GEOPOLITICA DEL MONDO MODERNO

Monthly archive

Febbraio 2016 - page 3

“Combat Search and Rescue” le voci dei protagonisti

Difesa di

Missione di salvataggio a bordo di un HH139/A dell’Aeronautica Militare. Dall’addestramento al soccorso, le fasi di un intervento raccontate dall’equipaggio

L’acqua che s’increspa all’improvviso, l’abbraccio avvolgente di una muta arancione e poi il sollievo della salvezza. Arrivano dall’alto i soccorritori dell’Aeronutica Militare, pronti al decollo in qualunque condizione meteorologica, 24 ore su 24, 365 giorni l’anno. Operativi in venti minuti, gli “angeli del Search And Rescue”, (Ricerca e Soccorso), prestano soccorso a naufraghi, popolazioni colpite da calamità naturali e dispersi in zone di montagna. Non solo. Agli assetti aerei del SAR sono affidate le missioni sanitarie d’urgenza per il trasporto di ammalati gravi, e quelle militari per il recupero di equipaggi delle Forze Armate in difficoltà. Migliaia di persone devono la vita ai professionisti del 15°Stormo, che solcano i cieli nazionali a bordo degli elicotteri in partenza dalle 5 sedi di Cervia, Pratica di Mare, Trapani, Gioia del Colle e Decimomannu. Ma come funziona di preciso una missione di aerosoccorso? Lo abbiamo chiesto all’equipaggio di un velivolo della base di Pratica di Mare, durante la simulazione addestrativa di un recupero marittimo a Furbara (Rm).

Maggiore Federico Bellicano (Comandante 85° Centro – 15° Stormo SAR)

D.) Quali sono le attività in carico al vostro Centro e quanti gli interventi eseguiti durante l’anno?

R.) Mediamente questo Centro esegue un intervento al mese. Chiaramente una casistica precisa non può essere stilata: in alcuni periodi l’attività è più intensa, e in ogni caso dipende dalle emergenze segnalate. Un esempio emblematico è quello dell’intervento sul Norman Atlantic del dicembre 2014, la prima evacuazione di massa da una nave effettuata a mezzo elicotteri. Nelle stesse ore, mentre gli equipaggi di Gioia del Colle e Pratica di Mare erano impegnati col traghetto in fiamme, un elicottero di Cervia cercava i dispersi di due mercantili entrati in collisione nel Porto di Ravenna. Contemporaneamente a Trapani veniva effettuato un trasporto sanitario d’urgenza da un’imbarcazione all’Ospedale di Cagliari. Queste 24/36 ore del 28 dicembre 2014 sintetizzano l’attività del 15° Stormo: sempre presente, 365 giorni l’anno, 24 ore al giorno, su tutto il territorio nazionale.

D.) Qual è la dotazione tecnica dei mezzi di soccorso?

La strumentazione è tutta digitale. Un display fornisce informazioni sui parametri di volo (quota, velocità, direzione, radio e indicazione di potenza, giri del rotore e delle turbine). La rotta di volo viene inserita sul FLIGHT Management, mentre la presenza di altri traffici aerei ci viene segnalata dal TCAS, apposito sistema di allerta del traffico ed elusione di collisione. Per effettuare la ricerca di un disperso preimpostiamo dei parametri a seconda della tipologia d’intervento. Nel caso di un naufrago, ad esempio, si effettua una ricerca “a scala”, a bracci paralleli, lungo la rotta dell’imbarcazione in difficoltà. Gli automatismi sono fondamentali in caso di ricerche notturne, quando facciamo i conti con una visibilità limitata. Una volta localizzato il survivor, ci avviciniamo al punto di recupero e lanciamo in acqua il nostro aerosoccorritore. Noi restiamo in orbita, per tornare in seguito ad effettuare il recupero.

1° Mar. Francesco Russo (aerosoccorritore 85° Centro – 15° Stormo SAR)

D.) Il portello si apre e l’aerosoccorritore viene lanciato in acqua. Che succede dopo?

R.) L’aerosoccorritore è l’ultima persona ultima ad intervenire sul luogo dell’incidente per prestare il primo soccorso, mettere in sicurezza il disperso o l’infortunato, e infine portarlo a bordo in salvo. Una volta in acqua, raggiunge a nuoto il survivor, lo sostiene e lo imbraca al verricello fatto calare dall’elicottero.

D.) Quali possono essere le criticità?

