Corea del Nord, e ora?

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All’indomani dell’annuncio trionfale di Pyongyang, che ha dichiarato di aver testato con successo la prima bomba all’idrogeno realizzata negli impianti nucleari della Corea del Nord, una domanda rimbalza tra le Nazioni Unite e le cancellerie delle principali potenze globali: cosa fare ora?

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Per adesso, va detto, prevale lo scetticismo, sulla reale portata della detonazione nucleare ottenuta dai tecnici di Pyongyang. L’esplosione, avvenuta nel nord del paese, non distante dal confine con la Cina, è stata registrata dai sismografi con una potenza compresa tra 4.8 e  5.1 sulla scala Richter. Secondo gli esperti sudcoreani, una simile risposta sismica potrebbe equivalere ad una potenza di sei kilotoni, circa un terzo di quella sprigionata della bomba sganciata su Hiroshima nel 1945 e sostanzialmente incompatibile con quella che sarebbe stata prodotta da un ordigno termonucleare, la cui potenza si calcola generalmente in centinaia di kilotoni. Per fare un raffronto, il test termonucleare condotto dagli Stati uniti, nel 1971, sull’isola di Amchitka in Alaska, produsse un terremoto di magnitudo 6.8, esponenzialmente superiore a quello registrato nella giornata di ieri.

Si è forse trattato di una bomba atomica dunque, e non all’idrogeno, per la quale è richiesta una tecnologia di cui il regime del presidente Kim Yong-Un probabilmente ancora non dispone. Ad ogni modo, quello di ieri è il quarto test nordcoreano, dopo quelli del 2006, 2009 e 2013; una provocazione esplicita nei confronti nel nemico americano, della Corea del Sud, del Giappone, dell’alleato cinese, sempre più frustrato dalle iniziative del regime e, in generale, della comunità internazionale. Una risposta appare inevitabile, mentre si studiano nuove strategie per contenere la minaccia coreana nel medio termine.

Il Concilio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha espresso immediatamente la sua ferma condanna, dichiarando che “continua ad esistere una chiara minaccia alla pace ed alla sicurezza internazionali” ed ha annunciato nuove misure contro Pyongyang per le quali si attende, a breve, una risoluzione.

Tra i più decisi, l’ambasciatore giapponese all’ONU, Motohide Yoshikawa, che ha invocato una risoluzione rapida e vigorosa. “L’autorità e la credibilità del Consiglio – ha detto – sarebbero messe in discussione se non prendesse queste misure”. Non è però ancora chiaro quale tipo di sanzioni dovrebbero essere adottate ed in quali tempi, mentre la Russia tira il freno, per bocca del suo ambasciatore, non garantendo al momento il sostegno di Mosca all’adozione di ulteriori sanzioni. In effetti Pyongyang sembra determinata ad andare avanti sulla strada del nucleare, nonostante le condanne internazionali e le sanzioni innescate dai precedenti test atomici. Perché dovrebbe essere diverso questa volta?

Un dubbio che non viene coltivato dagli avversari storici del regime. Stati uniti, Corea del Sud e Giappone  hanno dichiarato di essere pronti ad una risposta unitaria nei confronti di Pyongyang. Il presidente Obama ha parlato sia con il premier Sudcoreano Park Geun-Hye che con il primo ministro giapponese Shinzo Abe ed ha poi dichiarato che tre leader hanno deciso di “lavorare insieme per forgiare una risposta forte e internazionale all’incosciente comportamento della Corea del Nord”. Gli ha fatto eco il Presidente Abe: “siamo d’accordo che la provocazione della Corea del Nord è inaccettabile… ci occuperemo della situazione in modo fermo, cooperando con il Consiglio di Sicurezza dell’ONU”, aggiungendo però che il Giappone è intenzionato, se lo riterrà necessario, ad intraprendere misure unilaterali. Seul ha infine rilasciato un comunicato ufficiale, chiedendo alla comunità internazionale di “assicurare che la Corea del Nord paghi un prezzo adeguato” per i suoi test nucleari. Parallelamente, ha ristretto gli accessi al parco industriale di Kaesong, gestito congiuntamente dal Nord e dal Sud ed ha annunciato il ripristino delle trasmissioni propagandistiche verso il territorio nordcoreano, interrotte nel 2015 per allentare la tensione con il vicino.

Superata la fase delle reazioni a caldo, organizzato un nuovo pacchetto di sanzioni, resterà da capire cosa fare con un paese che dispone di un arsenale nucleare composto da una ventina di ordigni (atomici o all’idrogeno che siano) e che potrebbe essere in grado oggi, o nel breve termine, di montare una testata nucleare su un missile a medio raggio, capace di minacciare il Sud, il Giappone, le truppe americane stanziate nell’area e, forse, anche le coste occidentali degli Stati Uniti.

Le sanzioni Onu non hanno mai avuto effetti apprezzabili e la strategia della “pazienza strategica”, adottata dall’amministrazione americana, potrebbe essere venata di eccessivo ottimismo. L’idea cioè che bastino le sanzioni a far intraprendere al regime nordcoreano la strada della resa e del disarmo nucleare appare sempre meno convincente. Fino ad oggi, gli USA hanno rifiutato di negoziare, se non alle loro condizioni, con la Corea del Nord, scegliendo dunque una strategia diversa da quella adottata per l’Iran, che ha portato ad i recenti negoziati e al successivo accordo con Theran.

Come sostenuto recentemente da Stephen W. Bosworth, il primo inviato speciale di Obama per la Corea del Nord, “quali che siano i rischi associati a nuovi colloqui, saranno sempre minori di quelli provocati dal non fare nulla”. Poiché nessuna potenza sembra realmente intenzionata a sfidare sul piano militare un nemico temibile con la Corea del Nord, la partita dovrà necessariamente essere giocata sul campo della diplomazia, prima che l’arsenale di Pyongyang si rafforzi ulteriormente e la tecnologia di puntamento dei suoi missili sia portata ad un livello superiore.

La strategia di Kim Yong–Un è chiara: l’ arsenale nucleare è un assicurazione sulla vita del paese e i suoi nemici hanno solo da perdere, di fronte alla prospettiva drammatica di un conflitto. Che lo vogliano o meno, dovranno accettare di sedere al tavolo delle trattative riconoscendo alla Repubblica Democratica Popolare di Corea lo status di potenza nucleare. E’ presto per dire se i fatti gli daranno ragione ma il vento provocato dall’esplosione, per ora, sembra soffiare a suo favore.

 

Luca Marchesini

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Bookreporter Settembre

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