La Turchia alle urne, Erdogan rieletto con l’52% delle preferenze

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“Una lezione di democrazia”, così Recep Tayyip Erdoğan ha definito il proprio trionfo al primo turno delle elezioni presidenziali e politiche turche, tenutesi il 24 giugno.

Circa l’87% dei 59 milioni di cittadini aventi diritto di voto si è recato alle urne, facendo registrare un’altissima affluenza. Erdoğan, a capo del Paese da 16 anni, ha ottenuto il 52% dei consensi, mentre il 30% dei votanti si è espresso a favore di Muharrem Ince, rivale del leader dell’AKP e principale candidato dell’opposizione nel voto presidenziale, il quale ha raggiunto un risultato insperato fino a pochi mesi fa che, tuttavia, non gli consente di arrivare al ballottaggio.

Si tratta dunque di un’amara sconfitta per l’opposizione turca. Le aspettative di rovesciare il sistema corrotto e totalitario del Sultano del Bosforo, nella convinzione che fosse sufficiente la vittoria di un candidato diverso per dare avvio ad un vero cambiamento, sono state deluse anche dal risultato delle elezioni politiche, le quali sono state anticipate dal Presidente Erdoğan lo scorso aprile.

Tali elezioni si sono svolte secondo le disposizioni della nuova legge elettorale, approvata a marzo e voluta dall’AKP: in particolare, il nuovo sistema elettorale favorisce le coalizioni e permette ai piccoli partiti che si alleano con forze politiche maggiori di entrare in Parlamento, senza dover superare l’alta soglia di sbarramento. In virtù di tale nuova legislazione, il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (Adalet ve Kalkınma Partisi, AKP) ed il Partito del Movimento Nazionalista (Milliyetçi Hareket Partisi, MHP) hanno fondato la coalizione denominata Alleanza del popolo, inoltre quattro forze di opposizione, quali il Partito Popolare Repubblicano (Cumhuriyet Halk Partisi, CHP), il Partito Buono (iYi) di Meral Aksener, il Partito della felicità (Saadet Partisi, SP) dell’islamista Saadet ed il Partito democratico, si sono unite nella coalizione denominata Millet.

Nel dettaglio, la coalizione che sostiene il Presidente, ha ottenuto il 53% dei voti e dunque la maggioranza assoluta; decisivo per la vittoria è stato il risultato del Partito del Movimento Nazionalista, a cui si appoggerà il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo per governare; quest’ultimo ha ottenuto il 42% dei consensi, registrando un calo del 7% rispetto alla precedente legislatura.

Relativamente al cosiddetto “blocco d’opposizione”, esso rimane intorno al 34%; il Partito Popolare Repubblicano, il più antico partito politico della Turchia,ha ottenuto il 22%, registrando un calo del 23% circa, rispetto alle elezioni del 2015; tutti gli altri partiti d’opposizione alleati si trovano intorno alla soglia di sbarramento del 10%.

Risulta essere rilevante l’ingresso in parlamento di una settantina di deputati della formazione politica filo curda di Selahattin Demirtas e ciò consente un’attenuazione della questione del Kurdistan turco.

L’opposizione, ancora prima dell’apertura delle urne, ha denunciato dei brogli elettorali, contestando i dati ufficiali ed alludendo ad una manipolazione governativa; lo stesso Ince ha affermato: “La competizione non è stata equa ma accetto il risultato”. “Nessuno si azzardi a danneggiare la democrazia gettando ombre su questo risultato elettorale per nascondere il proprio fallimento” ha ammonito il leader dell’AKP con riferimento a tali contestazioni.

In alcuni seggi elettorali lo scrutinio si è rivelato complicato, come ad esempio nel sud-est dell’Anatolia e molti osservatori internazionali sono stati fermati dalle autorità; in particolare, una cittadina italiana, Christina Cartafesta, è stata bloccata a Batman, altri tre cittadini italiani sono stati fermati a Diyarbakir (Kurdistan), tre francesi ad Agri e tre tedeschi a Sirnak; essi sono stati prelevati dai vari seggi da parte degli agenti di polizia, condotti nei commissariati e sottoposti a delle indagini.

L’agenzia di stampa turca Anadolu ha riportato che essi si sono presentati come osservatori dell’OSCE, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, presenti sul territorio turco al fine di verificare la regolarità delle elezioni, ma hanno tentato di interferire nelle operazioni di voto.

Con la conferma di Erdoğan, si profila un nuovo mandato quinquennale caratterizzato da vastissimi poteri accentrati nella figura presidenziale: secondo la riforma costituzionale, approvata dal Parlamento turco nel gennaio del 2017 e confermata con un referendum del 16 aprile 2017, il Presidente è anche capo dell’esecutivo, incorporando le funzioni proprie del Primo Ministro, come il potere di nomina del governo, dei vicepresidenti, di alti funzionari dello Stato, di 12 dei 15 componenti della Corte Costituzionale, di 6 dei 13 membri del Csm, di diplomatici e di rettori universitari, senza la necessità di ricorrere alla fiducia del Parlamento.

Con tale risultato elettorale, dunque, Erdoğan ha formalizzato il processo di trasformazione della Turchia in una Repubblica presidenziale di stampo autoritario.

Il contesto in cui si inserisce il nuovo mandato di Erdoğan risulta essere molto complesso: soprattutto negli ultimi quattro anni le istituzioni statali, le amministrazioni locali, l’esercito, la diplomazia e la giustizia sono stati fortemente provati dalle misure politiche adottate dal Presidente.

In primis, il Sultano ha commesso vari errori economici. Ad oggi gli indici dell’inflazione, dei tassi d’interesse, del rapporto tra il PIL ed il debito pubblico e del disavanzo di bilancio continuano a salire ed al contempo la lira turca sta perdendo valore. La priorità del nuovo governo sarà, dunque, l’economia.

Inoltre, cruciale sarà la politica estera, caratterizzata negli ultimi anni dalle tensioni con l’Iraq, dall’occupazione della Siria, dalla questione del Kurdistan e dalle relazioni sempre più complesse con i Paesi limitrofi ed occidentali.

Rilevante è anche la presenza nel Paese dei profughi siriani ed il numero cospicuo di jihadisti bloccati nel territorio tra Siria e Turchia.

A ciò si aggiungono le tensioni interne, le quali rischiano di degenerare in un conflitto.

La situazione turca così descritta attira l’attenzione dell’Unione Europea ed in particolare, all’indomani di tali elezioni turche, il portavoce della Commissione europea, Margaritis Schinas, ha affermato: “La Commissione europea si augura che sotto la presidenza di Erdogan la Turchia rimanga impegnata con l’Unione europea sui principali temi comuni come le migrazioni, la sicurezza, la stabilità regionale e la lotta contro il terrorismo”.

 

 

 

 

Bookreporter Settembre

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