R.) Una delle emergenze più gravi è l’essere abbandonati sul luogo a causa di problemi tecnici al velivolo. In quel caso, oltre a soccorrere la persona da recuperare, dobbiamo preoccuparci di sopravvivere in condizioni estreme.

D.) Che tipo di addestramento ci vuole per diventare un aerosoccorritore?

R.) L’addestramento è molto lungo, dura circa un anno e mezzo ed è principalmente fisico, centrato su nuoto e movimento in montagna. Importante anche il sapersi interfacciare con l’equipaggio a bordo, con cui la sinergia è fondamentale.

Cap. Alessandro Salamena (Pilota 85° Centro – 15° Stormo SAR)

D.) Quali sono i compiti dell’equipaggio a bordo?

R.) Sull’elicottero lavorano 4 figure principali. La prima e la più importante è quella del Capo equipaggio, il pilota responsabile ultimo dell’esito della missione. Accanto c’è il copilota, che lo coadiuva nel pilotaggio e nei calcoli relativi a carburante, peso del mezzo, persone da soccorrere. L’operatore di bordo è colui che cala l’aerosoccorritore, governa il verricello, e indica ai piloti l’ “hovering”, cioè il punto di sospensione esatto da cui lanciare l’aerosoccorritore. Quest’ultimo infine “si verricella”, ed effettua la missione di soccorso (primo soccorso e recupero del naufrago).

Viviana Passalacqua

%CODE1%

Libya: what’s the real role of Italy?

Politics di

Syria more than Libya was the main topic during the Rome meeting of the anti-ISIS Small Group on February 2. Summit was held chaired by US Secretary of State John Kerry and the Minister of Foreign Affairs Paolo Gentiloni, the summit was attended by 23 foreign ministers, including the EU Representative Federica Mogherini.

[subscriptionform]
[level-european-affairs]
During the press conference after meeting, Kerry told about a global battle against Daesh in Syria, Iraq and Libya: “This theater of war will be longer, more than a war between two states”. He excluded the possibility of a ground intevention of US armed forces, but ensured logistical and training supports when new Libyan government will approve international military operation. Moreover, Secretary of State remembered that Italy is “one of the most active countries anti-ISIS”.

And Libya? Political impasse to create new government in Tripoli is not only favoring once again
the radicalization of Daesh, but is causing knock-out effects. Risk is only one: Western countries could repeat the same error of 2011 if did not wait for new government approval for military intervention.

As revealed by the Sunday Times, intelligences of the United Kingdom, United States and France would be active at a base near Tobruk, where they are already planning interventions on the ground and the introduction of a permanent headquarters. So, what this possibile UN military intervention really is? A support to local forces? Several bomb raid? Or even a ground intervention?

Last December, writing to his Italian counterpart Roberta Pinotti, US Secretary of Defense Ashton Carter said: “I hope that Italy will take part in raid against Islamic State. “ Conflicting words compared with Kerry and Gentiloni recent statements.

Ultimately, this summit did not change anything about Libyan crisis. Moreover, this deadlock could relegate Italy to subordinate role during the probably UN military intervention.
Giacomo Pratali

[/level-european-affairs]

Search and Rescue gli angeli del soccorso aereo

Difesa/Video di

Search and rescue, quando sei in difficoltà tra le montagne, durante un alluvione o in mare ti raggiungono con ogni condizione metereologica e ti portano in salvo. Vi raccontiamo dall’interno con ragazzi dell’85° centro SAR del 15° stormo dell’Aeronautica Militare Italiana.

Insieme al comandante dell’85° Centro SAR Maggiore Federico Bellicano seguiamo una delle tante esercitazioni chegli equipaggi conducono costantemente e che permettono di mantenere la capacità operativa a livelli altissimi.

Vediamo insieme di cosa si tratta nel video.

[youtube]https://youtu.be/G1XMUxlGCNQ[/youtube]

Libia: qual è il vero ruolo dell’Italia?

Defence/POLITICA/Politics di

Nella 3^ conferenza internazionale sullo Stato Islamico di Roma, la Siria è stata al centro del dibattito tra i 23 ministri degli Esteri presenti. Nonostante le dichiarazioni concilianti di Kerry nei confronti dell’Italia, i recenti movimenti degli alleati occidentali nei pressi di Tobruk e lo stallo nella formazione del governo di unità nazionale rischiano di relegare Roma ad un ruolo di secondo piano in Libia. Il rischio maggiore è di ripetere gli errori del 2011.

