Il caso dell’airbus A320 della EgyptAir scomparso dai radar alle 02.15 del 19 maggio sembra destinato a diventare un nuovo mistero internazionale. Innanzitutto l’elemento che salta di più all’occhio è che a più di 36 ore dal tragico incidente ancora non se ne conoscano con precisione le dinamiche. Altro punto “oscuro” l’ufficializzazione del ritrovo di parti del velivolo nel tratto di mare sotto l’Isola di Creta ( ma più a sud di dove si pensava inizialmente) solo a 24 ore dalla disgrazia, la collaborazione non solo dei paesi coinvolti direttamente come Francia, Grecia ed Egitto, ma anche di Russia e USA. A loro modo i due “giganti” hanno offerto aiuto nelle ricerche. La Russia a livello di informazioni di intelligence – come abbiamo visto nel precedente articolo – e gli Stati Uniti mettendo a disposizione mezzi.
Lungi dal voler prestare troppa fede alle tesi complottiste, in questo caso ci limitiamo solo ad osservare i fatti. Molti sono gli elementi che, a quanto pare, non “quadrano” del tutto, ma intanto i punti fermi al momento sembrano essere tre: innanzitutto che il pilota non ha accennato nemmeno al più lieve dei problemi nel corso della sua ultima comunicazione con la torre di controllo greca. Un altro punto fondamentale: è stato confermato che si è trattato di uno schianto e non di un’esplosione; terzo elemento, ma per questo non meno importante, è il luogo del ritrovamento che ormai è accertato trovarsi nel braccio di mare tra la Grecia meridionale e l’Egitto.
Tutto il resto, o almeno molto di esso, fa parte del grande gioco delle ipotesi. Se i media francesi sono estremamente cauti nel riportare qualsiasi tipo di informazione, che deve avere una fonte ufficiale, nel resto del mondo iniziano a sortire notizie dal sentore mitologico. Ad esempio alcuni quotidiani italiani parlano di una fantomatica hostess che avrebbe “predetto” l’incidente; altri che più semplicemente calcano la mano sulla teoria – né scartata, né privilegiata secondo Hollande – dell’attentato terroristico.
Il traffico marittimo ed aereo nella zona dell’impatto tra il velivolo e l’acqua in queste ore è denso, così come lo sarebbe la macchia di petrolio rilevata in loco, come riportato dai media d’oltralpe. Tutti vogliono aiutare a fare chiarezza sull’accaduto, tuttavia questa chiarezza sembra – per la tecnologia a disposizione al giorno d’oggi – troppo lenta ad emergere. Si può solo sperare che non arrivi ad assomigliare troppo al “cold case” italiano di Ustica.
da Parigi Laura Laportella