti morti e feriti tra i civili non vi era presenza di uomini dello Stato islamico. Questo elemento ha portato Amnesty International ha concludere che si sia trattato di violazioni del diritto internazionale umanitario.  Su questo punto il segretario generale di Amnesty International Kumi Naidoo ha dichiarato che “la questione centrale sollevata dalle nostre ricerche è questa: la Coalizione prese le precauzioni necessarie per ridurre al minimo ogni potenziale danno ai civili, come richiedono le leggi di guerra? Anche se la Coalizione rifiuta di rispondere, le prove ci dicono che non lo ha fatto. Per proteggere le popolazioni civili non bastano gli impegni e le belle parole. Occorrono indagini sulle vittime civili, trasparenza e disponibilità ad apprendere la lezione e a modificare quelle procedure che non hanno minimizzato i danni ai civili. Occorre infine riconoscere l’effettiva entità dei danni causati ai civili e fare in modo che le vittime sappiano chi sono stati i responsabili e ottengano giustizia e riparazione. Il segretario alla Difesa Usa James Mattis ha detto che le forze Usa sono ‘bravi ragazzi’. Ma sarebbero davvero tali se rispettassero le leggi di guerra e facessero tutto il necessario per assicurare ai civili innocenti che hanno sofferto a causa delle loro azioni la giustizia che meritano”.

Quella che oggi insanguina il territorio siriano è una guerra del “tutti contro tutti”. L’esercito siriano libero è ormai disintegrato in tante sigle diverse e oltre ai ribelli si devono fare I conti anche con I miliziani dell’Isis. Poi ci sono I curdi che combattono per uno stato indipendente, anche se le cose ultimamente sembrano andare nella direzione opposta e il vero nemico per loro è la Turchia. A ciò si aggiunge che nella guerra siriana le ingerenze straniere sono sempre state presenti: Usa, Qatar, Arabia Saudita e Turchia in chiave anti-Assad e con molte ambiguità anti-Isis; Iran, Russia e Cina a sostegno di Damasco. Le ragioni di questa guerra che va avanti da oltre sette anni e che ha mietuto un numero impressionante di vittime e generato un numero impressionante di profughi e sfollati vanno oltre le istanze di riforme e democrazia che hanno caratterizzato le prime proteste. In mezzo ai vari attori, a morire e a essere portati allo stremo, ci sono I civili. Il cessate il fuoco per il popolo siriano è ancora molto lontano.

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