[subscriptionform]
[level-european-affairs]
Si è parlato più di Siria che di Libia alla terza conferenza internazionale sullo Stato Islamico, tenutasi a Roma martedì 2 febbraio. Presieduto dal segretario di Stato Usa John Kerry e dal ministro degli Affari Esteri Paolo Gentiloni, al vertice erano presenti 23 ministri degli Esteri, compresa la rappresentante dell’Ue Federica Mogherini.

Dalle dichiarazioni nella conferenza stampa post summit, si evince come la battaglia contro il Daesh sia su scala globale e che Siria, Iraq e, a questo punto, Libia compongono un unico teatro di guerra, che sarà”lunga, più delle altre tra uno Stato e l’altro”, ha affermato Kerry, che ha escluso un intervento di terra delle forza armate statunitensi, ma ha invece garantito un lavoro di supporto logistico e addestramento quando il governo libico darà il via libera per un intervento militare internazionale. Un’operazione che, come ricordato dallo stesso Segretario di Stato, vedrà in prima fila l’Italia, “tra i Paesi più attivi nella lotta all’Isis”.

Dunque, sulla scia della conferenza di Ginevra, è la Siria la parte portante dell’incontro di Roma. Da più parti è stato ricordata l’emergenza umanitaria in continua crescita. Ma la Libia?

Lo stallo politico nella formazione del governo di unità nazionale a Tripoli non solo sta favorendo ancora una volta la radicalizzazione del Daesh, ma sta provocando reazioni su piani paralleli. In questo senso, il rischio è uno solo: ricadere nell’errore del 2011 e non concordare con le istituzioni locali né il piano di intervento militare né la ricostituzione di un’istituzione statale stabile.

Come rivelato dal Sunday Times, militari e servizi di intelligence di Regno Unito, Stati Uniti e Francia sarebbero attivi in una base nei pressi di Tobruk, dove già si starebbero pianificando gli interventi sul campo e l’introduzione di un campo permanente.

Il tanto paventato intervento militare sotto l’egida dell’Onu in cosa consiste davvero? In mero lavoro di addestramento e supporto alle forze locali? In un’azione aerea? O addirittura in un intervento di terra?

In una lettera del segretario alla Difesa degli Stati Uniti Ashton Carter alla sua omologa italiana Roberta Pinotti dello scorso dicembre, e ripresa da alcune testate negli ultimi giorni, l’invito rivolto a Roma è palese: “Spero che in futuro l’Italia considererà di contribuire ai raid nella contro l’Isis”. Parole che stonano con le recenti dichiarazioni di Kerry e dello stesso Gentiloni.

In definitiva, la conferenza di Roma, non smuove nulla per quanto concerne la questione libica. Le dichiarazioni di Kerry restano dichiarazioni. Il movimento sotto traccia degli alleati occidentali, infatti, potrebbe relegare di nuovo l’Italia in una posizione di secondo piano in un Paese, la Libia, che, sotto il profilo energetico, fa gola a molti.
Giacomo Pratali

[/level-european-affairs]

Colloqui Usa-Turchia: accordo su tutta la linea

Medio oriente – Africa di

La visita del vice presidente statunitense Joe Biden a Ankara, ha offerto, nei giorni scorsi, una ulteriore conferma a quello che la comunità internazionale aveva già intuito da tempo. I rapporti fra Usa e Turchia sono più che mai solidi. Quello che in parte sfugge è l’operatività che i due stati hanno intenzione di intraprendere verso quello che ufficialmente viene considerato una forza nemica.

[subscriptionform]
[level-european-affairs]

 

Parliamo ovviamente di Isis. Biden, giunto in Turchia per affrontare con Erdogan proprio il tema delle azioni da intraprendere in Siria per osteggiare il Califfato, ha glissato sulla questione curda, dando di fatto ad Ankara la libertà di adottare le misure ritenute più adeguate, denunciate da un appello sottoscritto da accademici turchi.

Nel documento si fa cenno a persecuzioni e violazioni dei diritti umani inferti agli appartenenti all’etnia curda. I firmatari sono ora soggetti a indagini, controlli e persecuzioni condannati da Biden come attività antidemocratiche, ma in realtà ignorate. Come il traffico illegale continuo di petrolio iracheno e siriano fornito da Isis alla Turchia che raggiunge, sulle navi di proprietà del figlio del leader turco i mercati mondiali per sovvenzionare le attività terroristiche del Califfato. Che la Turchia sostenga il potere conquistato da Isis viene confermato dalle parole pronunciate dal capo dei servizi segreti turchi Hakan Fidan che in una intervista rilasciata il 18 ottobre scorso all’agenzia di stampa turca, Anadoly, ha dichiarato: “L’Emirato Islamico è una realtà e dobbiamo accettare. Non possiamo debellare una istituzione popolare e ben organizzata come lo Stato islamico. Pertanto, esorto i miei colleghi in Occidente a rivedere il proprio modo di pensare a proposito delle correnti politiche islamiche, a mettere da parte la loro mentalità cinica e contrastare Putin che prevede di schiacciare i rivoluzionari siriani islamisti”.

Il prossimo aprile Erdogan riceverà la guida dell’Oic, Organizzazione per la Cooperazione Islamica, fondata nel 1969 da 57 Stati membri, considerata “la voce collettiva del mondo musulmano”. Al momento sono 56 gli associati, gli stessi che hanno formato la “coalizione islamica antiterroristica” spinti dal principe saudita Salman. Tutto fa pensare che Erdogan continui, sempre con maggiore caparbietà, a perseguire il sogno di rifondare il vecchio impero ottomano. Sul suo cammino “il musulmano delle Nazioni Unite” sembra non trovare al momento ostacoli particolari. Non certamente dagli Stati Uniti, interessati più a scalzare Bashar Al Assad, premier siriano, che a contrastare efficacemente il califfato.

 

Monia Savioli

[/level-european-affairs]

I curdi all’Europa: riabilitate Ocalan e il Pkk

Medio oriente – Africa di

Un duplice richiamo alla Turchia, affinchè modifichi l’atteggiamento assunto sino ad ora e all’Europa, per invitarla a considerare la questione curda come politica e non terroristica. Il rapporto fra Turchia ed etnia curda è tornato alla ribalta nelle due giornate organizzate a Bruxelles nell’ambito della 12a conferenza internazionale dal titolo “Vecchia crisi-nuove soluzioni. L’Europa, la Turchia, il Medio Oriente e i Curdi” organizzata dalla Turkey Civic Commission in collaborazione con il Kurdish Institute of Brussels nella sede del Parlamento Europeo, a Bruxelles, il 26 e 27 gennaio scorso.

[subscriptionform]
[level-european-affairs]

Il documento di sintesi proposto al termine della due giorni in cui si sono confrontati i vari protagonisti, dal Premio Nobel iraniano Shirin Ebadi, al leader dell’Hdp curdo e membro del parlamento turco Selahattin Demirtas, ha posto l’accento su responsabilità vecchie e future. E, soprattutto, sulla questione curda, ancora drammaticamente aperta unitamente a quella degli orrori causati dalle orde del Califfato.

Il dopo elezioni di giugno in Turchia, si legge nel documento, ha riproposto gli stessi abusi inferti ai diritti umani dei curdi negli anni ’90. Un ritorno al passato sottolineato dall’introduzione di coprifuoco illegali, privazione di acqua, cibo, elettricità e medicine e dall’uccisione di civili scomodi. “Queste misure – si sottolinea nel documento – mostrano un completo disprezzo della volontà democratica del popolo”. L’appello lanciato a “movimenti sociali, sindacati, associazioni professionali, organizzazioni non governative, alleate di governo e governative, istituzioni” riguarda la chiusura delle ostilità fra curdi e turchi, riaccesasi nell’estate scorsa, attraverso la fine di assedi e coprifuoco, l’esclusione di civili e aree residenziali dagli scontri fra forze turche e membri del partito dei lavoratori di Ocalan, il PKK, il rientro di quanti sono stati costretti a fuggire e la condanna dei colpevoli delle violazioni perpetrate a danno dei diritti umani.

La fine del conflitto fra turchi e curdi può tradursi, secondo la risoluzione individuata dalla conferenza, in “un impatto positivo sulla lotta nella regione contro i gruppi jihadisti, come ISIS”. “La Turchia – si legge nel documento – deve smettere di appoggiare i gruppi jihadisti in Siria e deve impegnarsi ad essere un efficace membro della coalizione internazionale contro ISIS. Deve abbandonare le politiche anticurde e lavorare al fianco dei curdi e dell’opposizione democratica siriana per arrivare ad una soluzione politica”. L’Europa viene chiamata in causa e spronata a considerare la questione curda da un punto di vista che escluda la matrice terrorista con cui l’opera del PKK e del suo leader Ocalan è stata bollata.

“L’Unione europea – viene sottolineato – non deve limitarsi a semplici richieste di un cessate il fuoco, ma deve anche essere proattiva nel definire il percorso verso una soluzione pacifica. A questo fine, il PKK, quale parte attiva della soluzione, non deve più considerato come organizzazione terroristica”. Fra le altre richieste individuate anche il rinnovo della Costituzione turca votata nel 1980 a seguito del colpo di Stato militare, la garanzia dei diritti legati alla libertà di pensiero e di espressione, la liberazione dei civili imprigionati e la realizzazione di un corridoio umanitario al confine tra Turchia e Siria.

 

Monia Savioli

[/level-european-affairs]

Eunavfor Med, stallo per la terza fase

Varie di

Sospeso il terzo step della missione Eunavfor Med, volta ad arrestare l’attività dei trafficanti di esseri umani nel Mediterraneo. Il 7 ottobre scorso, il Parlamento Europeo aveva annunciato il potenziamento delle missioni militari nel Mediterraneo, finalizzate all’abbordaggio, perquisizione e confisca delle imbarcazioni utilizzate dagli scafisti. L’obiettivo successivo era quello di arrestare i trafficanti e distruggerne i mezzi direttamente a terra, con operazioni da effettuarsi sul suolo libico e nelle acque territoriali del Paese. A tal fine, si rendeva necessario un mandato delle Nazioni Unite, a sua volta legittimato da un’autorizzazione del Governo libico ancora inesistente.

La firma dell’accordo di dicembre in Marocco tra alcune componenti della vita politica e sociale libica per la formazione di un esecutivo di unità nazionale si è rivelata illusoria. In data 25 gennaio il Parlamento di Tobruk ha negato la fiducia alla lista di 32 ministri presentata dal premier Fayez al-Sarraj. Ne è derivata un’incertezza politica, istituzionale e sociale del Paese che potrebbe avallare i gruppi estremisti dello Stato islamico e al-Qaeda, con conseguenze disastrose per la sicurezza generale del vecchio continente. Nello specifico, EunavforMed resta momentaneamente “sospesa” alla fase attuale, quella della lotta agli scafisti al largo delle acque libiche senza un mandato di effettiva autorizzazione all’intervento territoriale, risolutivo dell’emorragia migratoria che destabilizza l’Europa. Sebbene la comunità internazionale appoggi Sarraj, ricevuto in Italia due mesi fa dal premier Matteo Renzi, la situazione si fa critica.

Da più parti si ipotizzano futuri raid aerei francesi e inglesi contro le basi Isis in Libia, favorite dall’attuale caos istituzionale. Il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha ribadito l’urgenza di dar vita al Governo di accordo nazionale e concentrarsi sulla comune lotta al terrorismo. Dello stesso parere il presidente della Commissione Esteri del Senato, Pierferdinando Casini, che ha definito l’attentato del 7 gennaio a Zlitan contro un centro di addestramento della polizia come parte della “strategia attuata dello Stato Islamico per rinviare l’insediamento del governo di unità nazionale concordato tra le parti e l’Onu”. Senza un esecutivo riconosciuto a livello internazionale, EunavforMed è destinata allo stallo.
Viviana Passalacqua

Rohani a Roma: a rischio i rapporti con Israele?

Medio oriente – Africa/POLITICA di

 

Inizia dall’Italia il primo tour in Europa del presidente iraniano Hassan Rohani all’indomani della fine delle sanzioni internazionali sul paese. Un segno di apertura verso il mondo occidentale e di come l’Iran voglia recuperare e rafforzare i rapporti con i partner europei, in primis, appunto, l’Italia.

[subscriptionform]
[level-european-affairs]

Il viaggio del leader iraniano a Roma assume una triplice valenza. Dal punto di vista politico, la visita di Rohani arriva in un momento significativo per il paese e per il Medio Oriente. La fine delle sanzioni internazionali e l’accordo sul nucleare rilanciano, infatti, i rapporti della Repubblica Islamica con il resto del mondo, ponendo fine al decennale isolamento politico. Opportunità per Teheran, quindi, di contribuire anche ad una soluzione politica delle varie problematiche regionali.

Secondo, l’aspetto religioso. L’incontro tra un leader musulmano sciita e il più alto rappresentate della Chiesa Cattolica, Papa Francesco, rappresenta un evento importante in un periodo in cui le tensioni settarie e la costante minaccia del terrorismo islamico rendono difficili i rapporti tra Chiese diverse. Nella Roma cattolica, Rohani si fa promotore del volto buono dell’Islam. Lo stesso Vaticano sottolinea i valori spirituali comuni e l’importanza dell’Iran per la pace in Medio Oriente.

Voce finale nell’agenda di Rohani è l’economia. Sette gli accordi istituzionali firmati, tra cui l’intesa tra il Mise e il Ministero dell’Industria iraniano. A livello industriale, contratti siglati nel settore energetico, minerario, delle costruzioni, della cantieristica navale e dei trasporti, per un ammontare di circa 17 miliardi.

Seppure non esente da polemiche e critiche (come quella legata alla copertura delle statue di nudo nel Museo Capitolino), la visita di Rohani segna un riavvicinamento notevole tra la Repubblica Islamica e l’Italia. Un’Italia che, pur aderendo alle sanzioni internazionali, ha mantenuto buone relazioni con il paese arabo, basate –oggi come in passato-sul mutuo vantaggio.

Politicamente, rinvigorire i legami con un paese europeo significa, per l’Iran, recuperare l’isolamento degli anni passati e proiettare nuovamente la nazione nel contesto europeo ed internazionale. Veder riconosciuta la capillarità del proprio ruolo per ripristinare la stabilità in Medio Oriente ridona legittimità a un paese che per decenni è stato visto come minaccia per la sicurezza regionale e globale. Dall’altro lato, l’Italia acquisisce un alleato indispensabile per la lotta al terrorismo internazionale e, facendosi mediatore del reinserimento dell’Iran nei maggiori fora mondiali, può guadagnare in termini di importanza diplomatica.

Dal punto di vista economico, la fine delle sanzioni verso l’Iran non è soltanto ossigeno per il paese, ma apre la porta a nuovi investimenti per l’Italia. L’Iran, infatti, possiede una popolazione giovane, che guarda di buon occhio il mercato occidentale, in particolar modo quello del lusso, della moda e dell’auto. L’Iran può essere, dunque, un partner importante per rilanciare il Made in Italy.

Ma quale sarà la reazione dello storico nemico della Repubblica Islamica, Israele? Quali le ripercussioni nei rapporti tra lo Stivale e il paese ebraico?

L’Italia vanta storicamente buone relazioni con Israele, basate su una cooperazione in campo politico, economico, scientifico, culturale e militare. Promotore negli anni del processo di pace in Medio Oriente e della creazione dello Stato della Palestina, il governo italiano ha sempre lavorato nell’ottica di ostacolare la diffusione dell’antisemitismo nella regione e favorire il dialogo tra Israele e i vicini stati arabi. La fine delle sanzioni e l’accordo sul nucleare (relativamente al quale Israele ha apertamente manifestato il proprio dissenso), hanno messo in allarme il governo Netanyahu circa una possibile rinascita iraniana. Vedere uno stato tradizionalmente amico, come l’Italia, rafforzare i legami con la Repubblica Islamica potrebbe effettivamente creare attriti tra Roma e Gerusalemme.

L’anello chiave di questo equilibrio può essere l’elemento militare. Gli accordi stretti tra Roma e Teheran non contemplano il settore militare, né in termini di rifornimento di capacità belliche né di addestramento e know-how. Un simile low-profile è presumibilmente accettabile per Israele per due motivi. Da un lato, non tocca la capacità militare iraniana; dall’altro, l’effettiva apertura verso l’Iran è un segnale positivo anche per i suoi alleati (ad es. Russia). Al contrario, posizioni chiuse da parte dei paesi occidentali potrebbero irrigidire anche i rapporti tra l’Occidente e le potenze amiche di Teheran, compromettendo gli sforzi in atto per fronteggiare altre minacce comuni, come l’Islamic State.

È difficile, dunque, pensare che l’Italia possa optare per un’opzione aut-aut, che vada cioè ad escludere i rapporti con uno dei due paesi a favore esclusivamente dell’altro. Nell’incontro con il presidente iraniano, il premier Matteo Renzi ha tenuto a precisare l’importanza dei rapporti con Israele ed il diritto/dovere di quest’ultimo di esistere come Stato. Considerando gli interessi in gioco e le tradizioni politiche italiane, è più probabile, dunque, che il governo scelga di mantenere una posizione equidistante: un calcolo strategico che garantisce i vantaggi del commercio con l’Iran senza però irritare Israele.

 

Paola Fratantoni

[/level-european-affairs]

Rouhani in Rome: Italian-Israeli relations at risk?

Politics di

 

The Iranian President Hassan Rouhani begins his tour in Europe from Italy. It is the first time after the lifting of the international sanctions against Iran. A sign of openness towards the West, it also shows Iran’s willingness to restore and strengthen its relationship with European countries, such as Italy.

[subscriptionform]
[level-european-affairs]

The Iranian leader’s trip to Italy has a triple meaning. From a political perspective, Rouhani’s visit comes at a significant moment both for Iran and for the Middle East. Indeed, the lifting of the international sanctions and the nuclear deal boost Iran relationship with the rest of the world, thus ending decades of political isolation. This gives also Teheran a chance to contribute to solving ME security problems.

Secondly, the religious dimension. The meeting between a Shiite Muslim leader and the highest representative of the Catholic Church, Pope Francis, is an important event in a time when the sectarian tensions and the increasing threat of Islamic terrorism make it difficult the coexistence between different faiths. In the Catholic Rome, Rouhani portraits the good side of Islam and the Vatican itself talks about “common spiritual values” and the importance of Iran for peace in the Middle East.

Final point on Rouhani’s agenda is economy. Seven institutional agreements have been signed, including an understanding between Mise and the Iranian Ministry of Industries and Mines. New business deals cover also energy and mining, constructions, shipbuilding and transport industries, reaching an amount of about 17 billion.

Despite criticism and controversies (as the one related to the covering up of naked statues in Capitoline Museum), Rouhani’s visit marks a relevant rapprochement between the Islamic Republic and Italy. An Italy that, while adhering to international sanctions, has maintained good relations with the Arab country, based -today as in the past- on mutual benefit.

Politically, strengthening ties with a European country means, for Iran, to be freed from the isolation of the past years and to project again the nation in the European and international environment. To be acknowledged a capillary role in restoring stability in the Middle East gives back legitimacy to a country that has been seen for decades as a threat to regional and global security. On the other hand, Italy acquires a vital ally in the fight against international terrorism and, by mediating the reintegration of Iran in world major fora, it can gain in terms of diplomatic influence.

Economically speaking, the lifting of the sanctions not only comes as a breath of fresh air for Iran, but it also paves the way for new investments in Italy. Iran has a young population, attracted by Western markets, especially those of luxury, car and fashion. Therefore, Iran can be an important partner to relaunch the “Made in Italy”.

However, what will be the reaction of the historic enemy of the Islamic Republic, Israel? Which repercussions could there be in the relationship between Italy and the Jewish country?

Historically, Italy has had good relations with Israel, based on cooperation in the political, economic, scientific, cultural and military areas. A promoter of the peace process in ME and of the creation of the State of Palestine, the Italian government has always worked in order to hinder the spread of anti-Semitism in the region and to facilitate the dialogue between Israel and the neighboring Arab states. The end of sanctions and the nuclear deal (with respect to which Israel has openly expressed his disagreement) have alarmed Netanyahu government about a possible resurgence of Iran. Seeing a traditionally friend state –as Italy- that strengthens its ties with the Islamic Republic, could actually create friction between Rome and Jerusalem.

The key factor in this balance may be the military element. The agreements signed between Rome and Tehran do not include the military sector, neither in terms of military capabilities nor of training. A similar low profile is presumably acceptable to Israel for a twofold reason. On the one hand, it does not affect Iranian military capacity; on the other, the actual opening to Iran is a positive sign for its allies (e.g. Russia). By contrast, a closing attitude towards Iran might stiffen the relationships between the West and Iran’s friends, thus undermining efforts to tackle other common threats, such as the Islamic State.

Hence, it is hard to believe that Italy could opt for an either-or option, which will exclude relations with one of the two countries in favor of the other. In his meeting with the Iranian president, Prime Minister Matteo Renzi has pointed out the importance of relations with Israel and the right/duty of the latter to exist as a State. Considering the interests at stake and Italian political traditions, it is more likely, therefore, that the government will opt for maintaining a balanced position: a strategic choice that ensures the benefits of trade with Iran without irritating Israel.

 

Paola Fratantoni

[/level-european-affairs]

Paola Fratantoni
0 £0.00
Vai a Inizio
×